"E fu sera e fu mattina" di Francesco Randazzo a cura di Vincenzo Capodiferro
“E FU SERA E FU MATTINA”
Una lastra fotografica sensibilissima che emoziona e lucidamente regista le ragioni del cuore
“E fu sera e fu mattina. Libri del tempo” è una raccolta poetica di Francesco Randazzo, edita da Fara, Rende 2024. Come scrive Alessandro Ramberti nella prefazione: «La poesia di Francesco Randazzo è una lastra fotografica sensibilissima che emoziona e lucidamente regista le ragioni del cuore (del suo e del nostro)… I poeti, come i profeti, sanno vedere oltre, lontano, e, come Nathan fece con Davide, possono scuoterci, tirarci fuori dalle nostre bolle di transitoria e deleteria onnipotenza. Se non li ascoltiamo, rischiamo di fare la fine del pazzo di Gela …». Certamente Alessandro rimanda, qui, ad un’antichissima concezione, quella del poeta vate e del poeta profeta. L’ultimo poeta vate è stato D’Annunzio. L’ultimo poeta profeta è stato Turoldo. La società senza poeti è impazzita: «Un pazzo di Gela s’aggirava/ per le scure strade disastrate/ della sua esistenza larvale …». La Musa rende ciechi. Ogni poeta è un Omero, un Odisseo, ogni uomo un “Uno. Nessuno. Centomila”, ma soprattutto un nulla: «… nemmeno l’al di là l’aveva voluto, così/ era soltanto invisibile, / nulla mischiato al niente. E fu sera e fu mattino. Un nuovo giorno». Da qui è tratto il titolo, emblematico, e dilemmatico, perché da un lato rimanda alle pause creative di Dio, le sue “insonni notti”, dall’altro ad una tipologia espressiva tipica che sta tanto per “Tanto l’aria s’addà cagnà”. L’atteggiamento di Francesco è - come annota sempre Alessandro - «altalenante tra fede e scetticismo». La sua è una fede critica, non scontata. Il poeta è un Giobbe ridente, tanto per adusare un ossimoro lampante. Francesco è non è solo un regista poeta, ma un poeta regista: riprende la realtà, quella vera, non la fiction artistica. Aristotele sosteneva che la poesia è più vera della storia, per il concetto di verisimiglianza. Ma soprattutto l’arte è catartica e per questo artica: le espressioni artistiche possono congelarti, pungenti come Bora. Nel mare del nihilismo, ove pare sia dolce il leopardiano naufragio, emerge lo scoglio dell’Assoluto: «Mando un messaggio a Dio e lo ringrazio. /Sembra stupido e vano: ma cos’altro resta, / quando tutto diventa così disperatamente inutile, cos’altro/ se non la folgorante idea di Dio?». L’idea di Dio non è Dio. Il Dio d’Abramo, d’Isacco e di Giacobbe non è il Dio dei filosofi (Pascal). Eppure hanno la stessa radice, indoeuropea: “vid”, vedere. Ciò che s’è visto. Dio nessuno l’ha mai visto; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio dimora in noi e il suo amore è perfetto in noi (Giovanni). Dio è amore.
Se ci fosse un terremoto sarebbe peggio.
Se ci fosse una guerra sarebbe peggio.
Se ci bombardassero sarebbe peggio.
Se ci deportassero sarebbe peggio.
Se ci togliessero la parola sarebbe peggio.
Come non ricordare il “S’i’ fosse foco” in chiave modernista? Francesco registra in uno sfondo poetico in bianco e nero, quasi neorealista.
Francesco Randazzo, laureato in Regia all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, lavora in Italia e all’estero come regista e autore. Ha fondato la Compagnia degli Ostinati - Officina Teatro, della quale è stato direttore artistico. Ha pubblicato testi teatrali, poesie, racconti e romanzi. Numerosi i premi di drammaturgia e letteratura nazionali e internazionali. Sue pièces sono state tradotte in spagnolo, ceco, francese e inglese. Con Graphofeel, negli ultimi anni, sono usciti: “I duellanti di Algeri” (2019), “L’amore è quiete accesa” (2021) e “Freme la vita. I sogni di Goffredo Mameli” (2024).
Vincenzo Capodiferro
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