IN VIAGGIO VERSO IL DOMANI di Gianfranco Galante a cura di Vincenzo Capodiferro


 
IN VIAGGIO VERSO IL DOMANI di Gianfranco Galante

Un romanzo intriso di storie e di avventure sul tema struggente della migrazione

Wakìky Momba. In viaggio verso il domani” è un romanzo di Gianfranco Galante, uscito da poco alle stampe con Youcanprint (2025). Il libro  è stato presentato il 28 Maggio scorso presso la Prefettura di Varese, innanzi alle autorità, le associazioni e una nutrita platea, su invito del Prefetto S.E. Dottore Salvatore Pasquariello.

Ci sorprende sempre Gianfranco Galante con le sue esternazioni letterarie che vagano dalla poesia alla narrativa. Non stiamo qui a rammemorare la sua nutrita produzione. Una piccola presentazione della sua persona: è straordinario, unico, irripetibile. Io direi che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, il nostro cartolaio illuminato! Ci ha facilitato sempre grandi opportunità di visibilità e di amore per la cultura. È un grandioso intellettuale. Veniamo a questa ultima opera di narrativa: “Wakìki Momba”. Già il titolo sa di esotico, etnico e ci ricorda quasi quella “Faccetta Nera” delle nostre stralunate campagne coloniali italiche in Etiopia, l’antica terra di Saba, la regina illuminata da Salomone. Come mai questo interesse nel nostro caro “scriptor”? L’uomo è un dinosauro “scriptor”, oltreché “raptor”. Da dove parte?

Io dico che parte da una riflessione sull’umanesimo. L’Italia è la patria dell’Umanesimo, ma – per non dimenticare, visto che lo stiamo dimenticando – è anche la patria del Fascismo. La domanda che si pone Gianpi nel suo ”Introibo ad altarem”, ci deve far riflettere: l’Homo Sapiens Sapiens, due volte Sapiens, cioè l’uomo saggio, sapiente, partendo da ieri, cioè dalla storia, che si perde nei meandri della preistoria, ha davvero costruito un domani sostenibile? L’evoluzione naturalistica/progresso materiale, cioè, è/sono stato/i orientato/i verso un miglioramento della condizione umana, cioè verso un umanesimo sempre crescente, oppure, a tratti, in continuità/discontinuità è/sono scaduto/i, invece, in un dis-umanesimo? I due poli sono: Homo homini deus/Homo homini lupus. La risposta è data dalla storia di Wakìky e Mbele, due fratelli nel loro viaggio dalla Tanzania all’estremo lembo nordico dell’Italia, fino al confine quasi con l’Europa.

Io non vorrei rispondere direttamente per non togliere al lettore il gusto della sua lettura. Vorrei cominciare con una riflessione compromettente: il Sud un tempo era la patria della civiltà. Le grandi civiltà monumentali, tra cui, per non allontanarci troppo, la sumera, l’egizia, poi la greca, la romana provengono dal Sud. Anche in altre parti del mondo è così. Ad un certo punto, però la storia si è capovolta: l’uomo del Nord ha voluto civilizzare l’uomo del sud. Come? Conquistandolo. Schiavizzandolo.

Vorrei cominciare di nuovo da un verso di Quasimodo: «Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo…». Vorrei cominciare di nuovo da Jonas, che ci suggerisce un imperativo categorico profondo: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra» - imperativo che completa la tavola dei comandamenti illuministici di Kant. Cosa ha prodotto l’Illuminismo? Questo? La dittatura della ragione! Ma quale ragione? Dell’uomo bianco, europeo, neo-ariano. Non possiamo tapparci le orecchie, impappinarci gli occhi di prosciutto innanzi alla Storia, che come la profetessa Cassandra ci ammonisce. Non possiamo seppellire le nostre teste pensanti, come struzzi, sotto le sabbie mobili della società liquida, degli uomini fluenti anzi influenti (influencer, follower e company). Historia magistra vitae. Eppure cosa abbiamo imparato dalla storia? «L’unica cosa che abbiamo imparato dalla storia è che non abbiamo imparato niente dalla storia»; diceva Hegel. E Pasolini la chiamava la maestra bastarda. Questo romanzo è la storia di un viaggio, un viaggio immaginario, ma più reale del reale, perché, come capiva Aristotele, la poesia (cioè l’arte in genere in tutte le sue forme) è più vera della storia stessa, ci dà il verosimile, cioè il verso nella sua universalità, mentre la storia ce lo dà nella particolarità dell’esistenza umana. La storia è un prodotto umano, la facciamo noi. E non dobbiamo mai dimenticare che noi, italiani, siamo stati e siamo ancora un popolo di migrantes. Non dimentichiamo l’Argentina e tutto il resto. Noi abbiamo esportato la mafia nel mondo (Al Capone ne è un esempio). Questo romanzo ha un alto valore morale.

