28 ottobre 2021

APERTA PARENTESI Romanzo “neoromantico” di Chiara Merlotti a cura di Vincenzo Capodiferro

 


APERTA PARENTESI

Romanzo “neoromantico” di Chiara Merlotti


Aperta parentesi” è un romanzo di Chiara Merlotti, pubblicato da Dialoghi, Viterbo, luglio 2021. L’autrice, Chiara Merlotti è nata a Varese, città nella quale vive tutt’ora ed insegna Lettere nelle scuole superiori. La protagonista, Federica, insegna filosofia ai licei. Gli eventi significativi della sua vita - il primo amore, la morte del padre, l’incontro con Edoardo, la relazione con uno schizofrenico, Alessandro - si intrecciano con quelli della storia: la prima elezione di Obama, la bancarotta di Lehman Brothers, la pandemia del Covid-19. L’ontogenesi si ricollega alla filogenesi: ogni vita è legata al filo della Vita, ogni storia alla Storia di tutta l’umanità. Seguiremmo qui un principio caro ad Ippocrate: symnoia panton (tutte le cose cospirano insieme). Ogni piccolo evento che accade nell’universo ha ripercussioni in tutto l’universo. O il principio leibniziano caro ai positivisti: ogni attimo è carico di passato e gravido di avvenire. Quae fuerint, quae sint, quae mox ventura trahantur, ripeteremmo col nostro padre vate Virgilio. E la nostra Chiara è innamorata del tema del tempo, cita Bergson, la metafora del gomitolo. Quella metafora “piacque tanto a Federica”: “perché le fece venire in mente i gatti. Aveva sempre desiderato un gatto e in quel momento decise che come regalo di maturità, insieme al viaggio a Londra, avrebbe chiesto ai suoi genitori un gattino. Anzi una gattina. Cominciò a pensare a come chiamarla, e in pochi minuti la pagina del quaderno di filosofia si riempì di una lunga lista di nomi che Federica via via scartava…”. E poi esce fuori “il gatto di Ungaretti”; “Patouf”. Non è un caso: Non ho voglia/ di tuffarmi/ in un gomitolo/ di strade… Il gomitolo di Bergson somiglia molto al gomitolo di Ungaretti: la vita è un dispiegarsi di strade intricate, di heideggeriani “Sentieri interrotti”. Ogni titolo di capitolo del romanzo rimanda ad un tema letterario: è un esperimento bellissimo. Non mancano esperimenti di scrittura creativa, come “BASTAAAA…” in “Al limitar di Dite”. Il tema del tempo si intreccia spesso col fato, quella “heimarmene” degli Stoici: Fata volenetem ducunt, nolentem trahunt. L’emblema di questa ineluttabilità dell’esistenza umana nella sua esistenzialistica, heideggeriana, gettatezza, la troviamo ad esempio nel capitolo “22.02.2022”: “Le date palindrome capitano trecentossessantasei volte in diecimila anni. Sono, per intenderci, quelle che si possono leggere anche al contrario… Ora, per esempio, sono quasi le diciotto del 22 febbraio e Federica vorrebbe fermarlo, il tempo, perché non ce la farà mai ad arrivare a lezione puntuale…”. È un rimasuglio della nostra mirandolesca, umanistica, mnemotecnica. Ecco si strombazza un richiamo forte all’orario, alla vita scandita e quindi candita, cioè trattata. Questo modellamento del tempo si contrappone al tempo libero. Chiara spesso riporta questi puntelli del tempo spesso: “ Il padre di Federica era nato il 28 aprile 1945, nel giorno in cui Benito Mussolini e Clara Petacci venivano fucilati…”; “Romano e Lucia erano diventati marito e moglie nella parrocchia di Luvinate alle undici di sabato 13 maggio 1978, quattro giorni dopo il ritrovamento a Roma del cadavere di Aldo Moro e l’assassinio a Palermo di Peppino Impastato…”. Alla fine poi, la ciliegina sulla torta sono quelle intense calorose missive che Federica invia ai suoi cari, al padre, al fidanzato… Il testo è corredato di una nota esplicativa dei titoli. Il romanzo racchiude come in uno scrigno chiare venature autobiografiche: il giovane che si auto-racconta e che intraprende un cammino di ricerca, come il Werter goethiano, o lo Ortis foscoliano, o l’Emilio rousseiano, o quella “infelice” coscienza hegeliana che s’inerpica nelle trame della “Fenomenologia”, memore dell’atavico monito: Conosci te stesso! E della socratica risposta: Una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta! È un romanzo molto “romantico”, che racchiude una freschezza, come aulente rosa che si schiude.


Vincenzo Capodiferro

21 ottobre 2021

ASTENSIONISMO, UN VIRUS PERICOLOSO Di Antonio Laurenzano

 


ASTENSIONISMO, UN VIRUS PERICOLOSO

Di Antonio Laurenzano

Il secondo turno dell’election day di ottobre ha confermato nell’ astensionismo il vero protagonista di questa tornata elettorale amministrativa. I ballottaggi hanno riproposto la forte disaffezione alle urne dove si è recato soltanto il 43,9% dei circa 5 milioni di potenziali elettori. Un ulteriore calo di votanti rispetto al già desolante dato del primo turno (54,7%). Meno della metà, la partecipazione più bassa di sempre. Emblematica la flessione registrata a Roma (9,5%), ancora di più quella di Torino (12,3%). Chi vince nelle urne, anche quando vince bene (come Manfredi a Napoli, Sala a Milano e Gualtieri a Roma), appare dimidiato dal fatto di rappresentare una consistente minoranza di elettori.

L’indicazione che viene dal non voto è inquietante: in Italia, la politica, intesa come condivisione e partecipazione, sta scivolando verso l’irrilevanza. Un segnale di rifiuto e di forte sfiducia nei confronti dei partiti politici e delle istituzioni, il Parlamento in primis, che dovrebbero rappresentare le istanze dei cittadini. La minore importanza attribuita alla politica, sempre più “frammento“ dell’identità personale, la crescente disillusione che si traduce in disaffezione, il ridimensionamento delle organizzazioni dei partiti sul territorio e soprattutto la carente credibilità del messaggio politico riconducibile al profilo dei candidati proposti dai partiti o allo scarso appeal delle loro proposte, sono fattori che si traducono in demotivazione e nella rinuncia al voto.

