21 ottobre 2021

IL TEMPO IN FRANCESCO GUCCINI a cura di Enrico Pinotti

 


IL TEMPO IN FRANCESCO GUCCINI

Nel primo album Folk beat n°1, un riferimento al tempo già c’è: “Noi non ci saremo”, lui non lo dice, lo lascia immaginare, sarà forse fra millenni. In una canzone successiva ‘Due anni dopo’ è più preciso”…e ti ritroverai due anni dopo al punto di partenza”: ma questa è solo una considerazione, non è una profezia. Guccini, le domande sul tempo passato, su quello presente, su quello che verrà e su quello che scorre se le farà fra poco; non ancora nell’album L’isola non trovata che è del 1970 dove, nella canzone “Tema” però ne pone le premesse: “ Un anno è andato via dalla mia vita e già vedo danzar l’altro che passerà. Cantare il tempo andato sarà il mio tema perché sempre negli anni uguale è il problema. E dirò sempre le stesse cose viste sotto mille angoli diversi. Cercherò i minuti, le ore, i giorni, i mesi che si sono persi”. Sempre in quest’album Due anni dopo c’è il brano “Un altro giorno è andato” che è tutto dedicato al tempo che passa e non ritorna più e qui forse è necessario trascrivere l’ultimo verso, che come solito il cantautore ripete tre volte: “Il tempo andato non ritornerà”

Nel 1972, Guccini incide l‘album Radici, qui c’è il brano che si titola “Canzone dei dodici mesi” e già questa è un’indicazione esplicativa sul succedersi del tempo ed il ritornello lo stigmatizza: ”O giorni o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, la mano di tarocchi che non sai mai giocare.” L’album Radici rappresenta senz’altro una svolta artistica del cantautore: le canzoni si fanno più lunghe e descrittive, le musiche si arricchiscono con strumentisti che anche in seguito collaboreranno con “il Maestro”, Ares Tavolazzi ex ‘Area’, Ellade Bandini alle batterie, Vince Tempera alle tastiere e con la collaborazioni saltuarie di Deborah kooperman al flauto e alla chitarra e di Maurizio Vandelli al moog e al mellotron; si arricchiscono gli arrangiamenti: ne esce un suono che rompe le tradizioni sia di Guccini (chitarre e poco più) che di altri autori del periodo. Importante l’incontro del cantautore con Juan ‘Flaco’ Biondini, chitarrista argentino che lo seguirà per tutta la carriera ,influenzandolo sulle musicalità sudamericane sui tanghi, le milonghe, le chacaera, laz amba. Si potrebbe dire che sono sonorità che anticipano (almeno in Italia) il “progressive rock”unendosi con il jazz. Anche la voce di Guccini si fa più matura, non è più squillante come nelle prime incisioni. Ma, parlando del testo della canzone (Radici), si può dire che mantiene la promessa fatta qualche anno prima: ‘cantare il tempo andato sarà il mio tema’. La canzone si fa memoria, già ricorda la sua infanzia al mulino dei nonni, ricorda le mura della casa sul confine della sera e fa considerazioni sul tempo che passa e già appare un sentimento che si chiama nostalgia e si pone domande antiche a cui non sa rispondere perché ‘la pietra antica non emette suono o parla come il mondo o come il sole, parole troppo grandi per un uomo’.

Ne le Stanze di vita quotidiana, album che segue Radici, il cantautore riflette sul presente con malinconia, c’è qualche ricordo : “…sono aperte come un tempo le osterie di fuori porta, ma la gente che ci andava, fuori o dentro è tutta morta…” ma la caratteristica delle composizioni è la tristezza che pervade il presente, tristezza che rende esplicita in un verso del brano “Canzone della vita quotidiana”: “…e poi ti ritrovi vecchio e ancor non hai capito che la vita quotidiana ti ha tradito.”

Nel ’76 esce Via Paolo Fabbri 43: oltre che fantasticare su se stesso e scrivere canzoni ‘avvelenate’ parla di un suo vicino di casa, un pensionato ed immagina a proposito ‘quel tic tac di sveglia che enfatizza ogni secondo’. Dopo, in Amerigo, il futuro Maestro, ricorda lo zio emigrato in America per lavorare in miniera fra polacchi ed irlandesi e ritorna al paese natale ‘a giovinezza ormai finita’; qui i verbi sono tutti al passato: uscì, era, andò, aveva, sentiva, vide, fu, tornò, gli scivolavo accanto, non capivo; l’unico futuro è: “…finché non verrà il tempo in faccia al mondo per rincontrarlo.”