Io scorgo in questi due giovani Wakìky e Mbele, il giovane Gianpi e il fratello, che dalla Sicilia, con la famiglia pervengono qui, in questa terra di Varese, recando il sale. Gesù ci invita ad essere sale della terra, anche Nietzsche, per mezzo del profeta Zarathustra, scimmiottando il Maestro. Ma questi migranti, cosa sono in fondo, degli eroi, non degli anti-eroi, dei superuomini, degli oltreuomini, non dei sotto-uomini, come ci vengono fatti passare da una ‘distorsione’ mediatica, schiava dei superpoteri economici, che hanno sostituito il colonialismo politico con quello economico. Non è cambiato nulla dalla spartizione dell’Africa a tavolino fatta nell’Ottocento. L’imperialismo va e torna, sempre con novelle vesti. 


Quest’opera è una denunzia sociale e storica di questo fenomeno che si ripete da secoli. Wakìky e Mbele, due fratelli, uno è robusto e l’altro è gracile, sono come Giacobbe ed Esaù. L’emigrazione di questi due fratelli dalla terra d’origine diviene l’emblema della migrazione di ogni popolo. Come il popolo di Israele per raggiungere la terra promessa deve passare necessariamente attraverso i quarant’anni nel deserto, così i nostri due fratelli s’incamminano seguendo il rito della terra promessa: «Abramo, lascia la tua terra e va dove ti mostrerò». Se il cammino biblico assume un significato decisamente simbolico, il nostro romanzo racconta di un viaggio reale: bisogna raggiungere l’Europa. Obiettivo sempre al primo posto, commenta Gianpi – anche se “è più un augurio che un ordine”. I nostri fratelli, come tanti altri giovani, cominciano la loro peregrinatio eroica, come quella di Ulisse e di Enea. Non è un viaggio facile. Non è stato mai facile viaggiare, soprattutto quando si viaggia non per turismo, ma per necessità. Il viaggio sarà lungo e toccherà diversi paesi: Tanzania, Zambia, Congo, Repubblica Centrafricana, Ciad, Libia – Mediterraneo – Italia… Il viaggio di tanti giovani dall’Africa è un viaggio dantesco: si passa sempre dall’Inferno, dalla “Selva oscura” della vita.

Ci sono i «Caron dimonio, con occhi di bragia» che per far passare il Mediterraneo si pagano caramente. E questi Caronti sono crudeli, peggio di quelli danteschi, radunano i migranti e li costringono a passare: «loro accennando, tutte le raccoglie; / batte col remo qualunque s’adagia». Bisogna passare questo immenso Acheronte, rimanere in esso, se necessario, ma passare! Spesso il viaggio si conclude in un leopardiano “dolce naufragar”. I nostri eroi, come i profeti antichi, come Giovanni il Battista, si cibano di ciò che trovano, di miele selvatico e locuste, di succosi frutti raccolti all’”albero delle salsicce”. Natura, madre e matrigna, a tutto provvede. È un viaggio periglioso, dove il rischio è umano, nel senso che si può essere beccati dai guerriglieri delle varie nazionalità, alle frontiere, ma anche naturale: gli animali selvatici, i leoni e tutta l’Arca di Noè. La Natura non è tanto propizia come si crede, o come credevano gli illuministi, con a capo il Rousseau. Qui la Natura è come ce la descrive Hobbes: una guerrafondaia. Qui è peggio di una trincea della Grande Guerra. Qui c’è il “Bellum omnia contra omnes”, una guerra totale, dove vige il principio darviniano, più che darvinista, dell’Homo homini lupus.