Un astensionismo record che dovrebbe far riflettere tutte le forze politiche, non solo quelle che verosimilmente con scelte scellerate hanno alimentato in misura maggiore la protesta, e quindi il bacino del non voto. Se a votare è andata la minoranza del Paese, c’è una palese crisi della democrazia generata dal decadimento di una classe politica che denota spesso una totale assenza di cultura politica, espressione di preparazione e competenza. Tanta improvvisazione e una incapacità nel formulare una seria proposta politica non ancorata a misere questioni di bottega. Tutto appare inquinato dalla corsa a mettere bandierine di partito in dibattiti pretestuosi, a rincorrere i fantasmi del passato, a perseguire sovranismi antistorici, a disegnare demagogici populismi, trascurando di fatto l’azione di sviluppo socio-economico del Paese con i problemi reali della gente. Si può essere bravi specialisti nel fomentare la rabbia sociale soffiando sul fuoco della protesta e della disubbidienza civile ma penosi dilettanti di governo se privi di competenze visione programmatica nell’affrontare le sfide del Paese.

Una politica lucida si fermerebbe a riflettere. Invece le analisi del voto rimuovono totalmente il macigno dell’astensionismo. Si sta creando uno spazio enorme che rappresenta un buco nero dell’offerta dei partiti. Il disagio è particolarmente diffuso nelle periferie delle grandi città, c’è sfiducia, prevale un senso di non rappresentanza nei quartieri più popolari che si esprime nel non voto. Le persone socialmente più deboli, lontane dalle contrapposizioni ideologiche del passato, sono diventate anche le più scoraggiate, quelle che hanno perso qualsiasi speranza nella possibilità di una soluzione collettiva ai propri problemi esistenziali. Privi dell’antica passione, i ceti meno abbienti e meno garantiti guardano alla politica con diffidenza e molto distacco. Una situazione che è indice di un grave fenomeno: la radicale perdita di fiducia nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale. L’esercizio dei diritti politici fra disoccupati, precari, marginali, impoveriti ha perso da tempo molte delle sue attrattive. E l’esercito del non-voto e della non partecipazione continua a ingrossarsi con l’arrivo di tanti giovani in fuga dal voto per motivi legati alla precarietà del lavoro, al pessimismo riguardo al futuro, nonché alla confusione ideologica causata dai ricorrenti trasformismi politici dei signori che siedono nelle aule parlamentari.

Diventa sempre più profondo il fossato fra cittadini e politica. E’ tempo dunque che i partiti e le istituzioni riprendano a svolgere con onestà d’intenti il loro ruolo per azzerare la crisi di fiducia dell’elettorato, il suo crescente sentimento antipolitico e antipartitico, perché il “sonno della ragione” non ha mai portato buoni frutti alla democrazia. E il virus dell’astensionismo non si debella con i silenzi.



IL TEMPO IN FRANCESCO GUCCINI a cura di Enrico Pinotti

 


IL TEMPO IN FRANCESCO GUCCINI

Nel primo album Folk beat n°1, un riferimento al tempo già c’è: “Noi non ci saremo”, lui non lo dice, lo lascia immaginare, sarà forse fra millenni. In una canzone successiva ‘Due anni dopo’ è più preciso”…e ti ritroverai due anni dopo al punto di partenza”: ma questa è solo una considerazione, non è una profezia. Guccini, le domande sul tempo passato, su quello presente, su quello che verrà e su quello che scorre se le farà fra poco; non ancora nell’album L’isola non trovata che è del 1970 dove, nella canzone “Tema” però ne pone le premesse: “ Un anno è andato via dalla mia vita e già vedo danzar l’altro che passerà. Cantare il tempo andato sarà il mio tema perché sempre negli anni uguale è il problema. E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi. Cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi che si sono persi”. Sempre in quest’album Due anni dopo c’è il brano “Un altro giorno è andato” che è tutto dedicato al tempo che passa e non ritorna più e qui forse è necessario trascrivere l’ultimo verso, che come solito il cantautore ripete tre volte: “Il tempo andato non ritornerà”

Nel 1972, Guccini incide l‘album Radici, qui c’è il brano che si titola “Canzone dei dodici mesi” e già questa è un’indicazione esplicativa sul succedersi del tempo ed il ritornello lo stigmatizza: ”O giorni o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, la mano di tarocchi che non sai mai giocare.” L’album Radici rappresenta senz’altro una svolta artistica del cantautore: le canzoni si fanno più lunghe e descrittive, le musiche si arricchiscono con strumentisti che anche in seguito collaboreranno con “il Maestro”, Ares Tavolazzi ex ‘Area’, Ellade Bandini alle batterie, Vince Tempera alle tastiere e con la collaborazioni saltuarie di Deborah kooperman al flauto e alla chitarra e di Maurizio Vandelli al moog e al mellotron; si arricchiscono gli arrangiamenti: ne esce un suono che rompe le tradizioni sia di Guccini (chitarre e poco più) che di altri autori del periodo. Importante l’incontro del cantautore con Juan ‘Flaco’ Biondini, chitarrista argentino che lo seguirà per tutta la carriera ,influenzandolo sulle musicalità sudamericane sui tanghi, le milonghe, le chacaera, laz amba. Si potrebbe dire che sono sonorità che anticipano (almeno in Italia) il “progressive rock”unendosi con il jazz. Anche la voce di Guccini si fa più matura, non è più squillante come nelle prime incisioni. Ma, parlando del testo della canzone (Radici), si può dire che mantiene la promessa fatta qualche anno prima: ‘cantare il tempo andato sarà il mio tema’. La canzone si fa memoria, già ricorda la sua infanzia al mulino dei nonni, ricorda le mura della casa sul confine della sera e fa considerazioni sul tempo che passa e già appare un sentimento che si chiama nostalgia e si pone domande antiche a cui non sa rispondere perché ‘la pietra antica non emette suono o parla come il mondo o come il sole, parole troppo grandi per un uomo’.

