FOSSIMO FATTI D’ARIA di Umberto Lucarelli a cura di Vincenzo Capodiferro
FOSSIMO FATTI D’ARIA di Umberto Lucarelli
Un libro intriso di profonda nostalgia di passioni ed echi civili
Leggiamo dall’Introduzione di Marco Passeri: «Fossimo fatti d’aria racconta i ricordi di un viaggio a Cuba, (anche se nel libro Cuba non è mai esplicitamente citata), un viaggio che a tratti assume i contorni di un viaggio iniziatico, quasi di un’esplorazione dei propri confini interiori e della possibilità di andare oltre, oltre se stessi e oltre un dolore che sembra all’origine di questo percorso e che non smette mai del tutto di riaffiorare, dove lo scrittore osserva ciò che accade ed è intorno a lui e si lascia permeare dai suoni, dagli odori, dal ritmo di una musica incessante, senza mai potervi però appartenere, entrarci davvero con tutto se stesso». Gustiamo un bel passo di Umberto: «Ognuno di noi non ha altro che se stesso. Sempre. Quello che è. Ognuno, quello che è. Siamo questo. Questo cervello che ci ritroviamo, questa pelle, questo corpo. Queste idee che ci vengono, tutti i pensieri simili a macchi ne impazzite gettate su un’autostrada, come formiche, i pensieri di tutto e di niente; che siamo tutto, che siamo nulla. Che abbiamo fatto, che non abbiamo concluso niente. Pensieri di notte, al buio, tapparelle abbassate. Al sole, sulla spiaggia, il caldo, il sudore 116 sulla fronte, nel cervello. Pensieri che non ti lasciano mai, pensieri di noi, di loro, degli altri, di tutti gli altri che vediamo, incontriamo. Che sono belli, che ci piacciono, che invidiamo. Che ci danno fastidio, non li vediamo, non li tocchiamo. Pensieri nel nostro pensiero che è il cervello, un pensiero anch’esso mentre pensa a tutto e vede tutto; il dolore e il piacere, un pensiero. Tutto è un pensiero. Il mondo stesso è un pensiero». “Fossimo fatti d’aria” è stato rappresentato nel 1999, regia di Umberto Lucarelli: «Luciano torna da un viaggio. Telefona immediatamente alla sua fidanzata - una ballerina di danza classica - anche lei impaziente di vederlo: concordano un appuntamento per la serata, dopo le prove del balletto. Recatosi a casa, Luciano trova registrato nella segreteria telefonica un sorprendente messaggio della ballerina, che lo abbandona senza spiegazioni. Sconvolto si precipita al teatro per parlarle: attendendola si addormenta nella platea. Da questo momento l'atmosfera diventa particolare: invece delle ballerine intente alle prove, Luciano incontra una serie di personaggi direttamente legati ai suoi ricordi di viaggio. Un vecchio saggio-stregone lo istruisce misteriosamente sulla ricerca, sul bene, sul male e sull'amore; Lay, l'amico, lo guida tra le quinte di un teatro che sempre più inaspettatamente riveste le connotazioni di un paese altro. Stupito e malgrado tutto affascinato Luciano non rinuncia alla dolorosa ricerca della sua ballerina e seguendo il ricordo di lei incontra i personaggi del luogo, partecipa alla loro esistenza euforica e disperata, al ritmo delle percussioni. In questo modo conosce Madelìn - anch'essa ballerina - dignitosa e fiera del suo paese. Incontra una ragazza disabile e sua madre che la sostiene coraggiosamente, partecipa a feste scatenate. Luciano è colpito dalle contraddizioni politiche e sociali di un paese affascinante che scopre progressivamente attraverso Lay, Madelìn e Delmì la prostituta. Alla fine vede tutti i personaggi che lo fissano dalle poltrone della platea e si rende conto di aver dialogato con i suoi ricordi di viaggio come in un sogno. Il custode, con l'identico volto del saggio, lo risveglia e gli dice che le prove del balletto erano state sospese. Accompagnandolo all'uscita rinnova con accenti semplici le raccomandazioni del vecchio "stregone"».
“Fossimo fatti d’aria” esce per la prima volta nel 1995, ed. BFS. Viene riproposta questa ristampa nel 2025: «Cuba? Non si sa, l'autore non ce lo dice mai, eppure nelle sue parole scorrono quei luoghi, quelle emozioni, quella musica; è fermo davanti alla macchina per scrivere a raccontarci una storia autentica, a scavarsi dentro senza risparmio. La narrazione è ritmica, fatta di un'irresistibile danza. Se mi diceva sì non potevo più tornare. Non potevo più restare sul muretto a togliermi la spiaggia dalle dita dei piedi. Non più con quello che sentivo nel cuore. Quella paura, quello sgomento, quel senso di inferiorità. Quella voglia di averla, quell'entusiasmo, quella smania. Fossimo fatti d'aria… ».
