LA ZAVORRA DEL DEBITO PUBBLICO di Antonio Laurenzano


LA ZAVORRA DEL DEBITO PUBBLICO

di Antonio Laurenzano

Come abbattere il mostro, ovvero il debito pubblico. E’ uno dei problemi più discussi negli ultimi anni, il “male oscuro” della finanza pubblica che ha messo a rischio la stabilità finanziaria e la crescita economica dell’Italia. Numerose le crisi, da quella del 1976, quando nel giro di pochi giorni la caduta di fiducia dei risparmiatori causò precipitose fughe di capitali che azzerarono le riserve valutarie nazionali, a quella dello spread del 2011, la crisi del debito sovrano, generata dal crack finanziario dei mutui subprime degli Stati Uniti. Il 9 novembre, a causa della speculazione politico-finanziaria sui titoli di Stato (rigidità tedesca, superficialità delle agenzie di rating, ostilità europea), lo spread s’impennò toccando i 575 punti, portando l’Italia sull’orlo del default. Si parlò di complotto internazionale. Seguirono le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento a Palazzo Chigi del governo tecnico di Mario Monti per contenere l’allarme tra gli investitori internazionali e rispondere alla famosa lettera Trichet-Draghi che intimava all’Italia di fare riforme e intervenire sul pareggio di bilancio.

Situazione che migliorò dai primi mesi del 2015 a seguito del programma di acquisto di titoli della BCE (“quantitative easing”) con conseguente attenuazione della percezione del “rischio sovrano” da parte degli investitori. Ma per il Belpaese, già colpito da gravi crisi in passato, i problemi sul tappeto sono rimasti sempre gli stessi: scarsa crescita economica, tasso d’interesse non in linea con il tasso di crescita, spesa pubblica priva di adeguata copertura finanziaria, minori introiti per l’evasione fiscale, mancanza di riforme strutturali. E’ peggiorata così la situazione debitoria: per la prima volta, il debito pubblico italiano, dopo una leggera flessione registrata in dicembre, secondo i dati diffusi da Bankitalia supererà nel corso dell’anno la soglia dei 3mila miliardi di euro (135,8% del Pil), circa 97 in più rispetto a dodici mesi prima, con una cambiale in scadenza da rinnovare di circa 350 miliardi di euro. A spingere in alto l’asticella è il debito consolidato delle amministrazioni centrali per l’effetto fabbisogno, alimentato parecchio dalle ricadute del Superbonus 110%. Una montagna d’interessi: negli ultimi dieci anni, tenendo conto dell’inflazione, l’Italia ha speso quasi 800 miliardi in interessi sul debito, un importo annuale più alto rispetto a quanto investito nella istruzione.

Ma, pur con un debito pubblico off-limits, i Btp sono considerati fra i titoli di Stato più appetibili in Europa, come dimostrano le ultime aste record promosse dal Mef. Boom di ordini per i BTP a 15 anni della scorsa settimana: l’importo emesso è stato pari a 13 miliardi di euro a fronte di una domanda di oltre 130 miliardi di euro. Oltre 300 investitori, in rappresentanza di 32 Paesi (76,3%), con forte presenza europea. Una quota rilevante è stata sottoscritta da investitori statunitensi (12%). E’ la stessa Banca d’Italia a spiegare l’apparente anomalia: “dal punto di vista economico, ciò che rileva per valutare lo stato di salute delle finanze pubbliche di un Paese non è tanto il debito pubblico in termini nominali, quanto il suo andamento in relazione alla capacità del paese di fare fronte ad esso.” Questa capacità, secondo il Ministro Giorgetti, è connessa al “piano strutturale di rientro del debito, accettato e condiviso dall’Ue con l’approvazione della Legge di bilancio 2025”. Un percorso di aggiustamento ritenuto “credibile” e “sostenibile” nel medio termine. L’Italia viene cioè considerata più affidabile rispetto al passato in un contesto europeo di maggiore instabilità politica. Grazie alla discesa dello spread Btp-Bund e quindi dei tassi d’interesse, nel 2025-2026 si pagheranno circa 10 miliardi di euro di interessi sul debito in meno rispetto al previsto.

Resta la grande incognita dell’elevato stock di debito pubblico e delle sue gravi conseguenze sul lungo periodo, con ricaduta sul sistema paese per la limitata capacità del governo di investire in infrastrutture, innovazione, ricerca e servizi pubblici. Gran parte delle entrate fiscali è destinata al pagamento degli interessi e i crescenti squilibri finanziari non consentono un’efficace programmazione di sviluppo. Il conto finale è pagato dalla crescita economica che stenta a decollare e a consolidarsi con effetto domino su produttività, occupazione e consumi, un mix di forte impatto socio-economico.

Quale soluzione “per abbattere il mostro”? Si continua a scrivere e a dissertare tanto sullo spinoso tema. Alternative diverse, a volta bizzarre: si va dal sostenere la necessità di azzerare il rapporto debito/Pil aumentando gli investimenti pubblici al patto fiscale con un’imposta patrimoniale e alleggerimento della tassazione sui redditi e dei consumi, alla alienazione degli immobili pubblici. In attesa di difficili (e improbabili) interventi risolutivi, sarebbe utile adottare riforme strutturali, semplificare la burocrazia, tagliare sprechi e spese improduttive, monitorare la regolarità dei flussi di spesa, incentivare la lotta alla grande evasione e non disperdere il tesoretto del PNRR in colpevoli ritardi e omissioni, eludendo i vincoli europei.

E’ tempo che l’Italia si liberi del gravoso fardello, una palla di piombo che la inchioda all’impossibilità di operare con politiche di bilancio di lungo respiro. Ridurre il debito e adeguarlo alle nuove regole imposte dal Patto di stabilità è la priorità del Paese. Una sfida epocale per portare la finanza pubblica fuori dal tunnel delle crisi e della precarietà.


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