TRUMP E L’EUROPA, QUALE FUTURO? di Antonio Laurenzano
TRUMP E L’EUROPA, QUALE FUTURO?
di Antonio Laurenzano
A due mesi dall’ “inauguration day” il dibattito politico gira attorno al nuovo inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, ai tanti interrogativi sulla sua futura Amministrazione, dalla politica economica alla politica estera, dai rapporti con l’Europa a quelli con la Nato. Tutto è di nuovo in gioco. Il voto americano traghetta le relazioni degli Stati Uniti in un mare di incertezza. La seconda Amministrazione Trump dal 20 gennaio 2025, dopo il solenne giuramento del tycoon sulla Costituzione a Capitol Hill, sulla scalinata dei giardini, affronterà un mondo in grande subbuglio, fra focolai di guerra e forti tensioni territoriali.
La mappa politica è disegnata. “Trump respinge il vecchio modello del liberalismo economico guidato da democrazie aperte e liberali, di cui l’America è stata il grande portabandiera nel Dopoguerra, ora cavalca quello della superpotenza che pretende molto e concede il minimo”. In prima battuta, il conflitto commerciale con la Cina e con l’Europa con l’adozione delle annunciate misure protezioniste (dazi all’importazione dal 20 al 40%), finalizzate ad arginare il deficit import/export. L’America importa molto più di quanto esporta a conferma di un mercato di rilevanza mondiale. Significativi i dati della bilancia europea dei pagamenti in relazione all’economia americana: lo scorso anno l’Ue ha accumulato un surplus di 157 miliardi di euro nello scambio di beni, con un surplus italiano di circa 40 miliardi di euro (manifatturieri, alimentari, medicamenti).
Per Trump, la questione dei dazi, è stata una carta vincente (“America first”) nella corsa presidenziale. Con un marcato protezionismo economico potrebbe tramontare la posizione di rendita dell’Europa nell’interscambio con l’America, un protezionismo che farà molto male a tutti e che metterà il nuovo Presidente USA in una posizione negoziale fortissima, anche per la preminenza dell’economia americana nel mondo. E sarebbero di scarsa portata sul mercato interno le conseguenze dell’inflazione eventualmente generate da una politica commerciale improntata sui dazi.
Altro tema scottante è la riduzione dell’impegno militare americano nel mondo, in primis nell’area atlantica, in particolare con un minore sostegno all’Ucraina. Campanello d’allarme per la Nato. Fa discutere la richiesta di Trump agli alleati fatta nella campagna elettorale di spendere di più nella difesa per integrare l’ombrello di protezione americano. In gioco, con la visione dell’alleanza transatlantica, la sicurezza dell’Europa oggi fortemente minacciata ad est dall’espansionismo aggressivo di Putin. Negli Stati Uniti la sensazione è che la Nato sia una sorta di coperta americana per l’Europa ma per la quale l’Europa non paga abbastanza. Certamente meno del 2% del Pil fissato per il 2024 dagli accordi dell’Alleanza, mentre gli USA versano il 5%. L’Unione europea verrebbe messa di fronte, in maniera anche violenta, a una delle sue grandi debolezze, cioè l’assenza di una politica di difesa comune, invano auspicata da De Gasperi negli Anni Cinquanta. Un passaggio molto delicato che trova impreparata Bruxelles, in forte ritardo nella costruzione di una precisa identità politica. Oltre due anni di guerra alle frontiere non sono bastati ai (litigiosi) Stati membri ad assemblare una parvenza credibile di difesa comune europea.
Sempre più debole l’Europa sotto tutti i profili, incluso quello politico, con i sistemi di governo di Francia e Germania profondamene in crisi, percorsi da una instabilità che non si vedeva da decenni. Il trionfo elettorale di Donald Trump coglie l’Unione europea nel suo momento di massima fragilità istituzionale. Un progetto unitario in perenne costruzione. E notizie poco rassicuranti anche per la crescita economica che viaggia poco sopra lo zero, con valori al ribasso in Germania, a rischio di recessione.
Un quadro, quello dell’Unione europea, particolarmente complesso che dovrà fare i conti con la presidenza Trump. Muteranno in profondo i rapporti tra gli Stati Uniti e l’Europa. Grandi cambiamenti in vista che impongono all’Ue una responsabile presa d’atto. Il suo futuro politico è strettamente legato a una “comunità europea di difesa”, a un nuovo Eurobond (debito condiviso) per una integrazione tecnologica dei sistemi di energia decarbonizzata, a una unione dei sistemi industriali e dei mercati dei capitali privati per far crescere, in termini di produttività, grandi imprese continentali. Lo ha ribadito con estrema chiarezza l’ex Presidente della Bce Mario Draghi al recente Consiglio europeo di Budapest in occasione della presentazione ai leader europei del suo rapporto sulla competitività dell’economia europea. “L’Europa non può più posporre le decisioni, è necessario trovare in fretta uno spirito unitario per negoziare con l’alleato americano”, perché “per andare in ordine sparso, siamo troppo piccoli, non si va da nessuna parte”. Ridurre il delta competitivo con gli Stati Uniti resta la vera sfida che si potrà vincere con forti investimenti pubblici e privati, anche attraverso la leva del debito europeo comune, in funzione della crescita economica. E’ la strada tracciata a Budapest per rendere l’Unione più competitiva, produttiva, innovativa e sostenibile. La strada per un diverso equilibrio mondiale.
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