Ne le Stanze di vita quotidiana, album che segue Radici, il cantautore riflette sul presente con malinconia, c’è qualche ricordo : “…sono aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava, fuori o dentro è tutta morta…” ma la caratteristica delle composizioni è la tristezza che pervade il presente, tristezza che rende esplicita in un verso del brano “Canzone della vita quotidiana”: “…e poi ti ritrovi vecchio e ancor non hai capito che la vita quotidiana ti ha tradito.”

Nel ’76 esce Via Paolo Fabbri 43: oltre che fantasticare su se stesso e scrivere canzoni ‘avvelenate’ parla di un suo vicino di casa, un pensionato ed immagina a proposito ‘quel tic tac di sveglia che enfatizza ogni secondo’. Dopo, in Amerigo, il futuro Maestro, ricorda lo zio emigrato in America per lavorare in miniera fra polacchi ed irlandesi e ritorna al paese natale ‘a giovinezza ormai finita’; qui i verbi sono tutti al passato: uscì, era, andò, aveva, sentiva, vide, fu, tornò, gli scivolavo accanto, non capivo; l’unico futuro è: “…finché non verrà il tempo in faccia al mondo per rincontrarlo.”

In Eskimo racconta di un periodo della sua giovinezza quando l’estate finiva più nature, ‘vent’anni fa o giù di lì’. Nel brano “Il vecchio e il bambino”, è il vecchio a parlare e a raccontare come era un tempo la pianura e seguiva il ricordo dei miti passati, ‘crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e delle stagioni’.

Bisanzio, brano dell’ 81 è uno dei più rappresentativi della discografia del cantautore: è Filemazio che narra, lui protomedico, astronomo, matematico, forse saggio vissuto sotto il regno dell’imperatore Giustiniano (c. 500) e si chiede se stanno mutando gli astri di equinozio, ‘ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la conoscenza ed il coraggio per fare questo oroscopo, per divinar responso e resto qui ad aspettare che ritorni giorno’ ‘…romani e greci, urlate, dove siete andati?’

È il 1983 quando viene pubblicato l’album Guccini, qui vi sono almeno tre brani da citare per quanto riguarda le riflessioni sul’ tempo’: Gulliver è costretto ad ammettere ‘che da tempo e mare non si impara niente’; in “Argentina” il cantautore compie un viaggio immaginario e idealizzato, ma alla fine scopre che ‘è tutto uguale’ anche sotto la capovolta ambiguità di Orione “…perché io c’ho già vissuto in Argentina, chissà come mi chiamavo in Argentina e che vita facevo in Argentina e allora,..dont’t cry for me, Argentina”. Eccoci a “Shomèr ma mi- llaila?” , canzone che si interroga sul tempo (eterno?): il punto interrogativo è d’obbligo, visto che è una domanda che la sentinella fa forse a se stessa. Il titolo è una citazione biblica (Isaia 21,11) ed in ebraico significa “sentinella, a che punto è la notte? , quanto resta della notte?” La sentinella non chiede che ora è perché sa che la notte può durare giorni, mesi, anni, secoli oppure millenni prima di arrivare al giorno: qui Guccini si pone domande che vanno oltre il tempo.

Da qui in poi, nella discografia di Guccini tranne qualche brano, predominano i ritratti. “ Signora Bovary”, “Van Loon” (dedicata al padre), “Keaton” , conosciuto su un set cinematografico, il quale ‘aveva in corpo mille litri di alcool’; “Cencio” che è un amico della sua quasi gioventù e lo saluta con un ‘s-ciao, giovinezza’. Ritratti sono quelli di “Cyrano de Bergerac”, di “Don Chisciotte”, di “Cristoforo Colombo” e di “Ulisse” , Ulisse al quale fa dire “…seppi che il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare, ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli del presente”.

Nella canzone “Emilia” fa riferimento ai guerrieri del nord dai capelli gessati…’intanto l’acqua gira e passa e non sa dirmi niente’ ma in ” Lettera”, ‘all’una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti… sdraiato fra l’erba verde fantastico piano sul mio passato. Ma l’età all’improvviso disperde quel che credevo e non sono stato… Ma il tempo chi me lo rende? Chi mi da indietro quelle stagioni?... Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa e c’è il sospetto che sia triviale, l’affanno e l ‘ansia dopo una corsa. L’ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita e il vento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita”.

In “Vorrei” esprime un desiderio: ‘vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati… Vorrei che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito.

In “Non bisognerebbe” c’è un rimprovero, quello a ricordare: “…primo, non ricordare e invece, come tutti, sempre lì a portarti addosso, a ricercare quello straccio rosso che lega il tempo assente ed il presente nella mente… Non bisognerebbe ricordare”, In "Addio" ‘…eterno studente perché la materia sarebbe infinita’ cita un anno preciso (non è la prima volta, l’aveva già fatto in Fantoni Cesira, allora era il ’53) il 1999, anno in cui dice ‘addio’ (ma fra le righe lo già fatto), alle cazzate infinite, ai riflettori e pailletes, alle televisioni, alle urla scomposte di politicanti e professionisti.

