UN RICORDO DI LUIGI PUMPO, LETTERATO E CULTORE STRIANESE a cura di Vincenzo Capodiferro


UN RICORDO DI LUIGI PUMPO, LETTERATO E CULTORE STRIANESE

Un weekend al paese trai due parchi. Dagli “Appunti di viaggio”

Luigi Pumpo è nato ad Eboli l’11 settembre del 1927 e morto a Striano il 24 marzo del 2009. È stato insegnante, giornalista, scrittore, saggista, nonché un promotore culturale sempre attivo. Ha istituito molti premi letterari, tra cui: “Primavera Strianese”, “Città di Pompei”, “Spazio Donna”, “Trofeo del ragazzo”. Per più di trent’anni ha portato avanti la rivista “Presenza”. Innumerevoli le sue pubblicazioni che spaziano in ogni campo e che non potremmo citare in questo breve inserto che vuole ricordare brevemente la figura e l’opera di un homo novus, un uomo sempreverde, come quell’alloro che simboleggia la poesia stessa eternatrice, come la pensava il Foscolo; Luigi Pumpo ha fatto di Striano, in provincia di Napoli, già antico sito sulla valle del Sarno, un centro di cultura, tanto che a lui è stata intestata la biblioteca comunale cittadina dal 2019. Se ognuno dei nostri paesi avesse avuto qualcuno come lui, ci sarebbe stato un vero Risorgimento di quella che il Vico definiva l’antiquissima Italorum sapientia, la sapienza italica, che ci fa ricordare con onore il “Primato” giobertiano. Girava tanto per tutto il Meridione e non solo, sempre per valorizzare, promuovere, incoraggiare. Così, quando si è recato a Castelsaraceno, paese dal ponte tibetano più lungo del mondo che collega i due Parchi Nazionali del Pollino e del Lagonegrese-Val d’Agri, ci ha lasciato un ricordino bello, che vorremo riportare, una paginetta di un piccolo diario di bordo, in cui registra le sue impressioni, come un poeta antico che sul rotolo scrive i suoi versi, mentre osserva da lontano i borghi abbarbicati con profonde radici alle nude e rapate rocce:

«Weekend a Castelsaraceno da “Appunti di viaggio” di Luigi Pumpo.

Ogni volta che torno a Castelsaraceno, di cui ormai sono inguaribilmente innamorato, mi accorgo sempre di più che questo paese non assomiglia ad alcun altro.

Ed ogni ritorno è una grande festa.

Rammento la prima volta. Ero in macchina con amici. Si saliva lungo tornanti fecondi e pareva che il paese non comparisse mai. Poi, dalla valle, mozzafiato, emerse il gruppo di case arroccate coi tetti rossi: Castelsaraceno. Come mistico monumento, struggente nel vento e nel primo caldo sole. Quasi immagine fallace poiché fui convinto di avere già compreso cosa mi aspettasse dopo. Invece no, poiché la Basilicata era già quella, aspra, ma anche tutto il contrario.

Ancora oggi vado verso questa terra, per una sequenza agrodolce di curve, fino alla meta, convinto ancora di sapere, di conoscere già tutto, quasi annoiato. So anche che saluterò questa terra ombrosa e sfuggente che, spesso, si lascia scoprire come un balcone sull’infinito, come una donna maliosa dai fianchi molli, tutta disegnata dai morsi incessanti del vento e della neve.

Sono, quindi, ancora emozionato: come altre volte. Somiglio tutto a un adolescente eccitato.

Ed è dopo Lagonegro, al bivio verso Lauria, che ci si imbatte lungo la superstrada “Sinnica” nella direzione Latronico-Castelsaraceno. Non si va giù, verso quel centro che ricorda un famoso condottiero medioevale, Ruggiero di Lauria, ma si sale, in una ascesa, assecondando i tornanti ora teneri ed ora duri che, in lontananza, lasciano intravedere la maestosa piramide del Monte Alpi, a bianche fasce colorate, che sovrasta l’alta valle del Sinni.

Mi lancio ventre a terra, in una strada mai percorsa. Un viaggio in cielo. Una strada tutta curve, bellissima ed indescrivibile. Rocce monumentali, macchie, boschi, animali che pascolano quietamente; sfondi superbi, poi, gli Appennini Lucani. Aria finissima. Non si vedono uomini, ma ogni tanto automobili che corrono veloci.

Mi fermo. Mi accosto al ciglio della strada, aperta a vallate e colline. Là in fondo un pennacchio di fumo ed accanto un riflesso come di specchio d’acqua.