In Eskimo racconta di un periodo della sua giovinezza quando l’estate finiva più nature, ‘vent’anni fa o giù di lì’. Nel brano “Il vecchio e il bambino”, è il vecchio a parlare e a raccontare come era un tempo la pianura e seguiva il ricordo dei miti passati, ‘crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell’uomo e delle stagioni’.

Bisanzio, brano dell’ 81 è uno dei più rappresentativi della discografia del cantautore: è Filemazio che narra, lui protomedico, astronomo, matematico, forse saggio vissuto sotto il regno dell’imperatore Giustiniano (c. 500) e si chiede se stanno mutando gli astri di equinozio, ‘ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la conoscenza ed il coraggio per fare questo oroscopo, per divinar responso e resto qui ad aspettare che ritorni giorno’ ‘…romani e greci, urlate, dove siete andati?’

È il 1983 quando viene pubblicato l’album Guccini, qui vi sono almeno tre brani da citare per quanto riguarda le riflessioni sul’ tempo’: Gulliver è costretto ad ammettere ‘che da tempo e mare non si impara niente’; in “Argentina” il cantautore compie un viaggio immaginario e idealizzato, ma alla fine scopre che ‘è tutto uguale’ anche sotto la capovolta ambiguità di Orione “…perché io c’ho già vissuto in Argentina, chissà come mi chiamavo in Argentina e che vita facevo in Argentina e allora,..dont’t cry for me, Argentina”. Eccoci a “Shomèr ma mi- llaila?” , canzone che si interroga sul tempo (eterno?): il punto interrogativo è d’obbligo, visto che è una domanda che la sentinella fa forse a se stessa. Il titolo è una citazione biblica (Isaia 21,11) ed in ebraico significa “sentinella, a che punto è la notte? , quanto resta della notte?” La sentinella non chiede che ora è perché sa che la notte può durare giorni, mesi, anni, secoli oppure millenni prima di arrivare al giorno: qui Guccini si pone domande che vanno oltre il tempo.

Da qui in poi, nella discografia di Guccini tranne qualche brano, predominano i ritratti. “ Signora Bovary”, “Van Loon” (dedicata al padre), “Keaton” , conosciuto su un set cinematografico, il quale ‘aveva in corpo mille litri di alcool’; “Cencio” che è un amico della sua quasi gioventù e lo saluta con un ‘s-ciao, giovinezza’. Ritratti sono quelli di “Cyrano de Bergerac”, di “Don Chisciotte”, di “Cristoforo Colombo” e di “Ulisse” , Ulisse al quale fa dire “…seppi che il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare, ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli del presente”.

Nella canzone “Emilia” fa riferimento ai guerrieri del nord dai capelli gessati…’intanto l’acqua gira e passa e non sa dirmi niente’ ma in ” Lettera”, ‘all’una in punto si sente il suono acciottolante che fanno i piatti… sdraiato fra l’erba verde fantastico piano sul mio passato. Ma l’età all’improvviso disperde quel che credevo e non sono stato… Ma il tempo chi me lo rende? Chi mi da indietro quelle stagioni?... Come vedi tutto è usuale, solo che il tempo stringe la borsa e c’è il sospetto che sia triviale, l’affanno e l ‘ansia dopo una corsa. L’ansia volgare del giorno dopo, la fine triste della partita e il vento scorrere senza uno scopo di questa cosa che chiami vita”.

In “Vorrei” esprime un desiderio: ‘vorrei che tutti gli anziani mi salutassero parlando con me del tempo e dei giorni andati… Vorrei che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito.

In “Non bisognerebbe” c’è un rimprovero, quello a ricordare: “…primo, non ricordare e invece, come tutti, sempre lì a portarti addosso, a ricercare quello straccio rosso che lega il tempo assente ed il presente nella mente… Non bisognerebbe ricordare”, In "Addio" ‘…eterno studente perché la materia sarebbe infinita’ cita un anno preciso (non è la prima volta, l’aveva già fatto in Fantoni Cesira, allora era il ’53) il 1999, anno in cui dice ‘addio’ (ma fra le righe lo già fatto), alle cazzate infinite, ai riflettori e pailletes, alle televisioni, alle urla scomposte di politicanti e professionisti.

