di Augusto da San Buono Negli anni Settanta, quando Gianni Brera dirigeva ancora “Il Guerin Sportivo”, raccontò che un giorno si era recato a casa del poeta Eugenio Montale e l’aveva ammirato come eccellente baritono. Si sa che Montale aveva iniziato la sua carriera proprio come cantante lirico, che rimase l’unica sua vera passione, al di là della poesia e della letteratura. Interpretare Jago con il fez piumato, o Scarpia con il monocolo e la tabacchiera, era stato da sempre suo sogno.. “Ma la morte del mio maestro di canto - ironizzò il poeta - pose fine alla mia vagheggiata carriera… Caro Brera, di sport non so nulla, ma potendo vivere una seconda vita come sportivo, credo che avrei privilegiato il tennis , perché ha quel fascino, quell’eleganza, quelle movenze tipiche della danza. E poi non va dimenticato che io sono ligure e il primo club di tennis italiano è nato qui, a Bordighera, nel 1878”. Montale probabilmente non impugnò mai, in vita sua, una racchetta da tennis, né fo
Giuseppe Mazzini, la politica come religione civile Roland Sarti Laterza Editore pagg. 232 Parlare di Giuseppe Mazzini all’inizio del terzo millennio può apparire anacronistico oltre che scevro di significato. Eppure proprio oggi più che in altri periodi storici, a duecento anni esatti dalla nascita del patriota genovese, si sente forte l’esigenza di un pensiero politico laico che sappia nuovamente intendere e quindi scrivere e discorrere di Dio . Questo è l’aspetto dominante della visione politica, e ad un tempo ascetica, di Mazzini. Figlio di un medico massone dedito alla cura dei bisognosi e di una adorata madre vicina al giansenismo, studente modello, dottore in giurisprudenza a 22 anni, fu egli stesso adepto di una di quelle società segrete che nel XIX secolo sobillarono nuovamente alla rivolta i popoli dell’Europa restaurata, la Carboneria . Personaggio eclettico per eccellenza, seppe mirabilmente coniugare il rigore del capo cospiratore con la grande stravaganza e sensibi
E' un concetto non facile da esprimere quello di 'spazio vissuto' perché comporta una relazione tra ciò che 'esiste' e ciò che viene percepito. Il geografo francese Frémont risolve in maniera brillante la questione riconducendo questa definizione al rapporto tra la geografia e l'arte . Lo spazio vissuto è in fondo, il paesaggio di ognuno, quello che ognuno di noi potrebbe dipingere su tela o scolpire nella pietra: non dunque la realtà oggettiva ma pù semplicemente quella che noi percepiamo e porteremmo a rappresentazione simbolica della nostra realtà se volessimo o se fossimo chiamati a farlo utilizzando gli strumenti a noi più congeniali. Lo spazio vissuto è diverso per ciascuno di noi, ma è condivisibile nell'espressione artistica perché il nostro spazio possiede elementi comuni a quello degli altri. Non si tratta dunque di uno spazio costituito solo da elementi materiali o, per così dire, 'visibili', perché non è fatto solo di distanze, ma di
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