Il Serial Killer Museum, uno spunto per riflettere sul crimine a cura di Marco Salvario
Il Serial Killer Museum, uno spunto per riflettere sul crimine
Aperto nel 2005 nel fiorentino Palazzo Lenzoni dei Medici a completamento delle collaudate esperienze del “Museo della Tortura” e del “Museo delle Streghe e della Tortura”, il Serial Killer Museum ha recentemente raddoppiato la sua presenza con l'apertura di una seconda sede a Torino. La nuova collocazione è all’interno della Galleria Tirrena, uno spazio architettonicamente raffinato che, tuttavia, ha sempre faticato a trovare una precisa identità, nonostante la posizione centralissima e i tre ingressi da via dell’Arsenale, via XX Settembre e via dell’Arcivescovado. È uno di quei luoghi della borghesia torinese che paiono allo stesso tempo aperti e disponibili, eppure generano un leggero disagio, quasi respingono, come se chi entra fosse un ospite non del tutto desiderato.
Forse proprio per questa atmosfera sospesa e asettica, la scelta di ospitare qui il museo risulta sorprendentemente adatta, nonostante gli spazi siano modesti e si riempiano in fretta, complicando la visita nei giorni di maggiore afflusso.
Il museo presenta un percorso dedicato a dieci serial killer di epoche e nazioni diverse. Non ci sono reperti originali: tutto è ricostruito con misura, evitando effetti truculenti o sensazionalistici. Gli appassionati del sangue eccessivo e dell’horror plateale resteranno delusi.
Le informazioni sono fornite in modo semplice e pacato attraverso schede illustrative e un percorso narrativo in dieci audio, uno per ciascun personaggio, della durata complessiva di circa quaranta minuti. Ogni visitatore può ascoltarli tramite podcast direttamente sul proprio telefono.
Il percorso espositivo inizia prima ancora della biglietteria, con una doverosa dedica - siamo pur sempre nella sua Torino! - a Cesare Lombroso e alle sue controverse ricerche. Molte sue conclusioni oggi appaiono ingenue o errate, figlie del determinismo ottocentesco; eppure fu tra i primi a porsi una domanda che ancora oggi fatica a trovare risposte certe: cosa spinge alcuni individui a commettere delitti tanto efferati? È difficile non riconoscerne almeno il coraggio pionieristico.
In appendice, la mostra offre un breve excursus sui serial killer italiani e sulle varie modalità di esecuzione della pena di morte nel corso della storia. Se mi è consentito un parere personale, credo che il metodo più veloce e “sicuro”, per quanto sanguinoso e barbaro, resti quello ideato dal medico Guillotin, adottato in modo estensivo durante la Rivoluzione francese.
Dieci killer: inutile ripercorrere qui infanzia, biografie e atrocità. In molti di loro si individuano traumi antichi, abusi e ferite che hanno gettato il seme di un delirio crescente. Ciò che spesso stupisce non è solo l’orrore dei gesti, ma l’assenza totale di senso di colpa: il non pentirsi, il non riconoscere l’altro come essere umano, l’innalzare se stessi a unica regola possibile.
Come funziona la mente di un serial killer? Quanto è simulazione o follia autentica?
Per alcuni casi recenti, la mostra propone filmati originali degli interrogatori: gli sguardi deliranti di Aileen Wuornos, i discorsi circolari di Charles Manson, l’apparente tranquillità di Leonarda Cianciulli. Sono recitazioni raffinate per sfuggire alla pena capitale o manifestazioni spontanee di personalità dissociate? E come interpretare le affermazioni di John Wayne Gacy, che attribuisce i propri delitti a “una parte malvagia” di sé?
A volte, anche dopo l’arresto, questi individui restano freddi, quasi incapaci di cogliere la mostruosità delle proprie azioni.
La mostra non dà risposte e non pretende di darne. Offre spunti, materiali, suggestioni. Spetta al visitatore riflettere, confrontarsi con l’abisso, chiedersi dove nasca la violenza e se un simile buio possa annidarsi anche nel cuore di un vicino, di un conoscente, di una persona qualunque.
Forse la cosa più inquietante è questa: i serial
killer non sono fantasmi, né mostri mitologici, ma esseri umani.
Condividono con noi un’origine, un’infanzia, un corpo. E la linea
che separa la normalità dall’abisso, a volte, somiglia più a una
crepa sottile che a un muro invalicabile.
Visitare questo museo
non significa indulgere nel macabro, ma ricordare che conoscere -
guardare senza distogliere lo sguardo - è il primo passo per
comprendere noi stessi e le fragilità della società in cui viviamo.
© Marco Salvario



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