EUROPA, OPERA INCOMPIUTA. QUALE FUTURO? di Antonio Laurenzano
EUROPA, OPERA INCOMPIUTA. QUALE FUTURO?
di Antonio Laurenzano
Con la rielezione (plebiscitaria) di Roberta Metsola a Presidente, l’assemblea plenaria del Parlamento europeo di Strasburgo ha ufficializzato l’inizio della nuova legislatura, la decima dal 1979 a oggi. Diverso profilo politico, come determinato dal variegato voto del 9 giugno, diversa composizione numerica, con i deputatati che da 705 sono passati a 720 in rappresentanza dei 27 Paesi membri dell’Unione.
Tanti e complessi i problemi da affrontare. Sul tappeto l’Agenda strategica 2024-2029 adottata dal recente Consiglio europeo di fine giugno con la quale sono stati stabiliti gli orientamenti e le priorità dell’Ue per il prossimo ciclo istituzionale. Un vademecum operativo che segnerà il futuro dell’Europa. Tre i pilastri fondamentali: un’Europa libera e democratica (sostenendo e rispettando i valori europei), un’Europa forte e sicura (rafforzando la sicurezza e la difesa dell’Ue e proteggendo i suoi cittadini, preparandosi per un’unione più grande con un approccio condiviso per la migrazione e la gestione delle frontiere), un’Europa prospera e competitiva (sviluppando la competitività dell’Ue, realizzando con successo le transizioni verde e digitale e promuovendo l’innovazione per crescere insieme).
Il problema di fondo resta la crisi di fiducia dei cittadini europei nei confronti della politica comunitaria lontana dai bisogni della gente, soprattutto nei processi decisionali relativi ai temi di impatto diretto sulla vita di ogni giorno, confermata dalla bassa affluenza ai seggi per l’elezioni di giugno. Insicurezza economica e disagio sociale rafforzano la domanda di sovranità nazionale, quella che Luigi Einaudi definì il “mito funesto”. Nessuna traccia di un progetto di rinnovamento del sistema economico, ma una sfrenata corsa alla regolamentazione che ha generato un diffuso malessere. I vincoli europei sono entrati in rotta di collisione. Questa Europa non fa più sognare, alimenta inquietudini. Si sta sgretolando il tasso di unità che ha tenuto finora in vita le tante diversità dell’Unione, ma soprattutto si sta dissolvendo l’originario spirito comunitario dei Padri fondatori e con esso la stessa coscienza europea. L’Unione europea non è ancora un’Unione: manca un patto fondante in forza del quale lo stare insieme, il decidere insieme, l’agire insieme siano un autentico collante. Da anni l’Europa non riesce a fare alcun passo decisivo per diventare una entità sovranazionale con una politica estera comune, una difesa comune, una fiscalità comune, per potersi cioè relazionare sullo scenario geopolitico mondiale con una propria identità.
A Bruxelles si confronteranno sempre più esplicitamente due diversi progetti strategici sulla governance dell’Unione: uno di tipo federativo (nel segno dello storico Manifesto di Ventotene) e uno di tipo confederativo. Da una parte il disegno di una maggiore integrazione economica e giuridica per l’adozione di soluzioni comuni alle grandi sfide di oggi (il clima, le minacce di Putin, la concorrenza con la Cina, il futuro dei giovani), dall’altra un incisivo ridimensionamento dei poteri dell’Ue, circoscrivendoli il più possibile alle competenze esclusive (unione doganale, concorrenza, moneta e commercio con l’estero). Nuale essuno Stato europeo può però garantire, da solo, l’effettiva indipendenza delle proprie scelte, affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali che interessano tutti i Paesi del mondo e trovare una soluzione alle tensioni nei rapporti tra i blocchi d’interesse, presenti e quelli futuri. Nessun ritorno alle antiche sovranità, agli antichi nazionalismi potrà garantire ai cittadini europei pace, sicurezza, e benessere. Più Europa dunque per assicurare un sostenibile modello di crescita, sintesi politica di un partenariato tra istituzioni, mondo delle imprese ed economia sociale. Un passo che la storia impone, una sfida per la futura Commissione europea.
Fondamentale nel processo decisionale la centralità delle istituzioni comunitarie, ma la sua realizzazione sarà assicurata solo se gli Stati membri saranno in grado di esprimere una ritrovata coesione. All’Unione, per fronteggiare le minacce che incombono, serve un profondo cambiamento nel sistema di governo di Bruxelles con una forte leadership che ora non ha. La sovranità europea condivisa e l’interdipendenza delle politiche, economiche e sociali, devono costituire i criteri primari di una governance responsabile e competente, presupposto di ogni progetto unitario di una equilibrata integrazione politica. Un sussulto di coscienza per evitare che il sogno di un’Europa unita si trasformi miseramente nell’incubo del XXI secolo. “Un cambiamento radicale”, come proposto da Mario Draghi nel suo recente rapporto sul futuro della competitività europea.
Rivedere i Trattati istituzionali per rafforzare il ruolo del Parlamento europeo che, non avendo il potere di iniziativa legislativa come i Parlamenti nazionali ma soltanto di “codecisione” (con il Consiglio dell’Unione) nell’ambito della “procedura legislativa ordinaria”, è tenuto ai margini delle politiche strategiche dei governi nazionali, quelle vicine al cuore delle sovranità nazionali, le cui decisioni vengono prese esclusivamente dal Consiglio europeo (capi di Stato e di governo). Così prevedono i Trattati che hanno creato una Unione europea con due motori, uno sovranazionale e l’altro intergovernativo. Che prevalga il senso della storia per costruire, in un ritrovato spirito unitario, un’Europa migliore ed evitare che il presente uccida il futuro.
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