“LA PARTE STUPIDA” di Alessandro Monestier a cura di Vincenzo Capodiferro
“LA PARTE STUPIDA” di Alessandro Monestier
Acuto romanzo sulla grottesca natura degli uomini
“La parte stupida” è un romanzo di Alessandro Monestier, edito da Porto Seguro, Milano 2023. L’autore, Alessandro Monestier è nato a Milano nel 1963, svolge la professione di pediatra e scrive racconti per l’infanzia e l’età adulta. Il romanzo descrive le vicende vertiginose di un insegnante di filosofia del liceo, Otto Trenta, il quale, per ironia della sorte, diviene milionario e fa come Robin Hood: ridistribuisce la ricchezza ai poveri e sceglie di andare a vivere su una piccola isola greca, Keros, inseguendo l’ideale naturalistico, il sogno mancato dei già Illuministi. L’intreccio della trama si presenta in veste autobiografica e investe i vari campi del sapere, con un continuo riferimento ad ideali filosofici. Il tema forte è una critica serrata al capitalismo: “I soldi controllano il mondo e, nella quasi totalità, sono entità virtuali; solo numeri che saltano da un computer all’altro, senza più alcuna corrispondenza aurifera né cartacea”. Come non dar ragione a questa critica? Il capitalismo senza dubbio ha subito varie fasi: quella individuale (prima rivoluzione industriale); quella sociale e nazionale (seconda rivoluzione industriale) e quella, a mio avviso, virtuale (terza e quarta rivoluzione industriale). Questo avviso vedo che corrisponde anche con la visione del nostro amico e di molti altri intellettuali. Ci troviamo nella fase del super-capitalismo anonimo ed a-nomico delle multinazionali, che ha soppiantato quello ottocentesco degli industriali positivisti e quello statuale o nazionale del novecento dei totalitarismi di massa. Otto Trenta è un ribelle. Non accetta questo tipo di società liquida, se non aerea, tutta pilotata da un potere economico virtuale. Fino al 1929 c’era il vincolo aureo: non si poteva stampare moneta ad aria compressa. Poi, di fronte alla crisi, si è dovuto cedere, con tutto il benestare di Keynes. Adesso è diventato un vizio: basta schiacciare un bottone e spostare numeri da un banco all’altro. È l’”economia immaginaria” come la definisce Mario Fabbri, un grande economista dei nostri tempi. Otto Trenta si presenta come un intellettuale fuori del coro, un moderno Diogene: “Carlo De Castro di Scienze, mi imputava il reato di voto di scambio; valutazioni insufficienti in cambio di generi alimentari, quando in realtà si trattava di libere e disinteressate donazioni… Serenella Tannico, di Storia, mi rinfacciava la mancata compilazione del registro elettronico, i frequenti ritardi e i colpi di sonno in orario curricolare… Giambattista Carinella di Religione invocava il mio allontanamento dall’istituto per eresia e circonvenzione di minore solo perché insegnavo ai miei studenti a diffidare del soprannaturale…”. In altri tempi - rivoluzione del Sessantotto - il professor Trenta sarebbe stato classificato subito come un “cattivo maestro”. È una fotografia della scuola attuale, un immane parcheggio sociale disorientante e disorientativo. C’è differenza in fondo tra sessantottini e sessantotteschi. Il sistema economico d’altronde vuole questo: formare degli automi, dotati di competenze e non di conoscenze, vuole i pentoloni ricolmi di nozioni e non i fuochi accesi. L’esperienza del Sessantotto ha dimostrato che la scuola è pericolosa, va emarginata e soprattutto i docenti, un male necessario, vanno ridimensionati, sia socialmente che, soprattutto, economicamente. Una nuova massa, ignorante e laureata, è facilmente manipolabile. È forte l’associazione tra Trenta e Robin Hood. Sono eroi mancati, Cassandre inascoltate. La massa ha bisogno di allucinazioni, non di verità. Ecco i cellulari, i tablet: finestre su schellinghiani metaversi. È il nuovo oppio del popolo. Nessuno deve ragionare. Bisogna mantenere la kantiana minorità mentale pre-illuministica. E innanzi c’è una generazione fragile, flemmatica, rispetto a quella sanguigna dei sessantottini. Purtroppo i sessantottini sono divenuti sessantotteschi, cioè dei grotteschi pupazzi, ben agghindati a festa del “perbenismo interessato, la società fatta di vuoto, l’ipocrisia…”. Il romanzo di Alessandro Monestier ci pone interessanti interrogativi sulla vita, è un viaggio attraverso paradossi e luoghi semantici sapienziali. Numerosi sono i riferimenti alla cultura e alla filosofia, di cui, - si vede - il Nostro è innamorato. D’altronde la filosofia è amore: o si ama, o si odia, o “odi et amo”. Il danaro è pura alienazione, moderna alienazione religiosa feuerbachiana e marxiana - non marxista -: il culto di Mammona (il vitello d’oro) non viene mai meno! L’esperienza del prof. Trenta è paradossale e si staglia tra primitivismo e futurismo. Il presente è tutto! E quella ricchezza viene redistribuita sempre dalla smithiana “Mano invisibile” della Provvidenza, laica (Ragione) o religiosa (Dio) che sia. Paradossalmente il ricco diviene povero, in quanto schiavo delle sue ricchezze e chiuso nell’angusta gabbia dell’avarizia e il povero diviene ricco, perché dà tutto ciò che ha e dando riceve il centuplo, in base alla legge cosmica o carmica del contrappasso. La sua lettura è semplice, ma profonda nella sua naturalezza ed ‘ovvietà’. È una critica sentita della società attuale immersa nella ‘liquidità’ del “naufragar m’è dolce in questo mare”. Il naufragio esistenzialista viene ammorbidito da un crollo lento e soave, quasi eutanasiaco. “La parte stupida” richiama l’inetto caro alla nostra letteratura, il tragicomico: un racconto pessimista ironico. Aristotele esclude dalla naturale socialità umana la bestia o il dio, il superuomo o il sottuomo: sono voci fuori del coro. Stupido deriva da stupore: la filosofia comincia così, da “ciò che produce stupore e meraviglia”. Questa parte stupida sopravvive in ognuno di noi: è il fanciullino smarritio di Pascoli, è l’es di Freud, di Jung e di Lacan. Ognuno di noi, in fondo al cuore, è un bambino imbelle ed un eroe di sé, un pre-uomo ed un nietzschiano oltre-uomo.
V. Capodiferro
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