IL DOMENICHINO DEL SACRO MONTE In una suggestiva biografia di Carla Tocchetti a cura di Vincenzo Capodiferro


IL DOMENICHINO DEL SACRO MONTE

In una suggestiva biografia di Carla Tocchetti


Leggiamo in “Santi e Beati”: «Domenico Zamberletti nacque a Santa Maria del Monte, oggi borgo di Varese, in diocesi di Milano, il 24 agosto 1936, secondo di tre figli. Crebbe sotto la guida dei genitori, educato alla carità e alla generosità verso i poveri. Frequentava con la famiglia il santuario di Santa Maria del Monte, sul Sacro Monte di Varese, dove prestava servizio liturgico come chierichetto e, a partire dai nove anni, come organista titolare. Nell’ottobre 1947, Domenichino, come lo chiamavano tutti, divenne allievo esterno del Collegio dei Salesiani a Varese, per le scuole medie. Anche lì continuò il suo cammino spirituale, aiutato dai sacerdoti e dagli educatori del Collegio. Vinse per tre volte il primo premio nella gara catechistica dei chierichetti della diocesi di Milano: in una di quelle occasioni, ebbe in premio un viaggio a Roma, nell’ottantesimo di fondazione della Gioventù Maschile di Azione Cattolica. Fu allora che in lui iniziò a sorgere il pensiero di diventare sacerdote. Nel gennaio 1949 iniziò a non sentirsi bene: cominciò ad assentarsi da scuola per febbre e dolori alle ossa. Quasi un anno dopo, fu chiaro che aveva la leucemia. Nei mesi seguenti, Domenico si dispose a offrire la propria sofferenza per il Papa, per i sacerdoti, per i bambini poveri e per gli educatori, esortando soprattutto la madre a fidarsi di Dio. Morì in casa sua il 29 maggio 1950, a quattordici anni non ancora compiuti. Riposa nel cimitero adiacente al santuario del Sacro Monte di Varese, nella tomba delle famiglie Zamberletti-Camponovo». Fratello di Giuseppe Zamberletti (1933-2019), il santo fanciullo varesino è stato oggetto ultimamente di una bella biografia di Carla Tocchetti, “Domenichino del Sacro Monte di Varese, Macchione 2024: «Un’inedita e documentata ricostruzione storica», la quale «conferisce un appassionato taglio sinottico al vicenda del Domenichino, il ragazzo del Sacro Monte di Varese morto nel 1950 a soli tredici anni i concetto di santità». Riprendiamo tra le altre testimonianze riportate, quella di don Silvio Galli: «Un ragazzo delicato, gentile, sempre sorridente e del quale non ci si può fare l’idea di corrucciato, perché mai visto così. Un ragazzo che dagli occhi sereni e da tutto il suo atteggiamento rivelava un’anima luminosa ed un cuore generoso, aperto a tutto ciò che è bello. Non dava nell’occhio; ci si accorgeva di lui solo quando era lì davanti e quando di proposito lo si voleva osservare». Leggiamo anche un altro bel ritratto, che ci riporta Carla: «Guardiamo un istante questa fotografia all’età di undici anni. Lui così ridente e sereno è qui grave e serio; il suo sguardo, pur dolce. È indagatore u quasi autoritario. Molte volte io stessa lo vidi così e ne ebbi un senso strano di rispetto e di soggezione. Domenico ebbe una dote speciale, fin da piccolo, una dote che avrebbe fatto di lui un sacerdote di valore, e che è difficilissima a trovarsi unita alla dolcezza, alla carità, alla serenità: la capacità di comando. Quello che voleva, otteneva. Con una parola pacato, con uno sguardo. Era un capo. La sua era una bontà forte...». Domenichino, il santo fanciullo di Varese, come tanti ragazzi, santi, che hanno dedicato la loro viva, seppur breve, alla Vita, come un Luigi Gonzaga, un Domenico Savio, ci dimostra che la santità è a portata di tutti e sempre. La sua breve esistenza brilla nel cielo dei beati, come cometa fiammante è guida ai perplessi che oggi in Occidente abbondano. Da terra di missionari rischiamo di tornare ad essere terra di missioni. E questo accade a 1700 anni dal Concilio di Nicea: le stesse eresie tornano e si affollano in questo Occidente apostata. L’Africa e l’Asia ci rievangelizzeranno. È l’occasione per ricordare anche un altro santo prevosto della chiesa di Varese: «Cesare Porto, amico di san Carlo Borromeo, il quale venendo a Varese, si compiaceva di intrattenersi seco lui lunghe ore ed anche lasciare l’abitazione dei Conventi per abitare insieme. Era uomo di grandi virtù: morì il 23 settembre del 1615, in odore di santità a settantaquattro anni. Gli si fecero splendidi funerali e fu il primo calato nel sepolcreto dei preposti da lui fatto costruire. Quel sepolcreto esisteva sotto la cupola della Basilica e fu riempito, anzi distrutto nella recente pavimentazione. In esso si trovò quasi nulla, fuori che pezzi di stola ed una lapidina, con inciso il nome del preposto Dralli, ora infissa sul muro esterno della Sagrestia. Qualche anno prima rinunciò, per dopo morte, la prepositura al sacerdote Dralli, che la assunse all’età di 25 anni» (Luigi Brambilla, “Varese e suo Circondario”, 1874). Si cita anche un altro prevosto borromaico, Giovanni Andrea Dralli. Sono figure belle che arricchiscono la nostra Chiesa locale e quella universale.

V. Capodiferro

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