Giuseppe Mazzini, la politica come religione civile Roland Sarti Laterza Editore pagg. 232 Parlare di Giuseppe Mazzini all’inizio del terzo millennio può apparire anacronistico oltre che scevro di significato. Eppure proprio oggi più che in altri periodi storici, a duecento anni esatti dalla nascita del patriota genovese, si sente forte l’esigenza di un pensiero politico laico che sappia nuovamente intendere e quindi scrivere e discorrere di Dio . Questo è l’aspetto dominante della visione politica, e ad un tempo ascetica, di Mazzini. Figlio di un medico massone dedito alla cura dei bisognosi e di una adorata madre vicina al giansenismo, studente modello, dottore in giurisprudenza a 22 anni, fu egli stesso adepto di una di quelle società segrete che nel XIX secolo sobillarono nuovamente alla rivolta i popoli dell’Europa restaurata, la Carboneria . Personaggio eclettico per eccellenza, seppe mirabilmente coniugare il rigore del capo cospiratore con la grande stravaganza e sensibi
di Augusto da San Buono Negli anni Settanta, quando Gianni Brera dirigeva ancora “Il Guerin Sportivo”, raccontò che un giorno si era recato a casa del poeta Eugenio Montale e l’aveva ammirato come eccellente baritono. Si sa che Montale aveva iniziato la sua carriera proprio come cantante lirico, che rimase l’unica sua vera passione, al di là della poesia e della letteratura. Interpretare Jago con il fez piumato, o Scarpia con il monocolo e la tabacchiera, era stato da sempre suo sogno.. “Ma la morte del mio maestro di canto - ironizzò il poeta - pose fine alla mia vagheggiata carriera… Caro Brera, di sport non so nulla, ma potendo vivere una seconda vita come sportivo, credo che avrei privilegiato il tennis , perché ha quel fascino, quell’eleganza, quelle movenze tipiche della danza. E poi non va dimenticato che io sono ligure e il primo club di tennis italiano è nato qui, a Bordighera, nel 1878”. Montale probabilmente non impugnò mai, in vita sua, una racchetta da tennis, né fo
UN AEREO CADUTO SUL MONTE RAPARO A FINE GUERRA Una tragedia dimenticata che riemerge dalla memoria degli anziani Al tramonto della Seconda Guerra Mondiale è successo tra le perdute montagne lucane una tragedia di cui non si ritrovano tracce negli annali. La guerra ha toccato poco i nostri paesi, se non quelli che sono partiti al fronte e non sono più tornati. Pure le truppe in ritirata non passavano mai dalle montagne, ma dalla strada principale, la statale 19, la borbonica regia strada delle Calabrie. Da quella sono passati tutti, anche Garibaldi. Il massiccio del Raparo si erge sontuoso ed immenso nel cuore della Lucania tra le convalli del Sinni e dell’Agri. Oggi alle sue falde si raccoglie un fiume di petrolio, che confluisce in Val d’Agri, verso Viggiano. Se avete visto “Petrolio” di Ulderico Pesce potete capire. Siamo nell’inverno del 1945, 24 gennaio. Gli inverni allora erano rigidi, con abbondanti nevi, soprattutto sulle alture. Ancora non era subentrata la variazio
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