Nello stesso album c’è Stagioni che gli da anche il titolo. “…quanto tempo è passato da quel giorno d’autunno (qui il riferimento è all’uccisione di Che Guevara) …erano gli anni di miti cantati …e poi negli anni qualcosa terminò per davvero cozzando contro gli anni del vivere giornaliero” L’album Stagioni è del 2000 ed è ricco di riferimenti al tempo che passa e non ritorna, alle ore passate e alle stagioni andate, ai ricordi. “Autunno”: ‘L’autunno si fa sonnolento, la luce del giorno è un momento che irrompe e veloce è svanita: metafora lucida di quella che è la nostra vita… rinchiudersi in casa a cantare le ore che fai scivolare pensando confuso al mistero dei dati “io sarò” diventati per sempre "io ero” …che cambia “io faccio” in “io ricordo”… sapendo che a questo punto il tuo autunno è arrivato ."E un giorno" è dedicato alla figlia e al suo futuro…’e un giorno ripenserai alla casa che non è più la stessa’.’ Inverno ’60’: ‘c’è da ricominciare un’altra settimana strascicando nei giorni l’attesa quotidiana; sempre in Stagioni, in’ Primavera ’59 : che è a tempo di tango: (mano di Flaco Biondini) ‘…e credevate che sarebbe stato eterno quell’amore, quel fiore non avrebbe mai visto l’inverno, quel giorno non sarebbe mai mutato in sera, per voi sarebbe stata sempre primavera…’ ma i giovani s’illudono di essere immortali e che ogni storia duri per l’eternità…

Ritratti è del ’94: ‘ La tua libertà’ :…e la mia strada lungo le stagioni può essere breve, ma può essere infinita’. Nel brano ‘Vita’, sempre dello stesso album è il riflettere, vedendo, le cose di un rigattiere: ‘mi piace rovistare nei ricordi di altre persone inverni e primavere’

Vengono nel frattempo e poi i ritratti, alcune riflessioni, il testamento dopo.

La ‘Ziatta’ è la zia ‘...un spec’ vec’ e incrinèe gh’arcurdarà pian cum’è al témp l’è pasée, cum’è ‘in volée i’an…’ Ritratti’ dicevamo: don Chisciotte, Cyrano di Bergerac, Cristoforo Colombo, Ulisse

ed appunto ‘Odysseusì merita una riflessione di Ulisse: “ Seppi che il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse, senza futuro era il mio navigare, ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli del presente…’

Prima di addentrarci nell’Ultima Thule, album di addio di Francesco alle incisioni discografiche (è il 2012) vorremmo citare e ricordare i versi, le frasi e le riflessioni che compongono Incontro e Piccola città, Guccini aveva allora circa trent’anni: nella prima: ‘…cara amica, il tempo prende, il tempo da, restano i sogni senza senso, le impressioni di un momento, le luci di case intraviste da un treno, siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa ed il cuore di simboli pieno’; nella seconda cita Modena,’bastardo posto’: ‘piango e non rimpiango la tua polvere e il tuo fango, le tue vite, l’oro e il marmo….così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso, cerco le notti ed fiasco, se muoio rinasco finché non finirà’.

Premesso che L’Ultima Thule è l‘ultimo disco registrato da Guccini, ci preme ricordare le premesse del titolo ed evidenziare alcuni brani che al tempo si riferiscono. Nel corso delle tante antichità, l’esploratore greco Pileo, l’Ultima Thule l’aveva già citata nel II sec. (Virgilio a.C., il mito lo ha probabilmente creato il poeta Virgilio negli Emistichi (1-30) dedicati ad Ottaviano Augusto. Guccini ha fatto suo il mito, senza badare dove l’isola si trovasse, piuttosto che ella fosse senza tempo

Oltre che L’ultima Thule nell’album compaiono Canzone di notte n° 4’, più riflessiva e malinconica rispetto alle altre tre: ‘…e la battola ritmica sbatteva in casa e giù dai ruoti dell’abbaino e sentivi e macine frusciare dentro il mulino. E ‘l’ultima volta’ cerca di ricordarsi quale è stata l’ultima volta che gli hanno comprato i sandali nuovi. Come ‘Su in colina’, anche in ‘Quel giorno di aprile’ riaffiorano le memorie e i ritratti del sentito parlare della memoria partigiana e di tutto ciò che ancora incombeva e minacciava.


© Enrico Pinotti






































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