‘A VOLAREDDA DI TERESA ARMENTI a cura di Vincenzo Capodiferro
‘A VOLAREDDA DI TERESA ARMENTI
Un’opera che celebra la bellezza e la ricchezza del dialetto lucano
“’A Volaredda - La Falena. Poesie” è una raccolta di Teresa Armenti, pubblicata da Fara, Rimini 2025.
Leggiamo dalla prefazione di Maria Pina Ciancio: «‘A Volaredda di Teresa Armenti è un’opera che celebra la bellezza e la ricchezza del dialetto lucano attraverso poesie intrise di emozione e tradizioni locali. L’autrice, dedicando questo lavoro a sua madre e al dialetto - da lei definito “una lingua d’amore” -, non solo rende omaggio all’idioma locale, ma compie anche un atto di resistenza culturale, coerente con le parole di Ignazio Buttitta, il quale affermava che un popolo diventa povero e servo quando perde la lingua ereditata dai padri».
«Sono versi estemporanei, senza nessuna pretesa letteraria, solo per il piacere di immergermi nella parleta fresca di paise, per dirla con Albino Pierro, il poeta di Tursi» aggiunge l’autrice nell’introduzione.
Entrando nella raccolta, che reca il nome proprio della falena, una farfalla notturna, si respira, anche a livello letterario, un’aria di crepuscolarismo. Infatti, Teresa tratta argomenti quotidiani, esplorando la realtà ordinaria con sguardo dimesso. La raccolta è dedicata alla madre, una figura luminosa che ha accompagnato, fino ad un certo punto dell’esistenza, l’autrice. L’uso del vernacolo, un linguaggio senz’altro più vicino al mondo delle emozioni e del cuore, enfatizza proprio quegli stati d’animo che si riflettono vigorosamente nel verso. La raccolta accoglie vari componimenti, sparsi nel tempo.
La falena rimanda alla sera, un tema acaro ai poeti. Io amo paragonare la falena di Teresa alla filosofica nottola di Minerva di Hegel. A livello emotivo la falena chiude e giustifica il giorno, reca in sé le gioie e le pene della giornata. Ad ogni giorno basti la sua pena - diceva il Salvatore. Dobbiamo bere quel piccolo calice di dolore che ci riserva il tempo, senza affannarci in pure apprensioni. Il dolore nasce da amore: è necessario.
La falena nella tradizione popolare rappresenta l’anima del defunto. È la creatura che nell’immaginazione apre le porte dell’altro mondo. La falena ha caratteri umani e se la si osserva, con i suoi manti meravigliosi, somiglia ad una fata. La fata è il femminile di fato, il destino, il karma. La fata è colei che può modificare il karma, attraverso l’amore.
Mi enghiǝ tutta ‘a stanza.
E hé mi perdo ‘ndà li giri soi.
È ‘na volaredda ca mǝ facǝ
Nu picca ‘i cumbagnia,
mi facǝ ballà cu l’occhi.
È sera. S’accende la face dei poeti. Questa danzatrice volteggia nella stanza e vola, vola… Bella l’immagine del riempire. Ciò che riempie il vuoto è l’essere, l’esistente. Noi diamo senso all’esistenza. Noi dovremmo essere il sale del mondo. Il sale è un alimento che dà sapore, ma che è anche salato, cioè, esprime dolore, assurdità. Non è zucchero, anche se si assomigliano. La vita è fatta di sale e di zucchero. Dante verseggiava: «Tu proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e come è duro calle/ lo scendere e 'l salir per l'altrui scale». Il dramma dell’esilio viene espresso con questa efficiente metafora del sale. C’era un antico indovinello del paese che recitava: con un pugno riempi una casa. Cosa è? La lampadina, la luce. Noi vediamo attraverso la luce e vediamo la luce, altrimenti la luce rimarrebbe nascosta.
Spogliano le pagine di “’A Volaredda” pare di essere catapultati in un altro mondo. Si aprono le porte del cuore, ci si tuffa in una condizione originaria, ancestrale, nel mondo dell’infanzia perduta, fatto di nostalgie, di quasi ungarettiana allegria. L’allegria si prova pur nelle dure condizioni dell’esistenza ordinaria. Il dialetto è un linguaggio immediato, a contatto diretto con la sfera emotiva, si avvicina di più a quello che i neuroscienziati definiscono linguaggio non-verbale. Il dialetto esprime direttamente ciò che si prova. Ti trovi le “farze”, cioè le maschere di carnevale, le sfilate che si facevano una volta nel paese con la processione dietro l’asino che portava “Carnuvaru” e “Quaremma”. Ti trovi l’orante assorto nella cappellina di sant’Antonio. Ti trovi l’armonia e l’aria bella del “vicinanzo” di una volta. Ti trovi d’un tratto catapultato nella bottega di don Peppino a Napoli a San Biagio dei librai. Si scrutano atteggiamenti, modi di dire e di fare inconsueti e trapassati. Il legame forte con l’attualità però non manca mai, come, ad esempio, in “Lǝ soldi fannu vinì a vista a li cicati”, dove si fa un’analisi profonda della situazione politica ed economica:
Lǝ sovranisti a l’intrasatta
so’ divintati europeisti.
Pecuri e lupi stannu
‘ndu stessu iazzu.
Le vorpi so pronde
pi li loru carizzi.
La raccolta si divide in varie sezioni:
‘U cori ca parla
‘A vocca ca prega
L’ossa ca ballano
L’occhi ca spiyano
‘A lenga ca taglia
‘U vendu ca mena
Alla fine, l’opera è corredata da un piccolo saggetto sui dialetti lucani.
Teresa Armenti vive a Castelsaraceno in Lucania. Insegnante di lettere fino al 2004, si interessa di storia, poesia, saggistica, letteratura e dialetto; ha ricevuto vari riconoscimenti in ambito nazionale. Tra le pubblicazioni ricordiamo: Quotidianamente (Porfidio Editore, Moliterno, 1993); La danza di attimi vaganti (Gabrieli, Roma, Ed. 1996 e 2001); Da Castelsaraceno. Terra di magia lucana (2004); Mio padre racconta il Novecento (Ed. Gruppo Culturale “F. Guarini”, Solofra-Av, 2006); Aliti d’amore. Vent’anni di appuntamenti con Gesù (id., 2007); Girovaghi, musicanti e musicisti della Valle dell’Agri, con G. Accinni e A. De Stefano (Grafiche Zaccara, Lagonegro, 2013). Ha curato i seguenti volumi: Diario di guerra di Vincenzo De Mare (Associazione culturale LucaniArt, 2012); Stralci di vita del centenario Nicola Antonio Fulco (Tipografia digitale EbPrint, San Chirico Raparo, 2020); Racconti di vita dell’ultracentenaria Maria Giuseppina Iannella, con Pasquale Gallo (Tipografia digitale EbPrint, San Chirico Raparo, 2020). Insieme all’amica Ida Iannella ha pubblicato i seguenti lavori: Castelsaraceno nella storia della viabilità lucana (in Bollettino Storico della Basilicata, n. 11, dic. 1995); Nella magia della fede. La festa del Santo Patrono a Castelsaraceno (EdiSud, Salerno, 1996); S. Angelo al monte Raparo e il culto micaelico (Ermes, Potenza, 1998); Castelsaraceno. La Chiesa Madre: Santo Spirito (Ed. Gruppo Culturale “F. Guarini”, 2004); Intorno a Planula (in Rassegna Storica Lucana, n. 37/38, 2003); Storia di un’amicizia con l’archeologo Dinu Adamesteanu (Ed. Ermes, Potenza, 2021).
Vincenzo Capodiferro
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