22 giugno 2022

L’ARTE DI CLAUDIA CANAVESI a cura di Vincenzo Capodiferro


 L’ARTE DI CLAUDIA CANAVESI

Simboli cosmici iscritti in dense e massicce rappresentazioni figurative

L’artista Claudia Canavesi Nata a Busto Arsizio, in provincia di Varese nei mitici anni Settanta, risiede nel lieto borgo di Carnago. Diplomata nel 2000 nel corso di Scultura conseguito presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera, Milano. Dal 2003 è docente di Discipline Plastiche ed Educazione Visiva presso Licei Artistici ed Istituti d'Arte nelle province di Milano, Como e Varese. Ha esibito diverse mostre dal 1997 al 2012, come si può evincere dai vari cataloghi d’arte. L’arte di Claudia Canavesi riprende simboli cosmici, segni ancestrali scolpiti nella Natura, sulle pietre, nei boschi, come sezioni auree ascose, latenti. La prima forma d’arte è l’imitazione della Natura che rimanda anche ad una stoica oikeiosis: vivere secondo natura, cioè nel proprio habitat. Ambiente, abito, abitudine rimandano tutti ad una radice comune: il posto in cui si vive. La Natura in sé è già un’opera d’arte: il fenomeno, l’apparire del tutto che influenzò lo stesso Kant è già estetico di per sé, suscita cioè un piacere alla sensibilità. L’opera d’arte deve suscitare necessariamente un sentimento. La Natura in sé ha in germe già i tre livelli artistici primordiali: l’architettura, la scultura e la pittura. Scrive di lei Luca Scarabelli: «La scultura come pratica sociale: Canavesi ci dice che i segni che ha inciso sulle forme sono in diverse lingue e che per la scrittura di questa parola ripetuta … hanno contribuito con la loro lingua madre molte persone, sue conoscenze e amici che si sono messi in comune, in comunicazione, intrecciando per questo lavoro lingue come lo svedese, l’arabo, il cinese, il giapponese, il greco … per predisporre una babele (da svelare) a partire dal proprio vissuto e aprire così le porte all’interpretazione». Subentra poi la fase archeo-industriale, fatta di ponti, di sospensioni, di tralicci. L’arte ha sempre una destinazione sociale e rivela l’espressività autentica dell’uomo inteso, come Cassirer, quale animal symbolicum. Il linguaggio dell’arte è universale, si avvicina a quel linguaggio non verbale che ci accomuna alle specie viventi: linguaggio naturale, necessario, universale. E l’uomo è ente interpretante nel senso più genuino e nietzschiano del termine. Claudia si fa interprete del disagio della civiltà, della nostalgia di un socialismo primordiale, quella marxiana prima fase, detta volgare, ma necessaria. Ogni forma di socialismo successiva è ritorno al socialismo originario. Dico “marxiano”, non marxista, proprio come affermava il prof. Oldrini: sono un marxiano, non marziano, non un marxista. Le sculture si dipanano da materiali semilavorati, grezzi, proprio ad indicare lo stato di continuità tra natura ed arte, quindi tra specie e storia. L’evoluzionismo si pone come sintesi: la Natura stessa ha una storia che procede come la storia dell’arte nei tre momenti universali hegeliani: architettura, scultura e pittura. Regno minerale, regno vegetale e regno animale. La scrittura dell’arte è universale, come sottolineava Scarabelli, è come quel linguaggio darwiniano che ci accomuna a tutte le specie viventi. L’homo animal symbolicum quindi va inteso nel senso più esteso del termine. Le prime forme di scrittura infatti sono sculture, basti pensare al cuneiforme o sono pittografiche. L'arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare – affermava Dalì. In questo senso l’arte di Claudia Canavesi non passa indisturbata, non lascia indifferenti. Ci invita alla riflessione, alla critica, con le sue “geometrie introspettive” o “prospettive interrelate”, coi suoi slanci simmetrici verticali (dalla Terra alla Terra, dal Cielo al Cielo). E qui c’è tutto. Heidegger scriveva che la Terra è l’auto-chiudentesi per eccellenza, il mondo è orizzonte auto-aprentesi. Terra e cielo da sempre costituiscono l’innato dialettico contrasto tra finito ed infinito, divino ed umano. La nietzschiana “Fedeltà alla Terra” rimanda sempre a questo atto di “cielificazione”. C’è una Terra solo perché c’è il Cielo. Non possiamo uccidere la luce che preme, come le tenebre, i due istinti cosmici primordiali: Apollo e Dioniso. Siamo impastati di polvere e stelle.

Vincenzo Capodiferro

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