Il viaggio si staglia negli anni Novanta ed è dettagliatissimo. Gianpi si cala come una specie di naturalista, di viaggiatore che si riflette nel viaggio. C’è dietro uno studio accurato della storia e della geografia, dei climi, della flora, della fauna, dell’antropologia, della sociologia. È un viaggio bellissimo in un continente ancestrale ed affascinante. L’Africa è forma di cuore del mondo, un po’ come la Sicilia il cuore del Mediterraneo, fin dai tempi dell’antica Roma. Roma aveva già inglobato l’Africa nel suo Impero. L’Africa è un cuore ricchissimo di risorse, che vengono solo derubate, sfruttate: non solo le risorse minerarie, i tesori, ma anche le risorse umane. Dai tempi dello schiavismo cosa è cambiato? Dai tempi del triangolo commerciale, quando le navi salpanti dall’Europa facevano scalo sulle coste d’Africa per caricare gli schiavi e trasportarli in America, e da lì le navi cariche d’ogni bene ricongiungersi a questa avara Europa, cosa è cambiato? Come è stata trattata l’America, e l’Asia, e l’Africa? Adesso c’è un triangolo commerciale al contrario: dall’Europa all’America e di qui all’Africa a sfruttare in una nuova forma di imperialismo e di colonialismo, quello economico. E dall’Africa all’Europa: la pericolosa migrazione. Qui sono attive le navi di scafisti senza scrupoli, che accolgono i nuovi schiavi che salpano per l’Europa volontariamente, liberamente, offuscati da miraggi dei nuovi miti. Al contrario del vecchio triangolo, che era coercitivo, questo è volenteroso, come i “volenterosi carnefici di Hitler”. E di nuovo c’è lo sfruttamento delle risorse umane in patria, cioè in Africa e nei paesi d’arrivo. Chi fa i lavori più umili, oggi? Quelli che facevamo noi meridionali, un tempo? Gli extracomunitari. Ci deve essere sempre uno schiavo. Chi ha il potere? Le plutocrazie super-capitalistiche anonime ed anomiche. Prima c’erano gli industriali e sapevi contro chi prendertela! Adesso contro chi te la prendi? Contro le multinazionali? Contro i mulini a vento? Come somiglia questo viaggio dall’Africa all’Europa a quello che abbiamo fatto noi, in illo tempore, dal Sud al Nord. Ricordiamo ancora che i primi migranti stavano in condizioni fatiscenti. Fortunato ci insegna che ogni terra è frutto della storia e della geografia. Sono scienze che si studiano poco. Chi conosce la vera storia dell’Africa, delle sue grandiose civiltà? Ci è stata sempre fatta passare come un continente sottosviluppato.

Non mancano in questo viaggio momenti di vera umanità. L’uomo non è solo un Homo Homini lupus, come abbiamo detto prima, ma anche un Homo Homini Deus. E ciò capita sovente nei villaggi, dove i nostri amici vengono accolti, nutriti e accuditi. L’esempio di Adama è bellissimo. Questa ragazza del villaggio che accudisce gli stranieri, gli ospiti. È il femminile di Adamo, il primo uomo. È la madre Terra, che nutre tutti gli esseri viventi. Sottolineiamo l’insistenza di Gianpi: l’Europa che è un augurio, diventa un obbligo. Lasciare Adama! Ma perché? Chi ha creato questi nuovi miti della migrazione indotta? Perché? Quali assurde teorie vi stanno dietro? Perché spingere queste popolazioni a Nord? Per ripopolare la vecchia, logora Europa scorreggiante? Per portare nuovi schiavi?

Arriva il deserto: un nuovo mare di sabbia, pericolosissimo, peggio del Mediterraneo. Qui ci sono gli scafisti, lì i carovanieri. I nostri amici rischiano più volte di lasciarci la pelle, come Giuseppe. «Dov’è vostro fratello?». Chiede Giacobbe. Come per Abele, chiede il Padreterno: «Caino, dov’è tuo fratello?».

Come trattiamo i nostri fratelli? Saggiano le catene delle prigioni libiche. Giungono al mare. Non è finita qua. Il Mediterraneo è un cimitero. Un cimitero speciale, come la società liquida è un cimitero liquido, dove i più ci rimangono. Adesso si usa cremare e spargere le ceneri al vento perché la terra è sazia di accogliere morti. Eppure quante necropoli fin dai tempi antichi ci sono sulla faccia della terra? E noi le visitiamo. «Paesi come l’Italia, la Francia, la Russia, Germania e Cina hanno fornito armi contribuendo a rafforzare l’arsenale militare di Gheddafi (il potere del petrolio, del gas, dei giacimenti e dei dollari)». E poi l’hanno fatto fuori, quando non serviva più. Come hanno fatto con altri: Saddam e company. Ad un certo punto i nostri due fratelli vengono separati. Prima di partire è ancora un inferno. Arrivano in Sicilia, accolti dalla Marina Italiana, di lì i nostri due fratelli si dividono, uno prosegue il viaggio attraverso lo Stivale, che fu allungato da Benito, fino all’Africa Orientale.

