L’INVERNO DEMOGRAFICO DEL PAESE di Antonio Laurenzano


L’INVERNO DEMOGRAFICO DEL PAESE

di Antonio Laurenzano

Mancano pochi giorni alla fine dell’anno. Tempo di bilanci, non soltanto economico-finanziari ma anche demografici. E sono bilanci in profondo rosso, con saldi negativi. Il campanello d’allarme l’ha suonato l’Istat con il recente rapporto sulla “Natalità e fecondità della popolazione residente”, relativo all’anno 2024 e ai primi sei mesi del 2025. Un quadro dettagliato e preoccupante delle profonde trasformazioni demografiche in atto in Italia, incentrando l’attenzione sulle loro rilevanti implicazioni per il mercato del lavoro. L’elemento centrale è il progressivo invecchiamento della popolazione che, unito al calo delle nascite, sta riducendo drasticamente la quota di popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Si prevede che questa cruciale fascia demografica scenda dal 63,5 % del 2024 al 54,3% nel 2050, una contrazione che pone serie sfide alla capacità produttiva e alla sostenibilità del sistema di welfare nazionale. Crisi demografica, crisi previdenziale: a forte rischio Casse di previdenza e l’intero sistema pensionistico italiano. L’Italia non avrà più gambe per camminare, né risorse per assicurare reddito e cure ai propri anziani. I fenomeni demografici influenzano infatti la produttività, il lavoro, il sistema previdenziale, il fabbisogno di servizi pubblici, generando ricadute sul bilancio dello Stato, quindi sui saldi di finanza pubblica e sul debito pubblico.

Per l’Istat l’Italia è in pieno inverno demografico, continua la diminuzione delle nascite. Nel 2024 sono state 369.944, in calo del 2,6% sull’anno precedente. Al 30 giugno 2025 la popolazione residente risulta di 58.919.230 unità, in diminuzione di 15mila unità rispetto all’inizio dell’anno. Le nascite del primo semestre ammontano a 166mila unità, evidenziando un ulteriore calo della natalità (- 7% rispetto agli stessi mesi del 2024). E si abbassa il tasso di fecondità: 1,18 figli per donna nel 2024 (1,20 nel 2023), 1,13 nei primi sei mesi del 2025. Guardando al passato i numeri sono impressionanti: nel 2008 si contavano oltre 576mila nati vivi, oggi siamo a meno di 350mila su base annua. In meno di vent’anni l’Italia ha perso oltre 200mila nascite. Un terzo del totale. Il primo figlio arriva sempre più tardi: nel 2024 le italiane sono diventate madri per la prima volta a 31,9 anni, contro i 28,1 del 1995 e i 25,2 degli anni settanta. I secondi figli continuano a diminuire: -2,9% nel 2024, -1,5% per i terzi o successivi. Il ciclo familiare s’interrompe all’avvio. Famiglie sempre più piccole: la dimensione media 2023-2024 è scesa a 2,2 componenti. Poco incoraggianti le previsioni che indicano un calo generalizzato della popolazione nel lungo termine (nel 2080 al di sotto dei 46 milioni di abitanti), con il Mezzogiorno, una volta “culla d’Italia”, che vedrà una diminuzione più accentuata a seguito del continuo flusso in uscita della popolazione giovanile alla ricerca di lavoro. La carenza di politiche familiari e di servizi per l’infanzia e la precarietà socio-economica scoraggiano le coppie italiane dal procreare. Fra le donne oggi cinquantenni, la percentuale di quelle che non hanno avuto figli è vicina al 25%, solo il Giappone ci supera. Una tendenza destinata ad aumentare, la denatalità si trasforma in una scelta consapevole.

Ci troviamo difronte a un profondo cambiamento culturale: la genitorialità non è più vista dai giovani come condizione fondamentale per la realizzazione propria e della coppia, fortemente condizionata dalle condizioni di vita, dalle prospettive economiche. Viene così sfatato uno dei miti più radicati della nostra cultura: quello secondo cui sono i figli e la famiglia allargata a rendere piena e compiuta la vita matrimoniale. Una teoria delle passate generazioni caduta in disgrazia, in contrasto con l’odierno modus vivendi dei giovani.

Un inquietante collasso generazionale che impone una pianificazione a lungo termine per la costruzione di un futuro sostenibile, coerente con i processi di cambiamento di questo secolo. Programmare cioè un miglioramento della qualità di vita per non subire passivamente l’inerzia demografica e un irreversibile declino. Un tema di grande attualità dibattuto a Roma, all’Auditorium della Conciliazione, in occasione degli “Stati generali della natalità” con l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Preciso l’allarme lanciato dal Capo dello Stato: “Un Paese che invecchia, che non si rigenera, dove i giovani sono pochi come mai prima, è un Paese senza speranze.” Forte il suo richiamo all’art. 31 della Costituzione che impegna la Repubblica a favorire la formazione della famiglia con misure economiche e altre provvidenze e a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù. Un significativo appello alle forze politiche e alle istituzioni per favorire coesione sociale e “porre i cittadini nella condizione di esprimere in piena libertà la loro vocazione alla genitorialità, nell’interesse del bene comune.” La denatalità costituisce una delle principali problematiche strutturali del Paese, una sfida per la politica per accrescere e valorizzare il capitale umano attraverso migliori condizioni di vita per i giovani e un invecchiamento attivo della popolazione, in un virtuale patto generazionale.

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