Continere:
Tra Libertà e Repressione
“Senza
questa assurda prospettiva (che costituisce l’essenza della
libertà), gli sarebbe impossibile raffigurarsi la vita. Ha il senso
che, per quanto la cosa sia impossibile, pure è così, giacché
-senza questa rappresentazione della libertà- non solo non
intenderebbe la vita, ma non potrebbe vivere neanche per un istante.
Non potrebbe vivere, infatti, perché tutte le aspirazioni degli
uomini, tutti gli stimoli della vita, non sono che movimenti verso un
accrescimento della libertà. Ricchezza-povertà, gloria-oscurità,
potere-sottomissione, forza-debolezza, salute-malattia,
cultura-ignoranza, lavoro-ozio, sazietà-fame, virtù-vizio: ecco
altrettanti gradi, maggiori o minori, della libertà. Rappresentarsi
un uomo che non abbia libertà non è possibile che al patto di
rappresentarselo privo di vita1”
§1.
La “carcerazione preventiva”: un’essenziale premessa
terminologica
Fermare
con durevoli tratti la scienza criminale potrebbe ri(con)durre -de
relato(?)- la nostra
indagine ad una summa
della vita umana -o,
rectius,
di ciò che ci appare d’essa- aggrappata, press’a poco- ai due
concetti, reciprocamente delimitantesi nell’unità, di libertà e
necessità. Celebri, in tal guisa, le riflessioni di Tolstòj,
secondo il quale “la
ragione esprime le leggi della necessità [e]
la coscienza esprime
l’essenza della libertà. La libertà, senz’alcuna limitazione, è
l’essenza della vita secondo la immediata coscienza dell’uomo. La
necessità, priva di contenuto, è la ragione dell’uomo nelle sue
tre categorie fondamentali. La libertà è [dunque]
l’oggetto
dell’osservazione; la necessità è ciò che compie l’osservazione.
La libertà è il contenuto; la necessità è [quindi]
la forma2”.
La paradossale -ma non troppo- secrezione contestuale di tali
concetti potrebbe rimandare la mente ad una brillante intuizione del
Manassero che non sembrò esitare nell’affermare che “il
concetto vario e vago della libertà è contingente ai popoli e ai
tempi3”.
Sembra difficile, d’altronde, negare che la definizione di libertà
d’un celebre giureconsulto romano appaia, oggi, assai. -anzi,
troppo- lungi dal maturato sentire: “libertas
est naturalis facultas eius quod cuique facere libet, nisi si quid
iure aut vi prohibetur4”.
Fu,
forse, anche per questo che “la
virtuosità delle definizioni sulla libertà adottate non solo nei
trattati, ma pur anche nelle costituzioni francesi e nella carta
costituzionale finì poi per cessare: sarebbe [verrebbe,
inoltre, da aggiungere] strano
che il codice civile e il contratto dessero una definizione
dell’amore5”.
La nostra carta costituzionale non pare sfuggire, d’altronde, alla
tendenza summenzionata: non una definizione ma, casomai, la semplice
e solenne affermazione del principio secondo il quale “la libertà
personale è inviolabile6”
traduce e scolpisce nella Carta un principio acutamente ritenuto
“coessenziale alla
Costituzione7”.
La tautologia della(e) libertà sembra compendiarsi, d’altronde, in
un prosaico dittico: “altro
è la libertà, o meglio le libertà, altro sono i diritti di
libertà. Questi sono come i confini, il baluardo, la protezione di
quella8”.
I
confini della libertà sembrano, peraltro, trasformarsi in truci
orizzonti nell’epoca contemporanea: l’era del castigo. Si
potrebbe dire, in tal senso, che “in
linea di principio, di fronte ai disordini vissuti da una società,
alla violazione delle sue norme e all’infrazione delle sue leggi, i
suoi membri si affidano a una risposta fatta di sanzioni che alla
maggior parte degli individui appaiono utili e necessarie9”.
L’equazione social-securitaria sembra, dunque, urlare che “il
crimine è il problema e il castigo la sua soluzione10”.