Nello stesso album c’è Stagioni che gli da anche il titolo. “…quanto tempo è passato da quel giorno d’autunno (qui il riferimento è all’uccisione di Che Guevara) …erano gli anni di miti cantati …e poi negli anni qualcosa terminò per davvero cozzando contro gli anni del vivere giornaliero” L’album Stagioni è del 2000 ed è ricco di riferimenti al tempo che passa e non ritorna, alle ore passate e alle stagioni andate, ai ricordi. “Autunno”: ‘L’autunno si fa sonnolento, la luce del giorno è un momento che irrompe e veloce è svanita: metafora lucida di quella che è la nostra vita… rinchiudersi in casa a cantare le ore che fai scivolare pensando confuso al mistero dei dati “io sarò” diventati per sempre "io ero” …che cambia “io faccio” in “io ricordo”… sapendo che a questo punto il tuo autunno è arrivato ."E un giorno" è dedicato alla figlia e al suo futuro…’e un giorno ripenserai alla casa che non è più la stessa’.’ Inverno ’60’: ‘c’è da ricominciare un’altra settimana strascicando nei giorni l’attesa quotidiana; sempre in Stagioni, in’ Primavera ’59 : che è a tempo di tango: (mano di Flaco Biondini) ‘…e credevate che sarebbe stato eterno quell’amore, quel fiore non avrebbe mai visto l’inverno, quel giorno non sarebbe mai mutato in sera, per voi sarebbe stata sempre primavera…’ ma i giovani s’illudono di essere immortali e che ogni storia duri per l’eternità…

Ritratti è del ’94: ‘ La tua libertà’ :…e la mia strada lungo le stagioni può essere breve, ma può essere infinita’. Nel brano ‘Vita’, sempre dello stesso album è il riflettere, vedendo, le cose di un rigattiere: ‘mi piace rovistare nei ricordi di altre persone inverni e primavere’

Vengono nel frattempo e poi i ritratti, alcune riflessioni, il testamento dopo.

La ‘Ziatta’ è la zia ‘...un spec’ vec’ e incrinèe gh’arcurdarà pian cum’è al témp l’è pasée, cum’è ‘in volée i’an…’ Ritratti’ dicevamo: don Chisciotte, Cyrano di Bergerac, Cristoforo Colombo, Ulisse

ed appunto ‘Odysseusì merita una riflessione di Ulisse: “ Seppi che il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare, ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli del presente…’

Prima di addentrarci nell’Ultima Thule, album di addio di Francesco alle incisioni discografiche (è il 2012) vorremmo citare e ricordare i versi, le frasi e le riflessioni che compongono Incontro e Piccola città, Guccini aveva allora circa trent’anni: nella prima: ‘…cara amica, il tempo prende, il tempo da, restano i sogni senza senso, le impressioni di un momento, le luci di case intraviste da un treno, siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa ed il cuore di simboli pieno’; nella seconda cita Modena,’bastardo posto’: ‘piango e non rimpiango la tua polvere e il tuo fango, le tue vite, l’oro e il marmo….così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso, cerco le notti ed fiasco, se muoio rinasco finché non finirà’.

Premesso che L’Ultima Thule è l‘ultimo disco registrato da Guccini, ci preme ricordare le premesse del titolo ed evidenziare alcuni brani che al tempo si riferiscono. Nel corso delle tante antichità, l’esploratore greco Pileo, l’Ultima Thule l’aveva già citata nel II sec. (Virgilio a.C., il mito lo ha probabilmente creato il poeta Virgilio negli Emistichi (1-30) dedicati ad Ottaviano Augusto. Guccini ha fatto suo il mito, senza badare dove l’isola si trovasse, piuttosto che ella fosse senza tempo

Oltre che L’ultima Thule nell’album compaiono Canzone di notte n° 4’, più riflessiva e malinconica rispetto alle altre tre: ‘…e la battola ritmica sbatteva in casa e giù dai ruoti dell’abbaino e sentivi e macine frusciare dentro il mulino. E ‘l’ultima volta’ cerca di ricordarsi quale è stata l’ultima volta che gli hanno comprato i sandali nuovi. Come ‘Su in colina’, anche in ‘Quel giorno di aprile’ riaffiorano le memorie e i ritratti del sentito parlare della memoria partigiana e di tutto ciò che ancora incombeva e minacciava.


© Enrico Pinotti






































18 ottobre 2021

VISCERA di Simone Volponi a cura di Miriam Ballerini


 
VISCERA di Simone Volponi – Non ho paura di loro, ho paura per loro, per come cambieranno il mondo -

© 2021 Ambrosia

ISBN 2280-1529 Pag. 312 € 14,90

Ve lo anticipo subito: questo romanzo mi è piaciuto e mi ha convinta, ma non lo consiglio a tutti. Se avete lo stomaco debole, se vi lasciate spaventare facilmente, se le scene truci vi impressionano: lasciate perdere! Questo libro non fa per voi!                                                        Nella prefazione di Maurizio De Paola, lo stesso lo giudica come “Un romanzo nero, nerissimo”.                                                                                                                                             Viscera è un noir, una ghost story, un horror, una sequenza di scene atroci che non si possono leggere senza provare, spesso, un moto di disgusto! Ma non lo dico in negativo; Volponi ha fatto bene il proprio mestiere.                                                                                                         Viscera è un demolitore di persone. Gli arrivano cadaveri che devono scomparire e lui … li rottama. Abita in una discarica di auto e, qui, fa a pezzi i cadaveri, per poi seppellirli sotto i vari rottami. Vive in una roulotte, sporca e puzzolente quanto lui, lontano dal mondo.

Era un incubo di lamiere e mosche con un capanno come cuore al centro”.

