IL TEMPO
IN FRANCESCO GUCCINI
Nel primo
album Folk beat n°1,
un riferimento al tempo già c’è: “Noi non ci saremo”, lui non
lo dice, lo lascia immaginare, sarà forse fra millenni. In una
canzone successiva ‘Due anni dopo’ è più preciso”…e ti
ritroverai due anni dopo al punto di partenza”: ma questa è solo
una considerazione, non è una profezia. Guccini, le domande sul
tempo passato, su quello presente, su quello che verrà e su quello
che scorre se le farà fra poco; non ancora nell’album L’isola
non trovata che è del 1970 dove, nella
canzone “Tema” però ne pone le premesse: “ Un anno è andato
via dalla mia vita e già vedo danzar l’altro che passerà. Cantare
il tempo andato sarà il mio tema perché sempre negli anni uguale è
il problema. E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli
diversi. Cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi che si sono
persi”. Sempre in quest’album Due anni
dopo c’è il brano “Un altro giorno è
andato” che è tutto dedicato al tempo che passa e non ritorna più
e qui forse è necessario trascrivere l’ultimo verso, che come
solito il cantautore ripete tre volte: “Il tempo andato non
ritornerà”
Nel 1972,
Guccini incide l‘album Radici,
qui c’è il brano che si titola “Canzone dei dodici mesi” e già
questa è un’indicazione esplicativa sul succedersi del tempo ed il
ritornello lo stigmatizza: ”O giorni o mesi che andate sempre via,
sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni ma
tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare,
la mano di tarocchi che non sai mai giocare.” L’album Radici
rappresenta senz’altro una svolta artistica del cantautore: le
canzoni si fanno più lunghe e descrittive, le musiche si
arricchiscono con strumentisti che anche in seguito collaboreranno
con “il Maestro”, Ares Tavolazzi ex ‘Area’, Ellade Bandini
alle batterie, Vince Tempera alle tastiere e con la collaborazioni
saltuarie di Deborah kooperman al flauto e alla chitarra e di
Maurizio Vandelli al moog e al mellotron; si arricchiscono gli
arrangiamenti: ne esce un suono che rompe le tradizioni sia di
Guccini (chitarre e poco più) che di altri autori del periodo.
Importante l’incontro del cantautore con Juan ‘Flaco’ Biondini,
chitarrista argentino che lo seguirà per tutta la carriera
,influenzandolo sulle musicalità sudamericane sui tanghi, le
milonghe, le chacaera, laz amba. Si potrebbe dire che sono sonorità
che anticipano (almeno in Italia) il “progressive rock”unendosi
con il jazz. Anche la voce di Guccini si fa più matura, non è più
squillante come nelle prime incisioni. Ma, parlando del testo della
canzone (Radici), si può dire che mantiene la promessa fatta qualche
anno prima: ‘cantare il tempo andato sarà il mio tema’. La
canzone si fa memoria, già ricorda la sua infanzia al mulino dei
nonni, ricorda le mura della casa sul confine della sera e fa
considerazioni sul tempo che passa e già appare un sentimento che si
chiama nostalgia e si pone domande antiche a cui non sa rispondere
perché ‘la pietra antica non emette suono o parla come il mondo o
come il sole, parole troppo grandi per un uomo’.
Ne le Stanze
di vita quotidiana, album che segue Radici,
il cantautore riflette sul presente con malinconia, c’è qualche
ricordo : “…sono aperte come un tempo le osterie di fuori porta,
ma la gente che ci andava, fuori o dentro è tutta morta…” ma la
caratteristica delle composizioni è la tristezza che pervade il
presente, tristezza che rende esplicita in un verso del brano
“Canzone della vita quotidiana”: “…e poi ti ritrovi vecchio e
ancor non hai capito che la vita quotidiana ti ha tradito.”
Nel ’76
esce Via Paolo Fabbri 43:
oltre che fantasticare su se stesso e scrivere canzoni ‘avvelenate’
parla di un suo vicino di casa, un pensionato ed immagina a proposito
‘quel tic tac di sveglia che enfatizza ogni secondo’. Dopo, in
Amerigo, il futuro
Maestro, ricorda lo zio emigrato in America per lavorare in miniera
fra polacchi ed irlandesi e ritorna al paese natale ‘a giovinezza
ormai finita’; qui i verbi sono tutti al passato: uscì, era, andò,
aveva, sentiva, vide, fu, tornò, gli scivolavo accanto, non capivo;
l’unico futuro è: “…finché non verrà il tempo in faccia al
mondo per rincontrarlo.”