Ciononostante,
come non ha – peraltro- mancato di notare il Fassin, con il momento
punitivo è il castigo a divenire il problema: “lo
diventa a causa del numero di persone rinchiuse o poste sotto
sorveglianza, dello scotto pagato dalle loro famiglie e comunità,
del costo economico e umano che ciò determina per la collettività,
della produzione e riproduzione di disuguaglianze che favorisce,
della crescita della criminalità e dell’insicurezza che genera e,
infine, della perdita di legittimità derivante dalla sua
applicazione discriminatoria e arbitraria. Ritenuto ciò che dovrebbe
proteggere la società dal crimine, il castigo appare sempre di più
ciò che invece la minaccia11”.
La soluzione, si potrebbe dire, con “il momento punitivo” si
trasforma nel problema.
Mi
sia consentita, seppur in ritardo, una piccolissima chiosa
introduttiva: il paradosso della penologia, forse, deve estendersi
anche alle c.d. “carcerazioni
preventive in attesa del processo12”.
Allorquando, con un velato determinismo, ci si interroghi, infatti,
sull’esistenza “scientifica” della materia penale si giunge,
insieme al Lanza, a proposizioni di questo tipo: “la
penalità, come fatto, ci appare presso tutti i popoli storici13”.
L’esasperazione dell’ignuda constatazione fenomenica, d’altronde,
potrebbe indurci a ritenere esistente un “nesso” tra il reato e
la pena, poiché “nel
flusso storico dell’attuazione reale della penalità questi due
elementi s[ono]
siffattamente ligati
tra loro, da chiudere in sé stessi i caratteri propri ai due termini
di una catena causale e cioè l’uno ci appare come un fattore
antecedente (il reato); l’altro come fattore conseguente (la
pena)14”.
Siamo, dunque, al cospetto d’un “nesso
di antecedenza e di successione, vale a dire una legge che li liga15”?
Sulla base di tale argomentare si è acutamente osservato che
esisterebbe un’elementare legge della scienza penale, tendente
nelle forme al canone dell’equazione: “il
reato suscita una reazione16”.
In tale reazione, a modestissimo parere di chi scrive, non può non
comprendersi la carcerazione preventiva.
Non
è sconosciuta, d’altronde, la circostanza secondo la quale
“l’evoluzione
giuridica si rivela progressiva ogni qualvolta cresce e si fa
effettiva la corrispondenza della norma regolatrice dei rapporti con
ciò che impongono le condizioni della vita, vale a dire con ciò che
esige la natura stessa delle cose17”.
Si può, quindi, escludere dall’accezione di “penalità”
-nell’epoca “securitaria” contemporanea- la carcerazione
preventiva? Forse, verrebbe da dire, no.
Mi
sia concessa, in tal senso, una breve notazione. Il Marucci, con
parole che sembrano stroncarsi nelle fredde pareti delle carceri
contemporanee, scriveva agli inizi del novecento: “oggi
si ammette concordemente da tutti – classici e positivisti – che
il carcere, almeno così com’è ora costituito – sia una scuola
di disfacimento fisico e morale: di guisa che il delinquente, che
dovrebbe andare per redimersi – come si dice – o si dissolve in
tutta la sua umana compagine, o si raffina nel delitto,
apparecchiandosi a dar nuovo filo da torcere alla giustizia e alla
società18”.
Non furono – e non sembrano essere – unicamente le parole di
Dottrinari più o meno “garantisti” i pennelli con i quali si
dipinsero quadri atroci e drammatici della pena detentiva. Si pensi,
ad esempio, ad un articolo di Misasi, apparso ne “Il
Mattino” del 1901,
nel quale – a proposito del carcere di Nisida - si leggeva: “un
bel pezzo descrittivo mi offrirebbe l’interno di quel
penitenziario, che or fan venti anni rappresentava quanto
l’architettura aveva immaginato di più comme il faut per la dimora
e la custodia di cotesti poveri omicidi, ladri, grassatori, falsari,
violatori di donne, che la società ivi rinchiude, onde chi è ancora
alle scuole elementari del delitto, mercè la compagnia diurna e
notturna dei maestri, ne esca addottorato, e vi ritorni, greve la
fronte di gloriosi allori…E in verità i penitenziari non sono che
una scuola della delinquenza per i novellini, un onorato riposo per i
veterani del delitto…Chi bada con tanta meticolosità se il pane
che noi mangiamo sia ben cotto, se le minestre ben condite, se il
letto bene sprimacciato, se la biancheria ben monda? Chi ci costringe
al bagno sia d’inverno che di estate, come si costringono quei
contadini, quegli operai, che prima di essere delinquenti, vivevano
nell’annosa sozzura?19”.
