L’UOVO DI PASQUA DELLA CASA BIANCA di Antonio Laurenzano

L’UOVO DI PASQUA DELLA CASA BIANCA

di Antonio Laurenzano


Tempo di Pasqua. Tempo di colomba, simbolo di pace, di riconciliazione. Tempo di uova pasquale, segno di speranza, di rinascita. E un uovo di Pasqua, con sorpresa, è stato quello che, simbolicamente, è stato aperto a Washington, nello Studio Ovale della Casa Bianca, in occasione dell’incontro tra il Presidente del Consiglio Giorgio Meloni e il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump per rilanciare il dialogo sui dazi tra Italia, Ue e Stati Uniti e rafforzare le relazioni commerciali rese difficili dopo il “Liberation Day”.

Molte le nubi della vigilia. Una vigilia carica di tensione con botta e risposta tra Ue e Usa con toni per niente concilianti. Una situazione fortemente critica per le bellicose dichiarazioni americane a favore di una politica protezionistica: l’Europa che propone un accordo ma minaccia ritorsioni con la web tax, gli Usa che fanno muro, alternando annunci, rettifiche e smentite. “Un momento difficile”, commenta la Premier prima della partenza. La partita in gioco è doppia: c’è l’Italia e la bilancia commerciale da difendere (67 miliardi di euro), c’è l’Europa e Meloni che, con il beneplacito di Ursula von der Leyen, si pone come “pontiere” tra le due sponde dell’Oceano. “L’Occidente come lo conoscevamo non esiste più, con gli Stati Uniti c’è una relazione complicata”, ha dichiarato la Presidente della Commissione europea. Da Bruxelles quindi particolare attenzione per la missione americana di Giorgia Meloni: “ogni canale di dialogo aperto con gli Usa viene visto in modo positivo”. Nelle parole della Premier il filo conduttore della missione: “servono concretezza, pragmatismo e lucidità”. Un faccia a faccia con Trump che si annunciava difficile, non privo di insidie per i dossier in discussione, a difesa dell’interesse nazionale all’interno della cornice europea, e per la imprevedibilità del padrone di casa. Giorgia Meloni è il primo Capo di governo europeo a incontrare il Presidente degli Stati Uniti dopo la tempestosa dichiarazione del 2 aprile che tanto subbuglio ha creato nei mercati finanziari di tutto il mondo.

Dall’esito dell’incontro un test per la Premier in termini di autorevolezza internazionale ma anche per Trump, per interpretarne le prossime mosse. E il viaggio istituzionale a Washington di Meloni, anche se non ha portato a risultati immediati, ed era prevedibile, è stato utile sul piano diplomatico per accantonare le schermaglie e riavvicinare le due sponde dell’Atlantico. Un bilancio positivo: toni distesi, sorrisi e abbracci, dichiarazioni concilianti, “un confronto leale e costruttivo”. Fiducia per un futuro accordo Usa e Ue per porre fine alla guerra commerciale e recuperare le relazioni transatlantiche nell’intento di arrivare a tariffe doganali “zero a zero” e a quella grande area di libero scambio vagheggiata dalla Premier.

Nonostante qualche nota stonata (Ucraina), un importante riconoscimento politico da parte di Trump per l’Italia, “uno dei nostri più stretti alleati, non solo in Europa”. Un rapporto destinato a rafforzarsi con la visita del tycoon a Roma a seguito dell’invito di Giorgia Meloni, “great person”, una persona eccezionale, per un eventuale incontro con i vertici Ue. Obiettivo geostrategico: convincere Bruxelles a raffreddare i rapporti con la Cina e tenerla lontana dal Vecchio Continente. Rapportata ai volumi di produzione la Cina ha superato gli Stati Uniti di oltre un quarto nel 2024, produce il 54% dell’acciaio mondiale (contro il 4,5% degli Usa), quasi un terzo della manifattura mondiale (contro il 15% degli Usa) e il 90% delle terre rare lavorate. Il suo potere politico globale è prossimo a quello americano. Per Usa e Ue, dunque, una comune necessità di puntare su un Occidente unito e forte con una lungimirante visione strategica. Un’autarchia rispetto al resto del mondo è follia. La guerra commerciale globale non è sostenibile, più utile concentrarsi sui veri avversari.

Accantonato ogni deplorevole giudizio sull’Europa “parassita e patetica”, la nuova strada è tracciata nel segno di Cristoforo Colombo evocato nell’incontro alla Casa Bianca per annunciare da parte italiana l’arrivo negli States di grandi imprese del Belpaese (Eni, Leonardo, Luxottica) con investimenti di dieci miliardi di euro. “Make Occidente Great Again”, nell’auspicio transnazionalista di Giorgia Meloni. Ribadita la volontà di facilitare l’intesa così da uscirne entrambi (Usa ed Europa) più forti. Nessuna mediazione per la Ue, non avendo alcun mandato, ma (ri)trovare il giusto equilibrio a metà strada e dare voce a ragionevoli compromessi. I dossier nazionali sul tavolo sono numerosi e pesanti, a partire dalla conferma che il Governo italiano porterà la spesa per la difesa al 2% del Pil entro il vertice Nato di fine giugno, oltre alla disponibilità dell’Italia ad aumentare le importazioni di gas liquido dagli Stati Uniti. Al centro del confronto Italia-Usa restano i dazi, una scriteriata guerra commerciale che danneggia le due economie. Dazi contrapposti non si elidono e non si compensano, ma generano effetti negativi sui prezzi dei beni e servizi importati e quindi sulla domanda interna, a danno dei consumatori finali, insieme a crolli dei listini azionari e a un indebolimento del tasso di crescita. Cancellare dunque ogni misura tariffaria, negoziarne la reciprocità, superando il protezionismo americano. Dai futuri negoziati, verosimilmente sotto l’ombrello comunitario, la soluzione dell’intricato “casus belli”, non dimenticando il pensiero di J.F. Kennedy: “L’Italia e gli Stati Uniti condividono non solo una storia di amicizia, ma anche un futuro di cooperazione economica”.

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