IL SACCO DI GENOVA E IL RAPIMENTO DELLE DONNE GENOVESI a cura di Giovanni Gatto



IL SACCO DI GENOVA E IL RAPIMENTO DELLE DONNE GENOVESI


Al principio del X secolo, Genova, ovvero “Civitas Ianuensis,” era un borgo marinaro in veloce espansione grazie alla sua favorevole posizione geografica “in cima” al golfo ligure, e alla sua conformazione fisica, con la collina di Sarzano a dominare l’insenatura naturale che oggi chiamiamo “porto antico”: una posizione che ne faceva un importante nodo dei commerci marittimi nell’Alto Tirreno.
Le impervie vallate degli Appennini Liguri l’avevano riparata dalle grandi orde barbariche che devastarono la nostra Penisola nel IV-VI secolo, e se pure formalmente assoggettata al dominio prima Longobardo e poi Carolingio, Genova godeva di una notevole indipendenza sia dal potere laico che dal potere papale, entrambi troppo occupati a litigare su altre questioni. Così, nella nostra città si affermarono progressivamente diverse famiglie di ex-feudatari trasferitisi in città e dediti ora ai commerci marittimi e all’occasione anche alla pirateria (pratica amata dai Genovesi almeno fino a tutto il XV secolo).
A differenza dei racconti tramandati sulla fratellanza dei Pirati della Tortuga, nel Tirreno tra pirati non si andava sempre d’accordo, anzi spesso ci si faceva la guerra e proprio all’inizio del X secolo, furibonda e senza quartiere era la guerra tra i pirati – pardon “i navigatori” – Genovesi e Pisani, stranamente alleati, e i loro terribili nemici, i SARACENI, che avevano basi in Sardegna, in Corsica e lungo tuta la costa provenzale fino ad arrivare a metà dell’arco ligure,: per esempio nella Baia dei Saraceni, a Varigotti (SV).
Nel 935 d.C., proprio mentre la flotta genovese assediava alcune basi saracene in Corsica, un gran numero di feluche con migliaia di ferocissimi pirati, assaltò Genova e la mise a ferro e fuoco, uccidendo quasi tutti gli abitanti di sesso maschile e catturando e portandosi via tutte le donne che trovarono, si dice circa 9.000 (numero assai improbabile considerate le dimensioni di Genova a quel tempo).
I pirati – pardon “i marinai” – genovesi furono quasi subito informati del terribile evento, inseguirono la flotta islamica e nel giro di pochi giorni la affrontarono in battaglia, la distrussero e si ripresero le loro donne.
A raccontare questa storia di eroismo e abilità militare è Jacopo da Varagine (Varazze), vescovo di Genova nella seconda metà del XIII secolo, e autore di un vero e proprio “best-seller” medievale: “La Leggenda Aurea”.
Quei “malelingue” dei Veneziani raccontavano però una storia un po’ diversa: vero è che i Genovesi si ripresero le loro donne, ma fu solo dopo molti mesi – diciamo almeno 9 – e non tanto in battaglia quanto con lunghe trattative commerciali, visto che sì, di giorno ci si faceva la guerra, ma poi di notte si andava tutti all’osteria , genovesi e saraceni, a bere insieme e a far buoni affari!
Insomma, le malelingue adriatiche dicono che noi genovesi siamo tutti mezzi saraceni, e a testimoniare ciò qualcuno ha contato più di 2.000 parole del dialetto genovese che sarebbero derivate dall’arabo e poi più tardi dal turco ottomano (e in effetti nella grande battaglia di Lepanto brillò la mancanza della bandiera di San Giorgio…).
Anche il mio cognome, come ho già raccontato a qualcuno di voi, GATTO, deriva dall’arabo “AL-QATT”, il gatto appunto che era il soprannome che si dava all’agile mozzo che si arrampicava velocemente sull’albero della nave per scrutare l’orizzonte.


© Giovanni Gatto



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