Sembrerebbe di potersi intravedere, dunque, nella recidiva un
“imperfezione della
legge20”:
poiché quelli non si “possono
chiamare delitti né semi-delitti; ma delitti […] piuttosto
giuridici che reali, perché sono creati più dalle imperfezioni
della legge che da quelle degli uomini21”.
Una battuta lapalissiana potrebbe essere questa: “E se lo diceva il
Lombroso – che di imperfezioni degli uomini – se ne intendeva
(giusto un pochino!)…”. I soggetti sottoposti a carcerazione
preventiva, benché non siano formalmente detenuti, sono -nei fatti-
“l’altra metà” di questo lugubre cielo: ne respirano, infatti,
l’esiziale aria condividendo con i condannati, in una sorta di
infausta eterogenesi dei fini, l’immediato destino (di doman non
v’è certezza).
Non
è un caso, mi si consenta, che l’art. 13 comma V della Carta
Costituzionale parli di “carcerazione preventiva”: come ha
acutamente notato il Serraino è, quindi, di questa che si deve
parlare “schiettamente e senza imbellettamenti”. Si potrebbe,
infatti, ritenere che “custodia
cautelare [sia]
denominazione artefatta, giacché si rivolge ad un istituto indolore,
e quindi, alla luce dei meri, nudi fatti, attualmente inesistente.
Custodia cautelare è [casomai]
denominazione evocativa
di un concetto che, seppur necessario per l’inquadramento del fatto
relativo, non può essere elevato a unico oggetto della dommatica;
pena suscitare insoddisfazione in chi colga, alla sola percezione
oculare, lo scarto abissale che qui separa concetto e fatto22”.
Si rimandi, per un momento, la mente anche a Goffman ed alla
definizione che ci consegnò dell’“istituzione totale”, ossia
“il luogo di
residenza e di lavoro di gruppi di persone che – tagliate fuori
dalla società per un considerevole periodo di tempo – si trovano a
dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in
un regime chiuso e formalmente amministrato23”:
apparentemente facile concludere che all’interno di tale concetto
debba, per forza di cose, confluire anche la carcerazione preventiva.
Si comprende, dunque, perché autorevolissima dottrina sostenga che
“qualunque disciplina
voglia schivare un uso arbitrario di strumenti processuali invasivi
della libertà personale dell’imputato, sia sul piano interno sia
su quello transnazionale, non può che muovere dalla presunzione di
libertà posta alla base della presunzione d’innocenza, che
costituisce ancor oggi la bussola più efficace per orientare
un’indagine che possa dirsi fair nell’uso di strumenti di
coercizione24”.
La
carcerazione preventiva, oltretutto, sembra ammantarsi, del tutto
paradossalmente, più del tratto “punitivo”, in spregio a quello
“custodiale”, maggiormente nel sistema penale attuale –
dichiaratamente accusatorio – piuttosto che nel lontano(?) impianto
inquisitorio poiché, in quest’ultimo, sembrava assurgere alla
dignità di “mezzo istruttorio”. L’affare inquisitorio,
infatti, “quale arte
psico-compulsiva intesa al discorso confessorio […] esige[va?]
lunghe clausure dove i pazienti, macerati dall’attesa, diventino
comodamente manipolabili: espediente istruttorio, tale custodia è un
ferro del mestiere; in ambiente normale l’inquisito non
confesserebbe25”.