Viscera si racconta in pagine lasciate da parte rispetto al contesto della trama, scritte in corsivo, dove troviamo i suoi pensieri.                                                                                                 Non è per niente un uomo cinico e senza cuore, anzi... spesso cerca di parlare con gli assassini che arrivano a lui, mostrando a loro che c'è sempre un'altra strada; ma quella è gente che è scesa nei propri abissi, perdendosi: “Dove tocchi la morte e inizi a danzare coi tuoi demoni e ad accoglierne di nuovi senza più timori, giudizi, regole. Il sublime si mischia al torbido e noi ne siamo i protagonisti, eterni già da vivi, perché non abbiamo più limiti”.                             Nel romanzo Volponi descrive i personaggi che in quegli abissi sguazzano: poliziotti, un prete, gente borghese, spacciatori... travolti in storie dove veramente i limiti vengono annullati. Il prete raggruppa delle ragazzine minorenni e le fa lavorare, offrendo appuntamenti a gente che all'apparenza pare formata da brave persone, ma che si macchiano con quella parola disgustosa che è la pedofilia.                                                                                                             Omicidi, torture, stupri... non ci risparmia proprio nulla, scendendo nei minimi particolari.    Viscera, che all'inizio pare essere un grosso mostro senza cuore, ci mostra sempre più il suo lato umano che si cela dietro il grasso, le maniere rudi, la violenza passiva. Tutto cambia quando, all'improvviso, il cadavere di una ragazzina che lui ha rottamato, gli si presenta, costringendolo a vendicarla. Lui cerca di resistere, perché non è un assassino, ma un demolitore. Dopo varie vicissitudini accetta e, la vendetta della giovane Romina, ha inizio.     Tra i personaggi mi è piaciuta molto la prostituta Geri, un poco in là con gli anni che, talvolta, Viscera chiama. È la persona, che in tutto il libro, ha in sé una dolcezza materna incredibile, cosa che manca del tutto a quelle che madri le sono davvero e che non hanno nessuno scrupolo a fare prostituire le figlie minorenni.                                                                             Volponi scrive bene, è portato per questo genere; è diretto, sincero, audace. Peccato per alcuni refusi di troppo, mi è spiaciuto per la bellezza del libro.                                                                     Ha anche degli attimi di scrittura “poetica” che smorza la brutalità della trama: “Un cane... rossiccio come un pezzo di tramonto a quattro zampe caduto dal cielo”.

A tratti mi permetto di definire il romanzo una “favola noir” con un lieto fine, dove la morale mai è venuta meno. Non lo si immagina nemmeno lontanamente mentre siamo persi nella melma di una lettura che ci trascina sul fondo di una umanità perduta, volgare, cinica; dove il degrado dell'anima è all'ennesima potenza e le fogne vengono scoperchiate sotto un cielo cupo. Eppure, Volponi, infine, lascia spazio alla brillantezza di un raggio di sole.                 Trama originale, ben congegnata, dove troviamo una descrizione del Paradiso alquanto alternativa! Lo consiglio agli amanti del genere.

© Miriam Ballerini

fonte: "Viscera" di Simone Volponi: non ho paura di loro, ho paura per loro, per come cambieranno il mondo - OUBLIETTE MAGAZINE

16 ottobre 2021

Charles Bukowski – Pensieri e aforismi – a cura di Marcello Sgarbi

 


Charles Bukowski
– Pensieri e aforismi – (Dalai Editore)


Pagine: 28

Formato: Brossura

ASIN: B00FG5QHBU


Un esempio emblematico di personaggio borderline, nel panorama della letteratura contemporanea, è quello offerto da Charles Bukowski. Che oltretutto rappresenta anche uno di quei casi altri insegnano, vedi per esempio James Ellroy – in cui i libri ti salvano la vita. Il nostro Charlie avrebbe potuto continuare a lavorare come postino giusto per sbarcare il lunario, o schiantarsi il fegato con sbronze terrificanti. Invece, a un certo punto della sua strada, ha incontrato la scrittura.                                                                                                                 E la sua esistenza sopra le righe, caratterizzata dagli eccessi e culminata tragicamente a causa di una leucemia fulminante, apre squarci di illuminante lucidità. Scrittore e poeta, attraverso Henry “Hank” Chinaski – il suo principale alter ego – e altri misantropi, alcolizzati, vagabondi ed erotomani sparsi nei suoi romanzi e nei suoi racconti - che altro non sono se non ritratti diversi di se stesso – Bukowski scaglia lampi di “ordinaria follia” che non possono esimerci dal riflettere. Eccone alcuni, tratti da “Pensieri e aforismi” – edito da Stampa Alternativa nella collana “Millelire” - e contenuti in altrettanti volumi.

L’amore è una forma di pregiudizio. Si ama quello di cui si ha bisogno, quello che ci fa comodo. Come fai a dire che ami una persona, quando al mondo ci sono migliaia di persone che potresti amare di più, se solo le incontrassi? Il fatto è che non le incontri.

(da “Musica per organi caldi”)

Lo scommettitore è un misto di estrema presunzione, pazzia e avidità.

(da “Storie di ordinaria follia”)

Ospedali e galere e puttane: sono queste le università della vita. Io ho preso parecchie lauree. Chiamatemi dottore.

(da “A sud di nessun nord”)

È impossibile scrivere in pace se quello che si scrive vale qualcosa.

(da “L’ubriacone”)

Scrivere è il 90% per me. L’altro 10% è aspettare di scrivere.

(da “Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle”)

Quel bar non lo aveva mai visto così pieno. Sulla via per l’inferno c’è sempre un sacco di gente, ma è comunque una via che si percorre in solitudine.

(da “Niente canzoni d’amore”)

© Marcello Sgarbi


09 ottobre 2021

Daniele Brolli – Animanera – a cura di Marcello Sgarbi

 


Daniele Brolli
– Animanera – (Dalai Editore)


Collana: Romanzi e racconti

Pagine: 326

ISBN: 97888859687616

Il mare d’inverno è come un film in bianco e nero visto alla tivù…”. Ecco, forse bisognerebbe immaginarlo così l’Adriatico, mentre si legge questo noir. Dove non si cita il teatro dell’azione, ma quasi sicuramente è a Rimini che si fa riferimento. Una capitale del divertimentificio romagnolo che invece qui appare desolante, degradata, molto simile per certi versi alla Roma pasoliniana di “Ragazzi di vita”. Qui due serial killer, l’Ometto e l’Uomo-comò - servo e padrone - legati da un rapporto sadomasochista, esprimono tutto il loro disprezzo per la vita altrui segregando, torturando e uccidendo per il solo gusto di farlo. Nel fluire della narrazione, asciutta, cruda, ma ricca di particolari, sembra di avvertire la risacca dell’ondata della “gioventù cannibale” di cui in qualche modo anche l’autore ha fatto parte. Un personaggio molto eclettico.

Appassionato di science fiction, illustratore, editore e sceneggiatore di fumetti, Daniele Brolli è stato fra l’altro editor della versione italiana dell’”Isaac Asimov Science Fiction Magazine”, componente del collettivo “Valvoline Motorcomics”, chief editor di “Baribal”, fondatore della casa editrice “Comma 22”, saggista, videomaker e ghostwriter.