Nell’età della seconda rivoluzione industriale, alias età del Positivismo, della Belle Epoque, dell’Imperialismo nelle sue varie epifanie (francese, tedesco, inglese), l’Africa fu spartita a tavolino dalle superpotenze europee. Queste conquiste africane non furono sempre tranquille e incontrastate. Nelle varie conferenze, tra cui quella di Berlino del 1886, si prende questa torta e si taglia a grosse fette. La Francia e l’Inghilterra fanno la parte del leone. Poi arriva la Germania e infine l’Italia con l’Abissinia e gli scatoloni di sabbia prima (la Libia) e poi con l’Etiopia fascista. L’Inghilterra condannò l’Italia per l’aggressione all’Etiopia, quando ella aveva già conquistato mezzo mondo. Da che pulpito le prediche! Cosa ci guadagnò l’Italia dal colonialismo? L’Imperialismo che in questo romanzo storico viene denunziato, fu una piaga solo dell’Ottocento? Scrive Giampiero Carocci: «L’imperialismo è l’insieme di rapporti che viene a stabilirsi nel mondo fra le potenze e fra queste e i paesi dipendenti; è un insieme di squilibri a livello mondiale, generatore alla lunga di conflitti tra le potenze e di conflitti o tensioni tra questi e i paesi dipendenti… l’imperialismo si manifesta non solo come potenza in politica estera ma anche come potere in politica interna» (“L’età dell’imperialismo”, Bologna 1979, p. 9). L’imperialismo è un termine che sorge in Inghilterra dopo il congresso di Berlino del 1878, per indicare la conquista e l’amministrazione delle colonie.

«Alcuni stati europei, soprattutto l’Inghilterra e la Francia, avevano già da tempo avviato con successo una politica coloniale nei paesi d’oltremare. Ma verso il 1885 questo processo di espansione della civiltà europea in tutto il mondo assunse improvvisamente un ritmo vertiginoso. Nel giro di pochi anni si trasformò in una vera e propria gara delle potenze europee per appropriarsi dei territori d’oltremare ancora liberi, e a questa gara parteciparono dal 1894 anche il Giappone e gli Stati Uniti…» (W. J. Mommsen, “L’Età dell’Imperialismo”. Feltrinelli, Milano 1970, pp. 173 e sgg.).

E tra l’altro ci fu una trasformazione del colonialismo lasciato ai privati ad un colonialismo di stato, o nazionale. L’età dell’imperialismo ha portato alla Grande Guerra, alle rivoluzioni, come quella russa, si è evoluto in totalitarismo politico. Oggi l’imperialismo politico si è trasfigurato in imperialismo economico. Il totalitarismo politico in totalitarismo economico. Non dimentichiamo che durante l’imperialismo per la prima volta furono istituiti i lager.

Alla fine, come abbiamo accennato, i nostri due amici si separano: uno resta in Sicilia, l’altro raggiunge il Nord d’Italia. Il bello è che si reincontreranno. Uno impara l’italiano, l’altro il siciliano. Si capiranno a stento.

Qui vogliamo di nuovo e ce ne perdoni il lettore, far tornare forte la domanda di Gianpi: questo vivente, l’Homo Sapiens Sapiens, che ha raggiunto il massimo grado della piramide evolutiva, un grado quasi superumano, oltreumano alla Nietzsche, divino: «non istilla sottopelle il dubbio che si sia percentualmente sviluppato di più in un essere “inumano”»? Dal super-umanesimo (non superomismo!) all’in-umanesimo! È questa la parabola della storia dell’uomo che oggi trionfa con le intelligenze artificiali, altro anatema dell’umanità! Potremmo dire che abbiam raggiunto la perfezione dello scarafaggio, che nella scala dell’evoluzione naturale ha raggiunto il top. Aristotele nel Primo Libro della “Politica” definisce l’uomo un animal politicum: «L’uomo per natura è un animale politico e chi vive fuori della comunità civile, per sua natura e non per qualche caso, o è una belva, o un dio». Cioè è o un sott-uomo, un abietto, o un superuomo, o è un inetto, in termini letterari, o un superuomo dannunziano. Questi sono i limiti della naturale socialità dell’uomo: la divinità e la demonialità, o bestialità. D'altronde come era rappresentato il mondo nell’antichità? Il mondo di sotto, o infero, il mondo terrestre e il mondo celeste. Aristotele ci definisce anche i termini di questa socialità: individuo, famiglia, tribù, villaggio, polis. Però la polis, o stato supera tutti i gradi di socializzazione umana e rappresenta l’atto supremo dell’io sociale, o collettivo. Anche se poi dobbiamo dire che anche i demoni vivono insieme, in comunità, come gli angeli sopra.

