24 ottobre 2008

Letteratura: Dante: "Convivio"

Il "Convivio" (1304-7) è un'opera incompiuta di Dante nella quale il fiorentino espone in lingua volgare la propria visone del mondo. Pare sia stata stesa nello stesso periodo del "De vulgari eloquentia". L'intenzione è quella di invitare ed innalzare il volgo verso la 'beata mensa' dei sapienti, attraverso la trattazione in volgare di argomenti generalmente lontani dalla conoscenza comune del Trecento: vi si parla, sia pure in maniera piuttosto disorganica, di scienza, di filosofia, morale, storia, teologia. Il Sapegno ricorda come sia molto importante capire l'atteggiamento di Dante il quale in questo scritto, consapevole di aver appreso da autodidatta, senza gli studi regolari che pure all'epoca non erano comuni, riconosce i propri limiti, ma sostiene con orgoglio di essersi accostato alla conoscenza per amore, a poco a poco, con purezza ed entusiasmo, lontano dalle intenzioni di coloro che studiano per guadagnar "denari o dignitadi".
Si tratta dunque di un primo tentativo di mettere in pratica la sua volontà di esaltare il volgare come lingua per una crescita culturale non destinata solo ai dotti ed ai preti, ma anche al "pubblico più vasto degli uomini civilmente impegnati".

Una delle definizioni più interessanti ed intense che ci viene dal convivio è quella di bellezza: "quella cosa dice l'uomo essere bella cui le parti debitamente si rispondono, per che de la loro armonia risulta piacimento. Onde pare l'uomo essere bello quando le sue membra debitamente si rispondono; e dicemo bello lo canto, quando le voci di quello, secondo debito de l'arte, sono intra sé rispondenti".
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Autore: A. di Biase
Revisioni: 08-02-13
Fonti:
La letteratura italiana, Vol. II, Edizione Corriere della Sera, 2006
Convivio, Edizione Garzanti, 2005
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