Scivola contro il muro con gli occhi semichiusi.

La superficie ruvida gli graffia la spalla sotto i vestiti.

Un odore di fritto e di vernice gli arriva al naso.

Qualcosa si muove tra le aiuole del giardinetto del palazzo, si affaccia verso di lui.

C’è un rumore di ganasce che scattano su qualcosa di scivoloso.

Gli occhi piccoli e sanguigni lo fissano brevemente, poi la bestiola si ritrae

con un organismo putrido che gli penzola dalle fauci.

Loris ha un sorriso incongruo.

Affronta il portone non senza difficoltà di inquadramento, ma alla fine entra.

Vede ogni cosa virata in azzurro come trasferita su uno schermo video tramite coordinate elettroniche, con i contorni segnati da un filo di luce intensa. E non è abituato.

Loris ha gli occhi marchiati dalla stanchezza, due pozze di unto di polipo.

Le mascelle dei dobermann che dilaniano pezzi di carne viva.

Tunnel bui bruciati dalla luce fredda di un faro.

Soffitti grondanti di materiali organici.

Un fuoco che brucia un capannone industriale.

Una corsa di immagini sotto le stelle.

I missili Patriot che nella notte scendono su Bagdad come un San Lorenzo artificiale.

Carcasse di animali.

Ferite in putrefazione.

Poi bianco e nero.

La foto segnaletica di un uomo non identificato ritrovato morto nella metropolitana di Londra dopo un attentato dell’Ira.

Immagini di repertorio di corpi scheletrici.

Mucchi di cadaveri in disfacimento.

Sarajevo dopo le granate serbe.

Poi al rallentatore.

Una simulazione di scontro automobilistico con un manichino al posto di guida.

L’attentato a un uomo politico.

Un’esplosione atomica.


© Marcello Sgarbi

08 ottobre 2021

La ruggine del tempo di Dario Galimberti a cura di Miriam Ballerini

 


LA RUGGINE DEL TEMPO – Un passato irrisolto si sbraccia per trovare spazio e farsi udire – di Dario Galimberti

© 2021 Dea Planeta libri s.r.l.

ISBN 978-88-511-9520-5

Pag. 287 € 12,90

Galimberti è un architetto che vive a Lugano, da sé stesso ha attinto a due cose: la conoscenza dei palazzi e della geografia del posto.                                                                             Personalmente consiglio, laddove non si tratti di libri fantasy o di fantascienza, di scrivere di ciò che si conosce; su questo Galimberti ci ha preso in pieno! Infatti, tutto questo rende credibile la storia.                                                                                                                                     Una vicenda ambientata nel 1931-32 dove un poliziotto, Ezechiele Beretta, viene coinvolto in una vecchia storia da una sua conoscenza, la signora Liside, che in punto di morte gli svela un particolare di un delitto avvenuto nel 1881 rimasto per ben cinquant'anni irrisolto.                     La storia si svolge a Lugano, e cita posti che io conosco molto bene, pertanto mi sembrava quasi di vederli! La ricerca storica, accurata, svela strade che all'epoca si chiamavano in altro modo, palazzi che non esistono più, come il castello di Trevano, dove è accaduto il terribile fatto del passato.                                                                                                                             Galimberti scrive in modo semplice, accattivante, costruendo un giallo ben congegnato. I suoi personaggi sono gente alla buona, Liside, ad esempio, parla in dialetto (per chi non lo conosce, nelle ultime pagine trova tutti i riferimenti, sia per quanto riguarda la lingua, che per le varie vie). I suoi protagonisti sono citati usando un lombardismo, non so se voluto per integrarsi con la loro semplicità, oppure no... ad esempio: “la Liside”, “il Beretta”...                                         Ci sono dei personaggi secondari che sono quasi delle macchiette, come: Martinpicc. Cioè quegli individui che vengono coinvolti nelle indagini, e che, nella società in cui vivono, vengono citati per soprannome, per una loro qualche particolarità.                                                 La lettura è gradevole, per via delle battute di spirito che spezzano l'atmosfera e rendono i protagonisti più “umani”, non semplicemente poliziotti, indagatori, ma persone.                 Mentre Beretta e i suoi collaboratori indagano sul delitto avvenuto 50 anni prima, scoprono dapprima che, i crimini, furono in realtà costellati da tre morti e un furto; inoltre, vengono distratti da uno strano incidente stradale avvenuto nella notte di capodanno del 1931... ha qualcosa a che fare con i delitti del passato? A quanto pare qualcosa di scomodo hanno smosso, se pure loro sono vittime di uno strano agguato.                                                                     La furbizia, la perseveranza, porterà comunque al risultato sperato: la cattura del colpevole.    Ecco che Galimberti, anziché fare spiegare al criminale quanto accaduto, preferisce inserire due spaccati storici: quanto accaduto nel 1881 e quanto accaduto nella famosa notte di capodanno.                                                                                                                                                     Mi ha fatto sorridere che, addirittura, lo scrittore sia riuscito a portare degli esempi architettonici anche nella quotidianità: “...fette di salame nostrano... tagliato in diagonale a formare perfette ellissi euclidee”.                                                                                                             Ho apprezzato molto l'inserimento di un ricordo storico sui nostri migranti che partivano con la valigia di cartone per raggiungere altri stati in cerca di fortuna. Un accenno sociale è sempre utile anche se non inerente al genere letterario; personalmente ritengo che uno scrittore valido debba lanciare messaggi positivi.                                                                                                             Un libro semplice, agevole, piacevole, scritto in modo quasi inclusivo, nel senso che ci sembra di fare parte anche noi della famiglia creata dallo scrittore.                                                        Aveva anche voglia di ascoltare i racconti e udire le voci che avevano popolato la sua infanzia, di sentire i pettegolezzi della gente comune con quella nenia che sapeva di casa”.    Se devo trovare qualcosa che non mi ha convinta è, probabilmente, la presenza dei tanti personaggi secondari, tutti corredati di nome e cognome e descrizione. A volte si fa fatica a seguirli tutti. Sarebbe stato più semplice accennarli solo in modo superficiale. Comunque il parere del testo rimane positivo. Per chi ama i gialli un'indagine da seguire.