In Eskimo
racconta di un periodo della sua giovinezza quando l’estate finiva
più nature,
‘vent’anni fa o giù di lì’. Nel brano “Il vecchio e il
bambino”, è il vecchio a parlare e a raccontare come era un tempo
la pianura e seguiva il ricordo dei miti
passati, ‘crescevano gli alberi e tutto era
verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e
delle stagioni’.
Bisanzio,
brano dell’ 81 è uno dei più rappresentativi della discografia
del cantautore: è Filemazio che narra, lui protomedico, astronomo,
matematico, forse saggio vissuto sotto il regno dell’imperatore
Giustiniano (c. 500) e si chiede se stanno mutando gli astri di
equinozio, ‘ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la
conoscenza ed il coraggio per fare questo oroscopo, per divinar
responso e resto qui ad aspettare che ritorni giorno’ ‘…romani
e greci, urlate, dove siete andati?’
È il 1983
quando viene pubblicato l’album Guccini,
qui vi sono almeno tre brani da citare per quanto riguarda le
riflessioni sul’ tempo’: Gulliver è costretto ad ammettere ‘che
da tempo e mare non si impara niente’; in “Argentina” il
cantautore compie un viaggio immaginario e idealizzato, ma alla fine
scopre che ‘è tutto uguale’ anche sotto la capovolta ambiguità
di Orione “…perché io c’ho già vissuto in Argentina, chissà
come mi chiamavo in Argentina e che vita facevo in Argentina e
allora,..dont’t cry for me, Argentina”. Eccoci a “Shomèr ma
mi- llaila?” , canzone che si interroga sul tempo (eterno?): il
punto interrogativo è d’obbligo, visto che è una domanda che la
sentinella fa forse a se stessa. Il titolo è una citazione biblica
(Isaia 21,11) ed in ebraico significa “sentinella, a che punto è
la notte? , quanto resta della notte?” La sentinella non chiede che
ora è perché sa che la notte può durare giorni, mesi, anni, secoli
oppure millenni prima di arrivare al giorno: qui Guccini si pone
domande che vanno oltre il tempo.
Da qui in
poi, nella discografia di Guccini tranne qualche brano, predominano i
ritratti. “ Signora Bovary”, “Van Loon” (dedicata al padre),
“Keaton” , conosciuto su un set cinematografico, il quale ‘aveva
in corpo mille litri di alcool’; “Cencio” che è un amico della
sua quasi gioventù e lo saluta con un ‘s-ciao, giovinezza’.
Ritratti sono quelli di “Cyrano de Bergerac”, di “Don
Chisciotte”, di “Cristoforo Colombo” e di “Ulisse” , Ulisse
al quale fa dire “…seppi che il mio futuro era sul mare con un
dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare, ma
nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli del presente”.
Nella
canzone “Emilia” fa riferimento ai guerrieri del nord dai capelli
gessati…’intanto l’acqua gira e passa e non sa dirmi niente’
ma in ” Lettera”, ‘all’una in punto si sente il suono
acciottolante che fanno i piatti… sdraiato fra l’erba verde
fantastico piano sul mio passato. Ma l’età all’improvviso
disperde quel che credevo e non sono stato… Ma il tempo chi me lo
rende? Chi mi da indietro quelle stagioni?... Come vedi tutto è
usuale, solo che il tempo stringe la borsa e c’è il sospetto che
sia triviale, l’affanno e l ‘ansia dopo una corsa. L’ansia
volgare del giorno dopo, la fine triste della partita e il vento
scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita”.
In
“Vorrei” esprime un desiderio: ‘vorrei che tutti gli anziani mi
salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati… Vorrei
che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere
all’infinito.
In “Non
bisognerebbe” c’è un rimprovero, quello a ricordare: “…primo,
non ricordare e invece, come tutti, sempre lì a portarti addosso, a
ricercare quello straccio rosso che lega il tempo assente ed il
presente nella mente… Non bisognerebbe ricordare”,
In "Addio" ‘…eterno studente perché la materia
sarebbe infinita’ cita un anno preciso (non è la prima volta,
l’aveva già fatto in Fantoni Cesira, allora era il ’53) il 1999,
anno in cui dice ‘addio’ (ma fra le righe lo già fatto), alle
cazzate infinite, ai riflettori e pailletes, alle televisioni, alle
urla scomposte di politicanti e professionisti.