Come si concretizza questo viaggio dell’uomo verso il domani? O verso uno ieri, ancora? Utopia o retrotopia? Ci suggerisce sempre il nostro Baumann. La risposta è in questo libro. L’istinto di dominare corrompe l’umanità. Gianpi ci solleva tante riflessioni, tanti problemi: gli stati africani costieri condannano formalmente questo triangolo commerciale al contrario che porta schiavi liberamente, senza corsari, in Europa, però di fatto tollerano, lasciano correre, anzi promuovono «l’uso e l’abuso indiscriminato di questa mercificazione umana».

Nella postfazione Gianpi denunzia «il danaro, l’interesse, il potere di comando, il cinismo accecante, il bullismo sociale» che è lo stesso dai tempi del periodo dell’imperialismo, della spartizione dell’Africa a tavolino tra il Congresso e la Conferenza di Berlino. Ci vogliamo forse dimenticare dell’America: iìun continente bullizzato nel Cinquecento, o dell’Asia, dell’India, etc.

Stante alla dialettica hegeliana servo-padrone un giorno i paesi dominati, cioè servi, le nazioni “derise, calpeste”, come era l’Italia che canta Mameli, risorgeranno e diverranno padroni: noi speriamo in questa redenzione cosmica, annunziata dagli storicisti, da Vico ad Hegel.

Alla fine Gianpi non augura a nessuno un viaggio del genere, durato quattro anni, dal 1991 al 1995, tra mille pericoli, tutto a piedi, al freddo, al gelo, tra fame e sete, torture, violenze.

Ogni uomo è “migrante, camminatore, viandante”. La cosa bella è che Wakìki e Mbele hanno compiuto questo viaggio «forse perché ignari dei ricchi che andavano incontro, altrimenti non l’avrebbero fatto». Si muovono non solo gli ego individuali, ma quelli sociali, intere popolazioni. Come gli ego sociali hanno creato gli imperialismi, i fascismi: il prevalere del Tutto sulla parte.

Le teorie razzistiche scientifiche del positivismo hanno giustificato il colonialismo. Leggiamo nella descrizione della razza “negra”: «Intellettualmente inferiore al bianco, a volte superiore, ma solo per quanto riguarda l’acume degli organi di senso e le conseguenti funzioni sensoriali, le capacità percettive. A livello di sensibilità il negro è iperemotivo e tachipsichico, cioè dotato di grande potenza, di mentalità fanciullescamente mobile, con grande rapidità di spostamento da un determinato stato d’animo a quello opposto. Il carattere è instabile, senza equilibrata formazione, spesso remissivo. Spesso è dominato da sentimenti di orgoglio, di eccessiva confidenza in sé, determinato da debolezza di poteri autocritici. Mentalità primitiva: è simile al nostro fanciullo. Scansa il potere organizzativo. È moralmente inferiore al bianco. Essendo molto debole e mancando della forza volitiva capace di dominare la violenza delle ardenti passioni, succube degli istinti è sempre immerso nel presente». Questo scrivevamo nelle nostre riviste sulla razza. Ma si può?

Il bianco nordico che era un selvaggio si è trasmutato in civilizzatore, conquistador schiavizzante, pretendendo di dare lezioni di civilizzazione a popoli ove la civiltà è nata.

Riflettiamo, o lettori, e questo bel libro ci aiuti a prendere coscienza di questo grave fenomeno storico che accade sotto i nostri occhi, senza che noi, spesso cene accorgiamo. Il romanzo di Gianpi si legge con facilità, con piacere, e alla fine illuminati da tante sue osservazioni, potremo essere adiuvati nel cammino della nostra vita. Chissà? Questa è come una guida.


Vincenzo Capodiferro

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