AUTONOMIA DIFFERENZIATA, TUTTO DA RIFARE di Antonio Laurenzano
AUTONOMIA DIFFERENZIATA, TUTTO DA RIFARE
di Antonio Laurenzano
Autonomia differenziata in stand by. Con il deposito della sentenza sulle questioni di costituzionalità della Legge 86/2024 promosse da alcune Regioni, la Corte costituzionale, pur ritenendo non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge, ha giudicato illegittime specifiche disposizioni del testo, con invito al Parlamento, “nella sua discrezionalità”, di intervenire per colmare il vuoto legislativo che si è creato. Sotto esame dei giudici l’elenco delle materie, o meglio delle funzioni, la definizione dei Lep, il ruolo del Parlamento, la stabilità finanziaria.
Il responso della Consulta, con riferimento al dettato costituzionale, pone chiari paletti all’impianto della legge. Le forme particolari di autonomia riconosciute alle Regioni dall’art.116 della Costituzione su 23 materie, per effetto della Riforma del Titolo V approvata nel 2001 dall’allora centrosinistra, devono coordinarsi con gli altri principi costituzionali: unità della Repubblica, solidarietà tra le Regioni, eguaglianza e garanzia dei diritti dei cittadini, equilibrio di bilancio. L’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini. “I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla Costituzione.” A tal fine, è il “principio costituzionale di sussidiarietà” che regola la distribuzione delle funzioni fra Stato e regioni.
Tutto da rifare? Certamente, la Consulta impone modifiche sostanziali alla legge per eliminarne i profili illegittimi, una Legge che, secondo il Governatore della Puglia Emiliano, ex magistrato, “tecnicamente non esiste più”. Sarà ora possibile valutare l’impatto della pronuncia sui referendum abrogativi. La Corte, nel recuperare all’iter legislativo la centralità del Parlamento, ha cancellato, perché incostituzionali, alcuni punti fondamentali della legge. In particolare, la devoluzione di funzioni alle Regioni non può avvenire per materie o ambiti di materie ma deve riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative, e giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà.
“Vi sono delle materie, precisa la Corte, cui pure si riferisce l’art. 116 della Costituzione, per le quali vi sono motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico che ne precludono il trasferimento, materie in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea”, come la politica commerciale comune, la tutela dell’ambiente, la produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le “norme generali sull’istruzione che hanno una valenza necessariamente generale e unitaria”, le funzioni relative alla materia sulle “professioni” e i sistemi di comunicazione.
Un punto cruciale della sentenza riguarda i Lep, che stabiliscono il livello essenziale delle prestazioni per la tutela dei diritti che devono essere uguali, per tutti i cittadini, “uno standard uniforme delle stesse prestazioni in tutto il territorio nazionale”. Secondo la Consulta, è incostituzionale “il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei Lep priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. I criteri della delega non possono cioè essere vaghi e non possono riguardare genericamente più settori, ma devono essere specifici per singolo settore. La funzione costituzionale cui devono rispondere è quella di garantire una tutela uniforme e non parziale dei diritti civili e sociali, in termini di prestazioni perequative.
Altro punctum dolens della Legge Calderoli è quello relativo alla previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri a determinare l’aggiornamento dei Lep, e non, come ritiene legittimo la Corte, il Parlamento. Stesso profilo di incostituzionalità la “facoltatività”, piuttosto che la “doverosità”, per le Regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica. Nella cornice costituzionale deve inoltre rientrare la clausola di invarianza finanziaria di bilancio che, al momento dell’intesa Stato-Regione e dell’individuazione delle relative risorse destinate alle funzioni trasferite, dovrà tener conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, degli obblighi comunitari.
“Il regionalismo corrisponde a un’esigenza insopprimibile della nostra società, come si è gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione”, la chiosa finale della Corte. Spetta al Parlamento, garante dello Stato unitario, il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale, contro ogni disgregazione di forze centrifughe. Autonomia sì, ma “cum grano salis”. Questione di maturità politica e senso dello Stato.
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