17 giugno 2022

RIFORMA FISCALE, UN’OPERA INCOMPIUTA di Antonio Laurenzano

 


RIFORMA FISCALE, UN’OPERA INCOMPIUTA

di Antonio Laurenzano

Dopo mesi di scontri e di rinvii, la irrequieta maggioranza di governo ha trovato un faticoso accordo per far ripartire l’iter legislativo del fisco del futuro. Un compromesso al ribasso sui 10 articoli del disegno di legge delega per la riforma fiscale che, nell’intento del premier Draghi, “punta ad abbassare la pressione fiscale, razionalizzare e semplificare il sistema tributario preservando la progressività impositiva e riducendo i fenomeni di evasione ed elusione fiscale”. Il 20 giugno il disegno di legge approderà in aula, alla Camera, successivamente in Senato. Dopo l’approvazione del Parlamento, la legge delega tornerà al governo che avrà 18 mesi di tempo per emanare i decreti di attuazione. A rendere operativa la riforma potrà essere l’attuale esecutivo di Palazzo Chigi o il governo che uscirà dalle elezioni politiche in primavera, con tutte le variabili e le incertezze del caso.

I principi dettati nella delega riguardano sia la riforma dell’Irpef, per alleggerire il prelievo sui redditi medio-bassi, sia quelle delle imposte sulle imprese, Ires e Irap, con il graduale superamento di quest’ultima. L’intesa tra partiti e governo archivia le addizionali comunali, sostituite da una sovraimposta Non è stato un cammino facile. Il fisco è da sempre terreno politicamente esplosivo e divisivo, un terreno di proclami, slogan e bandierine. Un terreno per shoppimg elettorale. Particolarmente forti i contrasti registrati all’interno della maggioranza sul catasto, con il governo più volte sull’orlo della crisi. L’abbandono dell’originaria idea di attribuire a ogni immobile un “valore patrimoniale”, allineato ai valori di mercato, ha sgomberato dai nuvoloni neri l’orizzonte della riforma fiscale.

Il “nuovo” catasto che scatterà nel 2026, al di là dei discorsi di facciata di alcuni partiti, non presenta quindi grandi novità ai fini di un riequilibrio della tassazione sugli immobili, in particolare per una pressione fiscale sulle abitazioni più equa. Il contestato “valore patrimoniale” ha lasciato il posto a una “rendita catastale ulteriore, suscettibile di periodico aggiornamento” da affiancare a quella già presente nella visura catastale. Questo “valore parallelo”, salvo sorprese legislative del futuro, non influenzerà il calcolo dell’Imu e delle altre imposte immobiliari. Non si passa dunque da un regime catastale a uno patrimoniale basato su valori reali di mercato. Resta così l’incongruenza tra le rendite e i valori commerciali, e quindi l’iniquità della tassazione in presenza di immobili accatastati in passato in zone centrali delle grandi città, con rendite da case popolari, che pagano meno rispetto a immobili di recente costruzione in periferia con rendite aggiornate. Senza ignorare gli edifici residenziali degli Anni 40 trasformati attraverso migliorie in case di lusso e ville con piscina.

Ancora più deludenti i risultati sull’obiettivo di “una progressiva revisione del trattamento fiscale dei redditi personali derivanti dall’impiego del capitale”, sia mobile che immobile, verso un sistema compiutamente duale, mettendo ordine nel ginepraio delle aliquote attuali, che vanno dal 10% e dal 21% della cedolare secca sugli affitti al 26% sui capital gain, passando per il 12,5% su titoli di Stato e risparmio postale. Restano invariati quindi i regimi alternativi all’Irpef: nessuna “tassa piatta” unica, sopravvive la parcellizzazione delle imposte sostitutive che ripropone non poche disparità di trattamento di cui è davvero difficile predicare la compatibilità con i principi di uguaglianza e capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 della Costituzione.

Con lo svuotamento della riforma del catasto e il depotenziamento del sistema duale, sono non pochi i dubbi sulla reale idoneità di questa legge delega, privata dai partiti di buona parte della sua carica innovativa, a riportare ordine e a raggiungere quindi risultati positivi almeno nel medio periodo. Il rischio è che il sistema fiscale, nella sostanza, resti così com’è, lasciando sul tappeto il problema di sempre: la complessità del nostro ordinamento tributario con un labirinto di regole non sempre di facile interpretazione che rende conflittuale il rapporto fra contribuenti e fisco. Nel corso di quasi cinquant’anni dalla sua introduzione, la “grande riforma” degli Anni 70 è stata oggetto di numerosi interventi modificativi che, in assenza di una riforma organica, ne hanno causato una generale frammentazione normativa. Non funziona un sistema che ha bisogno di una circolare dell’Agenzia di oltre 400 pagine per le istruzioni sulle dichiarazioni dei redditi 2022.

Particolarmente significativo a riguardo l’intervento a Trento, in occasione del Festival dell’Economia 2022, del Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ruffini: “Una seria riforma fiscale può favorire la semplificazione del sistema, renderlo più equo ed efficiente, intervenendo sul quadro normativo: circa 800 norme, con il Tuir che dal 1986 ha visto oltre 1300 modifiche, che generano elusione e rendono difficile la riscossione nei confronti di 19 milioni di contribuenti con debiti verso l’Erario per circa 1100 miliardi di euro”. Ultimo avviso ai naviganti.


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Miriam Ballerini a Fagnano Olona (VA)