© Miriam Ballerini


fonte: "La ruggine del tempo" di Dario Galimberti: un passato irrisolto si sbraccia per trovare spazio e farsi udire - OUBLIETTE MAGAZINE

04 ottobre 2021

In libreria: La brace dei ricordi di Giovanna Fracassi edito da Rupe Mutevole Edizioni

 


In libreria: La brace dei ricordi di Giovanna Fracassi edito da Rupe Mutevole Edizioni



[…] Volute di fumo/ saliranno dai prati:/ il respiro dell’estate/ a confondersi con il mio/ e sarò acqua nella pioggia/ nuvola nel vento/ erba nella terra/ fuoco nelle viscere dell’universo.” – dalla lirica “Volute di fumo”

La brace dei ricordi” è la nuova raccolta poetica di Giovanna Fracassi recentemente pubblicata per la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni. La copertina e le immagini dei quadri presenti all’interno del libro sono opere di Nico Daniele, in arte NicDan.

Il volume consta di circa 140 pagine ed è suddiviso in tre parti oltre alla prefazione iniziale curata dall’editrice. La prima parte vede una serie di poesie inedite dell’autrice che forgiano la raccolta “La brace dei ricordi”, nella seconda e terza parte invece possiamo ritrovare una selezione di poesie già edite nei libri “Il respiro del tempo” (Kubera Edizioni, 2018) ed “In esilio da me” (Kimerik, 2016) che ribadiscono il concetto del ricordo espresso nella prima parte.

C’è stato un tempo/ in cui tu eri/ quell’indistinto desiderio/ per cui l’alba aveva una/ nuova dolcezza/ eri quel segreto motivo/ per cui l’anima stupita/ si dischiudeva al nuovo giorno.// Ho atteso i tuoi passi/ sotto la pioggia/ sul prato lacrimoso di rugiada/ nel bosco quando il freddo/ par si possa soffiare lontano.// […]” – dalla lirica “Il fuoco del ricordo”

L’autrice, Giovanna Fracassi, è laureata in Filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Padova, specializzata in Pedagogia e nel metodo di scrittura Braille, ha conseguito un Master in Counseling ed uno in Cinema, teatro, spettacolo. Ha frequentato innumerevoli corsi per approfondire i suoi interessi quali la poesia, la narrazione, l’esplorazione del sé, l’etica applicata alla vita quotidiana ed alla difesa della donna.

I suoi libri di poesia e narrativa sono inseriti nelle biblioteche nazionali e sono stati presenti nelle fiere internazionali del libro di Torino, Milano, Roma, Pisa, Padova, Bergamo, Imperia, Bordighera, Francoforte (Germania); molti suoi componimenti sono stati pubblicati in antologie e sono stati premiati da giurie di concorsi in Lombardia, Umbria, Toscana, Calabria, Sicilia e Veneto.

Ha esordito con la casa editrice Rupe Mutevole nel 2012 con la raccolta poetica “Arabesques”, segue nel 2013 “Opalescenze”, nel 2014 “La cenere del tempo”, nel 2015 “Emma alle porte della solitudine”, nel 2017 “Nella clessidra del cuore”, nel 2018 “L’albero delle filastrocche”. Nel 2016 ha pubblicato con Kimerik la già citata raccolta “In esilio da me” e nel 2018 con Kubera Edizioni “Il respiro del tempo”.

“La brace dei ricordi” è una spirale di fumo che nel presente, nell’adesso, cammina su crisalidi d’argento. È dualismo nel ricordo di un ottobre in cui la fiamma diventava il fuoco del ricordo come se fosse un messaggio, un nome, un ricamo o solo l’annuncio del prossimo sole d’inverno. “La brace dei ricordi” è una vacanza in cui noi siamo spilli in una notte senza fine del tempo.

“La brace dei ricordi” è un oceano rosso rimasto solo su tutto questo, è il tempo, è il sigillo, è la metamorfosi. Ovunque il lettore sia potrà cercare quei bottoni che aprono e chiudono il tempo delle rose, la storia che si incatena d’argento in un umbratile pensiero.

Passo/ ombra stranita/ fra la gente ignara/ appartengo/ a questa luce/ che mi divora/ e le mie dita di tempesta/ danzano/ sulle voci sconosciute/ si posano/ appena lievi/ su questo oceano/ di papaveri:// rossa/ la luna/ in quella notte/ mentre l’auto correva veloce/ […]” – dalla lirica “Oceano rosso”

“La brace dei ricordi” è un rubino nei giorni intensi ed una goccia colorata nelle lame della tenebra, è la ricerca della danza dell’anima in un vuoto infinito.

Nella prefazione l’editrice Cristina Del Torchio scrive:

È bello scoprire nella lettura di un libro di poesia che le assonanze d’emozione ripercorse dall’autrice fluiscono nella propria vita vissuta, nelle attese percorse, nelle malinconie risolte e nella bellezza del momento consapevole. Questo mi è capitato proprio con la Brace dei ricordi: dettagli, attimi e angoli di esistenza che viaggiano su linee simili, riconosciute mentre arricchivano il mio sguardo. La poesia non ruba nulla, regala, stabilisce dei collegamenti indissolubili che rimarranno nel tempo e nella nostra parte migliore, quella che ci viene in aiuto quando perdiamo il coraggio.”


L’autrice è disponibile per eventuali richieste di interviste riguardo la sua produzione letteraria, se interessati scrivere all’indirizzo e-mail giovanna.fracassi@libero.it.