Nello stesso
album c’è Stagioni
che gli da anche il titolo. “…quanto tempo è passato da quel
giorno d’autunno (qui il riferimento è all’uccisione di Che
Guevara) …erano gli anni di miti cantati …e poi negli anni
qualcosa terminò per davvero cozzando contro gli anni del vivere
giornaliero” L’album Stagioni
è del 2000 ed è ricco di riferimenti al tempo che passa e non
ritorna, alle ore passate e alle stagioni andate, ai ricordi.
“Autunno”: ‘L’autunno si fa sonnolento, la luce del giorno è
un momento che irrompe e veloce è svanita: metafora lucida di quella
che è la nostra vita… rinchiudersi in casa a cantare le ore che
fai scivolare pensando confuso al mistero dei dati “io sarò”
diventati per sempre "io ero” …che cambia “io faccio” in “io
ricordo”… sapendo che a questo punto il tuo autunno è arrivato
."E un giorno" è dedicato alla figlia e al suo futuro…’e un
giorno ripenserai alla casa che non è più la stessa’.’ Inverno
’60’: ‘c’è da ricominciare un’altra settimana strascicando
nei giorni l’attesa quotidiana; sempre in Stagioni,
in’ Primavera ’59 : che
è a tempo di tango: (mano di Flaco Biondini) ‘…e credevate che
sarebbe stato eterno quell’amore, quel fiore non avrebbe mai visto
l’inverno, quel giorno non sarebbe mai mutato in sera, per voi
sarebbe stata sempre primavera…’ ma i giovani s’illudono di
essere immortali e che ogni storia duri per l’eternità…’
Ritratti
è del ’94: ‘ La tua libertà’ : ‘…e
la mia strada lungo le stagioni può essere breve, ma può essere
infinita’. Nel brano ‘Vita’, sempre
dello stesso album è il riflettere, vedendo, le cose di un
rigattiere: ‘mi piace rovistare nei ricordi di altre persone
inverni e primavere’
Vengono nel
frattempo e poi i ritratti, alcune riflessioni, il testamento dopo.
La ‘Ziatta’
è la zia ‘...un spec’ vec’ e incrinèe gh’arcurdarà pian
cum’è al témp l’è pasée, cum’è ‘in volée i’an…’
Ritratti’ dicevamo: don Chisciotte, Cyrano di Bergerac,
Cristoforo Colombo, Ulisse
’ ed
appunto ‘Odysseusì merita una riflessione di Ulisse: “ Seppi che
il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse,
senza futuro era il mio navigare, ma nel futuro trame di passato si
uniscono a brandelli del presente…’
Prima di
addentrarci nell’Ultima Thule, album
di addio di Francesco
alle incisioni discografiche (è il 2012) vorremmo citare e ricordare
i versi, le frasi e le riflessioni che compongono Incontro
e Piccola città,
Guccini aveva allora circa trent’anni:
nella prima: ‘…cara amica, il tempo prende, il tempo da, restano
i sogni senza senso, le impressioni di un momento, le luci di case
intraviste da un treno, siamo qualcosa che non resta, frasi vuote
nella testa ed il cuore di simboli pieno’; nella seconda cita
Modena,’bastardo posto’: ‘piango e non rimpiango la tua polvere
e il tuo fango, le tue vite, l’oro e il marmo….così diversa sei
adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso, cerco le notti ed
fiasco, se muoio rinasco finché non finirà’.
Premesso che
L’Ultima Thule è
l‘ultimo disco registrato da Guccini, ci preme ricordare le
premesse del titolo ed evidenziare alcuni brani che al tempo
si riferiscono. Nel corso delle tante
antichità, l’esploratore greco Pileo, l’Ultima Thule l’aveva
già citata nel II sec. (Virgilio a.C., il mito lo ha probabilmente
creato il poeta Virgilio negli Emistichi
(1-30) dedicati ad Ottaviano Augusto. Guccini ha fatto suo il mito,
senza badare dove l’isola si trovasse, piuttosto che ella fosse
senza tempo
Oltre che
L’ultima Thule
nell’album compaiono ’Canzone
di notte n° 4’, più
riflessiva e malinconica rispetto alle
altre tre: ‘…e la battola ritmica sbatteva in casa e giù dai
ruoti dell’abbaino e sentivi e macine frusciare dentro il mulino. E
‘l’ultima volta’ cerca
di ricordarsi quale è stata l’ultima
volta che gli hanno comprato i sandali
nuovi. Come ‘Su in colina’, anche in ‘Quel giorno di aprile’
riaffiorano le memorie e i ritratti del
sentito parlare della memoria partigiana e di tutto ciò che ancora
incombeva e minacciava.
©
Enrico Pinotti