Daniel
Monni
Cos'è
la custodia cautelare in carcere. La custodia cautelare in carcere (o
carcerazione preventiva) è una misura cautelare personale
coercitiva. Essa consiste nella privazione della libertà
dell'imputato prima della sentenza di condanna. Di norma questa
restrizione dovrebbe essere di natura eccezionale invece in Italia
viene praticata nella maggioranza dei casi. Non so quanti hanno visto
il bellissimo film dal titolo, appunto, “Detenuto in attesa di
giudizio” ben interpretato da Alberto Sordi in uno dei suoi pochi
ruoli drammatici: un geometra emigrato in Svezia torna in Italia per
trascorrervi le vacanze. Alla frontiera l'uomo è arrestato e
condotto a San Vittore. Dopo interrogatori e trasferimenti in altre
carceri, il poveraccio capisce di essere accusato di un omicidio che
non ha mai commesso. Subisce un lunghissimo calvario giudiziario,
costellato di trattamenti umilianti e degradanti. Chiarita oramai la
sua posizione, il povero geometra riacquista la libertà, ma è un
uomo ormai fortemente segnato, fisicamente e psicologicamente. Nei
miei 35 anni di carcere ho visto tante persone entrare in carcere,
scontare una lunga pena per poi al processo essere assolti. Si è
vero, quasi tutti i prigionieri si dichiarano innocenti (è un loro
diritto), ma molto spesso alcuni lo sono, anche per questo la
carcerazione preventiva andrebbe applicata solo in rari casi. Non
posso fare a meno di pensare che il carcere produce criminalità. E
questo probabilmente perché quando vivi intorno al male, non puoi
che farne parte. E in parte questo vale anche per le guardie
carcerarie, che non sono nate “cattive”, ma a volte lo diventano
a furia di vivere in un ambiente di “cattività”. Penso che
spesso non siano i reati commessi a far diventare una persona
criminale, bensì i luoghi in cui è detenuto anche per questo penso
che la custodia cautelare in carcere dovrebbe essere applicata solo
in casi eccezionali. Mi ricordo che più che trascorrere le mie
giornate le vedevo passare perché il tempo in carcere è difficile
da percepire. Il tempo lo si estende e lo si altera. A volte per
tentare di vivere devi saper morire. Ed io iniziavo a morire appena
mi svegliavo al mattino. Normalmente mi svegliavo all’alba. Non mi
alzavo subito. Stavo un po’ abbracciato con il mio cuore. A volte
andavo all’aria a fare quattro passi. Spesso invece rimanevo in
cella. La sera iniziavo a fare su e giù per la cella. Avanti e
indietro. Tre passi avanti e tre indietro. Quando ero abbastanza
stanco, mi sdraiavo sulla branda con la speranza di
addormentarmi perché non potevo fare altro.
Io però avevo una condanna definitiva invece molti detenuti in
attesa di giudizio spesso sono solo colpevoli di essere innocenti e
quando ad alcuno di loro gli verrà riconosciuta la loro innocenza
sarà troppo tardi.
Carmelo
Musumeci
1
TOLSTÒJ L.N., Guerra
e Pace, Milano, 2011,
pagina 1302
2
TOLSTÒJ L.N.,
op.cit., pagina 1310
3
MANASSERO A., La
libertà personale dell’imputato,
Milano, 1925, pagina 1
4
FIORENTINO, Dig.
I, V, 4, riprodotta,
tra l’altro, dall’art 4 della Dichiarazione dei Diritti
dell’uomo del 26 agosto 1789
5
MANASSERO A., op.cit.,
pagina 2
6
Art. 13 Cost.
7
GALEOTTI S., La
libertà personale: studio di diritto costituzionale italiano e
comparato, Milano,
1953, pagina 31
8
Ibidem. Si
veda, inoltre, PRESUTTI E., Diritto
Costituzionale,
Napoli, 1915, pagina 199
9
FASSIN D., Punire:
una passione contemporanea,
Milano, 2018, pagina 12
10
Ibidem
11
Ibidem
12
FASSIN D., op.cit.,
pagina 9
13
LANZA V., L’umanesimo
nel diritto penale,
Palermo, 1906, pagina 4
14
LANZA V., op.cit.,
pagina 5
15
Ibidem
16
LANZA V., op.cit.,
pagina 7
17
VANNI I., Gli
studi di H. Sumner Maine e le dottrine della filosofia del diritto,
Verona, 1892, pagina 2
18
MARUCCI A., La
nuova filosofia del diritto criminale,
Roma, 1904, pagina 174
19
MISASI N., ne Il
Mattino, 23-24
ottobre 1901
20
Come la definì LOMBROSO C.,
L’uomo delinquente,
Torino, 1897, pagina 530
21
Ibidem
22
SERRAINO M., Tutela
cautelare e salvaguardia dei diritti della persona,
in AA.VV., Libertà
dal carcere. Libertà nel carcere. Affermazione e tradimento della
legalità nella restrizione della libertà personale,
Torino, 2013, pagina 199
23
GOFFMAN E., Asylums.
Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della
violenza, Torino,
1961, pagina I
24
RUGGERI S., Tutela cautelare e salvaguardia dei diritti della
persona, profili comparatistici e garanzie sovranazionali in Europa
in AA.VV, op.cit., pagina
198
25
CORDERO F., Procedura
Penale, Milano, 2012,
pagina 465
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.