22 marzo 2024

Fred Vargas L’uomo dei cerchi azzurri


 
Fred Vargas

L’uomo dei cerchi azzurri – (Edizioni Einaudi)


Collana: Super ET

Formato: Brossura

ISBN: 9788806250805

Pagine: 216


Nel vasto panorama della giallistica un posto a sé è occupato da Fred Vargas, pseudonimo ispirato al personaggio interpretato da Ava Gardner nel film La contessa scalza, dietro il quale si cela Frédérique Audouin-Rouzeau.

Un’autrice davvero insolita, visto che fra l’altro proviene da un retroterra decisamente diverso. Ricercatrice di archeozoologia al Centro Nazionale francese per le Ricerche Scientifiche (CNRS) e specializzata in medievalistica, per cinque anni ha studiato i meccanismi di trasmissione della peste dagli animali all’uomo.

A dire l’originalità di Fred Vargas, c’è una velocità di scrittura che la pone in secondo piano solo rispetto a Simenon e Scerbanenco. Pare infatti che scriva tutti i suoi romanzi in soli ventuno giorni, per poi operare la revisione del testo nell’arco di tre o quattro mesi con la collaborazione della sorella pittrice Jo nel ruolo di editor.

L’uomo dei cerchi azzurri è il giallo dell’autrice francese nel quale, per la prima volta, fa la sua comparsa l’altrettanto insolita accoppiata di investigatori parigini formata dal commissario Adamsberg e dall’ispettore Danglard, due spiriti diametralmente opposti.

Il primo, come ama definirlo Fred Vargas, è uno “spalatore di nuvole” che basa le sue indagini sull’intuizione e su un certo pensiero laterale, o comunque non convenzionale. L’altro, dalla mente quadrata, è tanto razionale nel dedurre quanto fragile dal punto di vista umano, assillato com’è dai suoi complessi.

I due – antagonisti nello stile della detection - si trovano coinvolti in una serie di omicidi, nei quali l’assassino firma i suoi delitti tracciando con un gessetto azzurro dei cerchi intorno alle vittime.

Fra gli originali personaggi che popolano il romanzo spicca Mathilde, dove è facile scorgere un’identificazione di Vargas. Quello che però rende L’uomo dei cerchi azzurri caratteristico e diverso dal tradizionale giallo d’indagine è la cifra stilistica con cui è scritto. Condotto con una vena ironica e con una particolare maestria nel disegnare immagini inedite attraverso i paragoni, pur senza trascurare l’accuratezza dei dettagli si circonda di un alone di magia, che in alcuni tratti della narrazione sembra quasi assimilarlo alla favola.

Una notazione di merito, poi, va secondo me alla traduzione di Yasmina Melaouah, fondamentale per il successo in Italia della saga di Benjamin Malaussène, nato dalla fantasia di un altro autore francese quale Daniel Pennac.

Mi trascino verso la città, e giuro che trascinarmi è la parola giusta, perché sono tanto spompato che non troverei la forza per fare un fischio.

Mi guarda e si morde le labbra: ha la faccia che sembra un pezzo di argilla maneggiato da un bambino.

Ha gli occhi tondi come due piatti.

Le chiedo se fa conto di andare da qualche parte e lei mi lancia un’occhiata che friggerebbe un uovo.

Il commissario precedente era l’opposto. Sempre blindato nelle sue riflessioni.

Il commissario precedente rimuginava in continuazione. Invece Adamsberg era esposto a tutti i venti come un capanno di legno, il cervello all’aria aperta, insomma, pensò Danglard. È vero, era come se tutto quello che gli entrava dalle orecchie, dagli occhi o dal naso, che fosse fumo, colore, fruscio di carte, facesse una corrente d’aria sui suoi pensieri impedendo loro di prendere corpo. Questo qui, si disse Danglard, è attento a tutto, quindi non presta attenzione a niente.

Danglard era fatto così. Non si faceva problemi a borbottare frasi del genere proprio davanti a coloro che accusava. Adamsberg, consapevole di non saper essere altrettanto diretto, trovava utile che Danglard non avesse timore di ferire gli altri. Timore che a lui spesso faceva dire un sacco di cavolate tranne ciò che pensava.

E per uno sbirro questo dava esiti imprevisti e sulle prime non sempre positivi.

Poi il vecchio Le Nermord si sfregò gli occhi con una manica dell’impermeabile, come un vagabondo, come se abbandonasse tutto il prestigio che aveva impiegato anni a costruire.

Quando ci cammini dentro, il bosco fa rumore.

© Marcello Sgarbi

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