PULP FICTION IN THE NAKED CITY di Niccolò Pala a cura di Vincenzo Capodiferro
PULP FICTION IN THE NAKED CITY
Niccolò Pala in un intrigante e immaginario dialogo tra John Zorn e Quentin Tarantino
Pulp fiction in the naked city. Dialogo immaginario tra John Zorn e Quentin Tarantino (Arcana 2024) è un libro di Niccolò Pala. Niccolò Pala è laureato in Scienze dei Beni Culturali, in Archeologia e Storia dell’Arte. Insegna Storia dell’Arte alle scuole superiori. Pubblicazioni: Pesante scandalo in copertina. Le più scabrose e controverse illustrazioni di dischi. Dal punk al metal estremo (Arcana 2025); Scandalo in copertina. Censura, musica e immagini dagli anni Sessanta al nuovo millennio (Arcana 2024); Pulp fiction in the naked city. Dialogo immaginario tra John Zorn e Quentin Tarantino (Arcana 2024). «Un sassofono e una cinepresa; una nota e un primo piano; uno spartito e una sceneggiatura. Cosa avranno mai in comune John Zorn e Quentin Tarantino, due maestri nei rispettivi campi, un musicista/compositore a trecentosessanta gradi e un regista leggendario? Molto più di quanto si possa pensare: le latenti ma vigorose affinità che intercorrono tra questi due geni contemporanei possono essere estrapolate, portate alla luce grazie a un’approfondita analisi delle loro opere cardine». La passione e l’occhio intrigante e fantasmagorico del giovane Niccolò, amante dell’arte, guarda a questi due artisti, cogliendo con occhio sinottico ciò che c’è in comune: gli studi, gli stessi amori, la musica, la logica caotica, la diacronia, i generi sui generis, soprattutto quando il risultato somma la somma delle parti. I gestaltisti dicevano che il tutto è più della somma delle parti. E ciò è vero sia in senso diacronico che sincronico, cioè seguendo uno schema temporale. Due artisti diversi, con passioni diverse, ma eguali in questa concezione: mettere insieme il tutto, anche gli opposti, l’armonia discors degli antichi. L’opera di Pala è bellissima per questo: noi siamo abituare a vedere tutte le cose separate, le scienze, le arti, ma non è così. Possiamo dire che la mente di per sé è analitica, tende a dividere, perciò è diabolica, il cuore è sintetico, tende ad unire tutto. Queste due potenze, analisi e sintesi, sono presenti nell’uomo: amore ed odio, attrazione e repulsione. I greci antichi chiamavano questi due principi caos e cosmo, filia e nika. Niccolò proviene da studi classici ed è studioso dell’arte. Riesce a cogliere questi aspetti misteriosi, ignoti ai più. Apollo e Dioniso, li chiama Nietzsche, Volontà e Rappresentazione, Io ed Es. Annota Francesco Tedeschi nell’introduzione: «Potrebbe esser fin troppo facile, in particolare per chi è della mia generazione, che ha raggiunto i vent’anni nel corso degli anni Ottanta, riconoscere in tale estetica un exemplum paradigmatico di un’estetica “postmoderna” o della “Postmodernità”, dove la citazione, l’affastellamento di direzioni diverse, il “principio di ineterminazione” costituiscono la struttura destrutturata di un discorso su più piani”».
Questo tentativo è senz’altro vero. Noi siamo figli del nostro tempo – veritas filia temporis – e dipendiamo da questi paroloni, o paradigmi, come il post-moderno, la società liquida. Oggi è tutto un post-. I futuristi guardavano al pre-. E non vorremmo che questa liquidità finisca per liquidarci. L’ottica postmoderna, finendo per destrutturare la visione infinita in una miriade di visioni finite, finisce per assolutizzare essa stessa questo modus videndi. La visione sinottica non è la semplice somma delle visioni parziali, è di più, ma c’era bisogno di questa destrutturazione per poter poi ristrutturare. L’esempio di Pala ci manifesta proprio questo tentativo, che io direi è post-post. Si distruggono le cattedrali per poi ricostruirle, con gli stessi materiali. Sono quei materiali che sono comuni ad ogni forma di arte, di scienza. La visio mundi, weltanschauung, è proprio questa capacità che ha ciascuna monade umana, sebbene intercomunicante tra le altre, di rappresentare proiettivamente il mondo. “Il mondo è una mia rappresentazione”, diceva già Schopenhauer. «Che li si comprenda o meno, l’oltranzismo sonoro di Zorn e gli eccessi visuali di Tarantino ribadiscono il valore della quiete, un bene sempre più raro e prezioso nell’amorfa, mutevole, effimera realtà contemporanea. Ma, prima o poi il rumore cesserà e potremo finalmente godere dell’armonia che, piaccia oppure no, esso ha contribuito a creare; e condividere il silenzio in santa pace»: ecco il senso finale ed autentico dell’opera di Pala. Si afferma un’estetica, che riprendendo Epicuro, potremmo definire catastematica, contrapposta all’estetica cinetica. Il fine dell’arte diviene, soprattutto oggi, come ai tempi, la pace dell’anima, la tranquillità, l’atarassia, in mondo sempre più veloce, futuristico. L’arte ci invita a sostare, a riflettere, a pensare. Il silenzio, come ricorda il Nostro, mette a disagio, provoca l’horror vacui, «così radicato nella forma mentis occidentale», già dai tempi di Parmenide. Il nulla è impensabile! «Il mondo post-moderno apre ad infinite possibilità ma è anche caotico, convulso, spasmodico, pronto a indurre ad un sovraccarico di informazioni e annichilire l’individuo...». Come è verace questa affermazione di Nicolò. Il post-moderno, demitizzando, destrutturando tutto rischia di assolutizzare le relatività: è l’assolutismo del relativismo! Così si riduce tutto ad analisi e si perde di vista la sintesi, la parte è tutto, ma così rischiamo di ridurre il tutto a parte. Questo libro ci aiuta soprattutto a meditare sul senso dell’arte e della vita, per non ridurre tutte le cose e le ricchezze culturali e sapienziali a stagni fetidi e puzzolenti, a compartimenti ciechi.
Vincenzo Capodiferro

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