Querce, castagni, vigneti, campi di grano. Anche alcuni orticelli. Tutto è maestoso tra il lindore delle masserie del Sinni, Valle Argentata, Pietraferrata, Castellaneta, mentre il lago artificiale del Cogliandrino brilla al sole che, qui, splende in tutte le stagioni e riflette la punta boscosa del Monte La Spina, contrafforte del Pollino. Ogni tanto: pini loricati e faggi.

La strada continua a salire, a serpentine, tra pascoli costellati di agrifogli; poi scende sempre a curve. Oltre il bosco Favino, si sfiorano piccole emergenze dolomitiche, la Pietra Marina e il Castel Veglia, ed ecco che, improvvisa, arroccata su uno sperone che scende dal Castel Veglia, al di sopra della dirupata gola del Racanello, ai piedi del Raparo, ti si erge dinanzi Castelsaraceno.

E sulle pietre, sui selciati, negli angoli dei vicoli, risuonano voci e richiami.

Sono i richiami di una terra fascinosa e sei colpito dagli occhi neri e profondi delle donne di Castelsaraceno, dalle schiene diritte degli uomini. La fierezza di questa gente sta nell’ospitalità davvero confortevole ed un invito a pranzo esprime rituali antichi.

Entro nel paese: una bella piazza si spande tra la Chiesa Madre e la Casa Municipale. Occhieggiano negozi, una edicola, qualche bar agghindato a festa. Respiri aria antica e moderna insieme. Non ti sanno dire del Toponimo Castelsaraceno. Intorno non si scorge un rudere di Castello. Tuttavia il nome evoca storie di briganti, di baroni, di scorrerie di pirati saliti dal mare e la fantasia può creare immagini suggestive.

Quel che è certo che qui le tradizioni sono salde. Hanno radici antiche. Ammirevole la festa Antenna e Conocchia che si celebra a giugno. Una festa basata sulla preparazione di due elementi: l’antenna, un fusto di faggio ben diritti e scorticato, alto almeno venti metri; e la conocchia, una cima frondosa di pino, di circa quattro metri. Palese si rivela il simbolismo sessuale: l’elemento femminile (la conocchia) viene saldamente fissato a quello maschile (l’antenna) mediante un anello di ferro con bulloni strettamente avvitati. Questa unione rappresenta sia l’atto sessuale, sia la perpetuazione della vita, evento fondamentale per una economia agricolo-pastorale.

Il paesaggio scorre tra vicoli, angoli, casette antiche coi tetti spioventi: qui, scorgi, bene ammassate, cataste di legno che serviranno ad alimentare il camino nelle fredde giornate invernali. Non mancano case moderne, ben rifinite, al passo coi tempi. Cogli in questo un contrasto tra pietre bianche e grigie e intonaci chiari. Però, vivi emozioni difficili da raccontarsi.

Quel che qui si scorge è la possibilità di numerose escursioni. Una scoperta della natura. Una scoperta in cui si è lanciata anche la locale Scuola Media Statale “Ciro Fontana” in una sua bene articolata programmazione ambientale.

Te ne parlano Teresa Armenti ed Ida Iannella: due giovani poetesse e saggiste che hanno pure scritto un bel libro sul Santo Protettore di Castelsaraceno - Sant’Antonio - ed effettuato ricerche sulla topografia dell’arco lucano che qui si snoda in percorsi antichi. Te ne consigliamo cinque, senza però trascurare Castel Veglia, Pietra Marina, Monte Armizzone, Monte Falapato.

Ormai s’è fatto tardi. Il sole è calato dietro i monti. Bisogna tornare. Ma ritornerai ancora, qui, per vivere questi itinerari bene inseriti in un felice paesaggio, sia per le dimensioni che per lo stile. Sono chicche da non trascurare e da vivere intensamente, anche per il piacere di dire che questa terra è tua perché tu l’hai scoperta, completamente.

Ormai la luce scende rapidamente. Il sole è scomparso dietro le colline e rimane scarsa la luce dell’imbrunire. Ti resta il rimpianto dell’amante che, ancora una volta, non hai completamente posseduto».

Una descrizione emozionante! Ci fa ricordare una persona sensibile, amante delle Umane Lettere, sempre disponibile a dare ed accogliere, ciò che fa in sintesi l’umanista, nobile figura dalla traduzione nostrana. Luigi Pumpo è stato un seminatore instancabile di verbi, un cultore nel senso intimo, colui che ha saputo coltivare gli animi, gli alberi viventi, portatori della divina Sophia. Luigi Pumpo ha saputo smuovere cuori e menti, le ha rese sensibili alla cultura, che sola può redimere le genti e indirizzarle verso mete inaudite e insondabili.


Vincenzo Capodiferro

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