Umberto ci ripropone i suoi viaggi, reali o immaginari, nel topos ideale della giovinezza=1968. Chi dice Sessantotto dice una rivoluzione inaudita: questo posso capirlo, perché quegli anni della rivoluzione europea (1968-1978) in parte li ho vissuti. Anche io giovane adolescente militavo nelle camere di lavoro a sostenere i contadini, quei contadini celebrati da Levi, da Scotellaro. Sono stati anni belli, di profonde trasformazioni. Mancava da un secolo una grande rivoluzione globale, dal 1848, altro annus princeps, un anno speciale, di cui ancora è rimasta eco nella storia: è successo un Quarantotto! Ricordo con affetto quegli anni di passione civile e sociale. Chi li ha vissuti in pieno, non può dimenticarli. Così è Umberto. La rivoluzione non è qualcosa di esteriore, che subiamo. Essi l’hanno vissuta pienamente, interiormente ed esteriormente. Cartesio e Gandhi ci ricordano: – Cambia te stesso e cambierai il mondo. Questo è Umberto: un intellettuale, un rivoluzionario nella sua essenza, nel suo intimo, nel sangue. In pochi lo riuscirebbero a capire. Uomini come lui hanno vissuto quei “Sei giorni troppo lunghi” nelle prigioni a causa della rivoluzione. Ma, ci chiediamo, tutte le rivoluzioni sono fallite: quella francese, quella russa, quella del Quarantotto? Quella del Sessantotto? Tranne quella inglese ed americana che hanno trovato un compromesso con il Potere. Ma anche se fosse così! Se fossero fallite! Noi avremmo tanti diritti oggi senza queste rivoluzioni? Diritti che oggi più che mai rischiamo di perdere? Le rivoluzioni possono anche fallire, ma lo spirito di esse, il vero motore della storia resta. Senza rivoluzione la storia non esiste. Umberto, come Trotskij, come Gramsci, come tutti gli altri che hanno voluto cambiare il mondo sono falliti? No. “Fossimo fatti d’aria” parla di un viaggio a Cuba. Ma cosa rappresenta Cuba in ognuno di noi: l’Iperuranio, una realtà limite, utopistica. Utopia ha sempre un duplice valore: negativo, cioè un non-luogo inesistente, ma anche positivo: un luogo felice. La felicità sta sempre al limite. Due grandi pilastri come Horkheimer e Adorno ci dimostrano che il Totalitarismo è figlio dell’Illuminismo, ma soprattutto, in “Dialettica dell’Illuminismo”, che l’uomo moderno, come Ulisse, è incatenato al palo della nave per non inseguire le Sirene della felicità, mentre la massa operaia, servitrice del sistema, ha le orecchie sigillate con piombo fuso. Il dio denaro porta all’alienazione totale, non solo dell’operaio, ma anche del borghese capitalista, che si lega al palo e non gode delle sue ricchezze, ma le odorare. Adorare ha a che fare con oro. Ma se Marx non avesse sognato, se tutti gli altri non avessero sognato, la storia sarebbe mai cambiata? Mai. L’uomo è ciò che sogna. Freud scriveva: – Forse c’è qualcosa di peggio dei sogni svaniti, perdere la voglia di sognare ancora. I post-modernisti ci hanno rubato i sogni. Ci hanno fatto credere di non credere più alle favole metafisiche, tra le quali ci hanno postato anche il marxismo. Ma come fa l’uomo a vivere senza idee? Senza sogni? Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.” Il problema non è dei sognatori, di coloro che vogliono cambiare il mondo, ma di chi si appropria di questi sogni, li sfrutta per fare i comodi propri e li trasforma in incubi storici. E questo hanno fatto i nostri pseudo-rivoluzionari: «Al posto dei corpi rappresentativi usciti da elezioni popolari generali, Lenin e Trotsky hanno installato i soviet in qualità di unica autentica rappresentanza delle masse lavoratrici. Ma col soffocamento della vita politica in tutto il paese anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa. Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione illimitata, libera lotta d’opinione in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa apparente e in essa l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. La vita pubblica si addormenta poco per volta, alcune dozzine di capi-partito d’inesauribile energia e animati da un idealismo sconfinato dirigono e governano; tra questi la guida effettiva è poi in mano a una dozzina di teste superiori; e un’élite di operai viene di tempo in tempo convocata per battere le mani ai discorsi dei capi, votare unanimemente risoluzioni prefabbricate: in fondo dunque un predominio di cricche, una dittatura, certo; non la dittatura del proletariato, tuttavia, ma la dittatura di un pugno di politici, vale a dire dittatura nel senso borghese, nel senso del dominio giacobino (il rinvio dei congressi dei soviet da tre a sei mesi!). E poi ancora: una tale situazione è fatale che maturi un imbarbarimento della vita pubblica, attentati, fucilazione di ostaggi ecc. Ecco una legge superiore, obiettiva, alla quale alcun partito non è in grado di sfuggire».
Lo scriveva Rosa Luxemburg, una rivoluzionaria autentica, come Umberto!
© Vincenzo Capodiferro

Interessante. Bella recensione.
RispondiEliminagrazie!
RispondiElimina