Info

Acquista “La brace dei ricordi”

https://www.rupemutevole.com/shop-online/productidn/1148953/la-brace-dei-ricordi-di-giovanna-fracassi

Sito Giovanna Fracassi

http://giovannafracassi.altervista.org/

Facebook Giovanna Fracassi

https://www.facebook.com/giovanna.fracassi


Fonte

https://oubliettemagazine.com/2021/09/28/in-libreria-la-brace-dei-ricordi-di-giovanna-fracassi-edito-da-rupe-mutevole-edizioni/


02 ottobre 2021

L’EREDITA’ POLITICA DIFFICILE DI ANGELA MERKEL Di Antonio Laurenzano

 


L’EREDITA’ POLITICA DIFFICILE DI ANGELA MERKEL Di Antonio Laurenzano

Con il rinnovo del Bundestag, Angela Merkel, “la ragazza venuta dall’Est”, si avvia a uscire di scena. Si chiude un’era. Una storia politica da manuale, una statista di grande capacità che, in sedici anni di cancellierato, ha saputo attraversare tempi difficili, impersonando per la Germania la rinascita della nazione dopo la caduta del muro di Berlino e per l’Unione europea una preziosa bussola di riferimento.

Dopo un’infanzia trascorsa nella Ddr, figlia di un pastore luterano, laurea in fisica a Lipsia, Angela Dorothea Kasner, alle prime elezioni post riunificazione nel dicembre 1990, a soli 36 anni, si guadagna un posto al Bundestag. E’ l’inizio di una travolgente ascesa politica. Nel 1994, su designazione del potente cancelliere Helmut Kohl, è nominata ministro per la Famiglia e poi dell’Ambiente, nel 1998, a seguito degli scandali finanziari e della sconfitta elettorale di Kohl di fronte all’avanzata della Spd di Gerhard Schroder, assume la presidenza della Cdu. Nel novembre 2005 il grande salto: sfida e vince, anche se di misura, il cancelliere uscente Schroder, ripristinando quella “Grosse Koalition” , che la Germania Federale aveva già sperimentato negli anni Sessanta, per garantire la stabilità istituzionale in una fase politica di grandi crisi e di profonde trasformazioni sociali ed economiche. Inizia una esaltante stagione politica e con essa la trasformazione dell’ambiziosa ragazzina dell’Est: diventa “Mutti”, la madre severa ma rassicurante, silenziosa sovrana, quasi invisibile nelle sue mise scialbe e anonime, che “sotto la scorza mite e accomodante è fatta dello stesso acciaio con cui i Krupp fabbricavano cannoni e locomotive per tutti gli imperi d’Europa”. Ne fanno le spese gli alleati di governo. Prima la Spd, che crolla alle elezioni del 2009, quindi i liberali, che collassano nel 2013. Da qui il poco invidiabile soprannome guadagnato sul campo di “Schwarze Witve” (Vedova nera).

Conservatrice con l’aria di sembrare progressista, Angela Merkel ha navigato con perizia per quattro mandati. Precisi i segni caratteristici della sua politica, prudente e riflessiva: abilità nel compromesso, tenacia nelle battaglie, capacità di manipolare l’agenda dei suoi interlocutori (alleati, avversari, leader stranieri). Ha affrontato non poche bufere politiche, dall’emergenza profughi all’ambiente, dai rapporti con Cina e Russia agli estremismi di destra. Senza ignorare le trattative sul nucleare iraniano, i discussi accordi fra Ue e Turchia, l’autorevole contributo al Recovery Fund per salvare l’Europa devastata dal Covid. Il suo cancellierato ha coinciso con un riposizionamento della Germania sul piano internazionale con un ruolo ancora più forte e consapevole.

La leadership di Angela Merkel ha così contrassegnato un’epoca politica da rendere la sua eredità piena di incognite. Lascia una Germania che sta vivendo il suo secondo miracolo economico, molto diversa da quella avuta in consegna nel 2005 dal suo predecessore, considerata “il malato d’Europa”. Nonostante la pandemia, oggi la disoccupazione è la metà di quella di sedici anni fa, il pil pro-capite è cresciuto due volte più velocemente di quello inglese, francese o giapponese. Importante l’azione svolta da Angela Merkel anche per l’Europa. Ha salvato il Trattato costituzionale sottoscritto a Roma nell’ottobre 2004 dai capi di Stato o di governo dei 25 Paesi dell’Ue, bocciato dagli elettori francesi e olandesi, trasferendone una buona parte nel Trattato di Lisbona. Ha garantito la copertura politica del “whatever it takes” dell’allora presidente della Bce Mario Draghi, per contrastare la speculazione contro l’euro, evitando il collasso finanziario di alcuni Paesi fortemente indebitati, fra cui l’Italia. Un forte europeismo non disgiunto da un convinto multilateralismo.

Tante luci, ma anche alcune ombre nel lungo cancellierato di Angela Merkel. Non promuove riforme significative dell’economia tedesca, beneficiando di quelle introdotte da Schroeder attraverso i quattro Piani Hartz, limitandosi a consolidarle. In realtà, il Paese, secondo i suoi avversari politici, avrebbe avuto bisogno di liberalizzazioni nel campo dei servizi, dai trasporti alla distribuzione, dalle assicurazioni al settore bancario ancora fragile a causa della sua frammentazione e del rapporto stretto di alcuni istituti di credito con la politica. Sotto accusa per la protezione data, in particolare, all’industria dell’auto in assenza di una sufficiente capacità innovativa e per la pagina nera scritta per il tardivo salvataggio della Grecia, nella prima metà del decennio scorso, giunto quando il fallimento finanziario di Atene avrebbe messo in grosse difficoltà le banche tedesche (oltre francesi e olandesi) che avevano prestato fondi in maniera eccessiva (e speculativa). “Molto cinismo, con l’ossessione di fare gli interessi commerciali e geoeconomici del suo Paese, anche rispetto alla promozione della solidarietà tra europei”, nel severo giudizio del Financial Times.

Lascia un’eredità politica difficile in una Germania con una inedita coalizione di governo da formare e in un’Europa che resta intergovernativa senza una bussola, con il rischio di un ritorno all’austerità con gli eredi della “ragazza dell’Est”. Un’altra storia.

Vicenza Jazz XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024

                                        Vicenza Jazz                                          XXVIII Edizione 13-19 maggio 2024     ...