Alicia Giménez-Bartlett Riti di morte a cura di Marcello Sgarbi


Alicia Giménez-Bartlett

Riti di morte

(Editore Sellerio)


Collana: Le Formiche

Formato: Brossura

ISBN: 8885988873

Pagine: 352


Nel poliziesco di matrice iberica il protagonista indiscusso è stato, secondo me, il mai dimenticato Manuel Vázquez Montalbán, scomparso nel 2003. E la sua patria di elezione Barcellona.

La figura di detective che ha creato – Pepe Carvalho – e il cognome del celebre autore catalano, hanno addirittura ispirato il nome del commissario Montalbano all’altrettanto famoso italiano Andrea Camilleri. I comprimari che lo scrittore basco ha messo a fianco di Carvalho nelle ramblas – l’assistente Biscuter e la fin troppo disponibile compagna Charo – fanno poi da degno contraltare all’investigatore privato spagnolo.

Da tipico esteta ed esperto gastronomo, Montalbán descrive Barcellona attraverso i colori, le atmosfere e le contraddizioni sociali della città, ma i suoi riferimenti vanno soprattutto alla cultura e al gusto. E ancora più in particolare, agli aspetti legati alle specialità culinarie barcellonesi.

Alicia Giménez Bartlett, che barcellonese lo è di adozione ed è ben più giovane di Vázquez Montalbán – è nata ad Almansa, in Spagna, nel 1951 – più parca nel tratteggiare le situazioni d’ambiente, può essere accomunata a lui nell’individuare i contrasti tra la componente proletaria e quella borghese della capitale della Catalogna – dove lei mette in scena Riti di morte - nonché nel cogliere le peculiarità dei catalani e saperle profilare. Trovo, però, che Montalbán sia altrettanto se non più abile nello scavo psicologico quando non addirittura impareggiabile nel tratteggiare i personaggi.

Fra quelli inventati dalla Bartlett spiccano l’ispettrice Petra Delicado e il viceispettore Fermìn Garzón: nervosa e tormentata la prima, impegnata a rivendicare i diritti delle donne, instabile dal punto di vista sentimentale e reduce da un paio di matrimoni falliti. Pacato e flemmatico il secondo, più o meno apolitico, tendente al pingue per amore della buona tavola, vedovo e dotato di uno sguardo indulgente sulla vita.

In questo libro, il primo ad avere inaugurato negli anni Novanta la serie di racconti che vedono protagonista Petra Delicado – da cui nel 1999 è stata tratta anche una riduzione televisiva – i due funzionari di polizia si trovano uniti nel condurre le indagini su una serie di stupri.

Dalle testimonianze delle vittime – ragazze più o meno adolescenti – appare chiaro che l’aggressore è un giovane robusto, purtroppo però da loro non si riesce a sapere molto altro se non che lo stupratore firma i suoi crimini imprimendo sul braccio delle violentate il disegno di un orologio.

Dopo l’individuazione di un probabile colpevole lo sviluppo investigativo porterà a scoprire la soluzione dei casi, tutt’altro che semplicistica perché dietro la figura del violentatore seriale – che verrà ucciso – si nasconde un triste e inaspettato retroscena.

In Riti di morte lo stile di Alicia Giménez Bartlett si esprime in modo felice soprattutto nei dialoghi, fra i quali brillano per scorrevolezza e dissertazioni filosofico-esistenziali quelli dibattuti dall’ispettrice Delicado e dal viceispettore Garzón.

Lo sguardo critico dell’autrice si apre anche verso l’annosa battaglia fra le procedure poliziesche e il sistema di informazione – in primis quello televisivo - popolato da individui senza scrupoli avidi di notizie.

Avevano subìto qualcosa di innominabile, erano state sottoposte a una profonda umiliazione, e per essere solidali è necessario conservare intatta la propria dignità. L’umiliazione rende individualisti fino a eccessi insospettati, è alla base del conflitto interiore e dell’isolamento”.

Chi firmava l’articolo? Non importava. Il braccio della stampa è molto più lungo del braccio della legge. La rete dei giornalisti è così fitta che nemmeno il plancton le sfugge”.

L’immagine di un apparato poliziesco piegato dalle pressioni della stampa era preoccupante. E non dovette essere estranea al mutamento di rotta la comparsa delle tre vittime in televisione con l’insidiosa intervista cui erano state sottoposte. Avallare la nostra rimozione equivaleva a riconoscere che i nostri superiori avevano commesso un errore scegliendo Garzón e me per svolgere quelle indagini. Poi c’era la questione femminile, ancora più scabrosa trattandosi di un caso di stupro. La polizia era una struttura discriminante nei confronti delle donne? La questura relegava le donne a compiti di scarsa importanza, inferiori alle loro qualifiche? Era troppo ammetterlo, sebbene fosse vero, o appunto perché lo era”.

Pensai che il male non è altro che una materia fatta di follia, di ignoranza, di miseria morale, di dolore accumulato, di povertà ereditata, durezza, vuoto interiore”.


© Marcello Sgarbi


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