06 febbraio 2024

“LA CASCINA ROSSA” DI SERGIO MELCHIORRE a cura di Vincenzo Capodiferro


LA CASCINA ROSSA” DI SERGIO MELCHIORRE

L’esperienza del dolore, l’emigrazione, il razzismo, la solitudine, l’emarginazione, l’amarezza di coloro che hanno lottato per la libertà.


La Cascina Rossa” è una raccolta di racconti di Sergio Melchiorre, figlio del partigiano Angelo Aronne Melchiorre, un angelo della resistenza abruzzese, ai tempi della Linea Gustav, edito da EDS e dedicata a Salvatore Langiu (1892-1975). Scrive nella prefazione Francesca Marchisella: «Con «La cascina rossa» ultima fatica letteraria di Sergio Melchiorre si conclude, insieme ai suoi due precedenti libri di racconti brevi «Il silenzio di mio padre» e «La sentinella dell'infinito», la trilogia del ricordo, dove il rimembrare il suo passato si incontra e si intreccia con gli emblematici vissuti della sua famiglia e del suo paese di origine». La “cascina rossa” prende spunto da una masseria ove, durante la barbarie fascista, si è rifugiato il “capitano”: «Dall’avvento del fascismo Giacomì aveva subito intuito che la dittatura mussoliniana, basata sulla violenza e sulla prepotenza, avrebbe portato il Paese verso un’altra guerra. Purtroppo, una sera, dopo aver bevuto un bicchiere di troppo nell’unica bettola del paese, ebbe l’infelice idea di divulgare le sue previsioni sul fascismo e sull’ineluttabilità della guerra… Dopo le sue affermazioni pubbliche era stato costretto dall’OVRA e dagli squadristi del fascio ad andare a vivere in una vecchia cascina rossa, sperduta in mezzo a una valle pietrosa». Il Medioevo dagli Illuministi fu definito come periodo di oscurantismo e di barbarie, ma non ci rendiamo conto di quale periodo oscuro e barbarico abbiamo subito noi in Italia ed in Europa nel Novecento! L’Italia è la patria dell’Umanesimo, del Rinascimento, colei che ha effuso i Europa un rinnovellamento luminoso: germoglio di un’epoca nuova, caratterizzata da continue rivoluzioni: geografiche (Colombo), religiose (Lutero); culturali e scientifiche (Copernico); politiche (rivoluzione inglese, americana, francese). Tutto è partito da quel fatidico Quattrocento italico. Ma non dimentichiamo che la nostra Italia ha inventato anche il Fascismo, un morbo che ha infettato l’Europa e il Mondo nel secolo Ventesimo. Questo cancro è ancor lontano dall’essere debellato, perché può risorgere da un momento all’altro ed invadere il mondo con le sue perpetue metastasi.

La serie di racconti di Sergio Melchiorre in fin dei conti ha un filo conduttore: è un romanzo a tasselli, che si intersecano come in un mosaico che si diluisce nella rappresentazione della storia, dalla Resistenza agli anni Settanta, altro momento forte, importante della vicenda umana: l’ultima grande rivoluzione mondiale dopo il 1848, la rivoluzione europea. Ancora ne risuona l’eco: è successo un Quarantotto! Questa vicenda si inerpica per i meandri bui della storia, per le salite aspre della Majella dal 1943, caduta del Fascismo, ed ancor prima, fino, generalmente al 1968 e più. Secondo una leggenda giapponese il filo rosso del destino lega le anime gemelle, come nel mito erotico platonico. Così questo filo rosso lega la vicenda umana di Sergio Melchiorre e soprattutto del padre, Angelo, alla storia del mondo, alle tante anime che hanno combattuto per la libertà e per la democrazia. L’Italia tra il ’43 e il ’45 ha vissuto una forte spaccatura, tra Salò e Salerno. Ancor oggi la nostra patria è divisa su due fronti, “l’un contro l’altro armato”, come i secoli manzoniani. Padre Palmiro Togliatti ha assolto il Fascismo. Ma perché? Diciamoci la verità! In fin dei conti noi non abbiamo neppure avuto un processo farsa, un Norimberga. Il comunismo stesso, il socialismo, è stato ammaliato ed infettato dal Fascismo, si è pervertito in Fascismo, con lo stalinismo. Oggi tutti i regimi socialisti sono fascisti. Quella malattia mortale ha contagiato il socialismo vero, ha contagiato lo stesso Benito Mussolini: un socialista rivoluzionario! Mussolini doveva militare tra le file dei partigiani, non dei Duci! L’ultima tentazione di Cristo: il potere! Caderci è fatale!

Tutta la trama e l’ordito dei racconti di Sergio si tesse ad Amardolce: «Amardolce è quel luogo che nelle intenzioni vorrebbe essere un oú tópos; invece, è il palcoscenico reale nel quale si muovono e recitano la loro parte di guitti della vita personaggi veri o scaturiti dalla fervida immaginazione dell'autore ma sempre verosimili, mai fantasmi, mai iperuranici,» come scrive Aldo Pellicciotta nell’introduzione. Più che altro qui Amardolce si presenta come un dis-topos, anche se in una visione retro-topica baumaniana. Amardolce è lo sfondo, il paese, con la sua piazza socialista, coi suoi personaggi, gli scemi del villaggio, i pastori, i fantasmi del cimitero, i contadini, gli artigiani, i signori, i podestà, tutti e tutto. È il contorno che va a costituire quello che Jung definiva l’inconscio collettivo, ma che noi definiamo l’Ego Sociale. Questo Io Collettivo (la Volonté Générale di Rousseau) precede ogni io individuale, come in fondo diceva Marx: - Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Io ricordo al mio paese, quando negli anni Ottanta vinse la prima volta il Partito Socialista, con il simbolo della spiga, la popolazione in segno di entusiasmo gettava il grano in piazza e nelle vie, e vedevi tutte le galline che andavano a beccare.

Questo romanzo-racconto comincia con il “ratto di Minervina”, un rapimento d’amore, come il ratto delle Sabine e finisce con il “medaglione d’ottone”. Comincia con una “fuitina” alla fontana della Gregna (nome antico del covone). Comincia con un gesto d’amore, tra Angiuline de Garibaldi e Minervina e finisce con un gesto d’amore: quel medaglione d’ottone con l’effigie del padre, che le madri e spose recavano in petto fino alla morte. Angelo apparteneva alla famiglia di Garibaldi. «Dopo la morte di mio padre, avvenuta nel gennaio del 1974, mia madre, a un uomo che voleva sposarla, rispose candidamente: «Ho avuto un solo uomo nella vita, mi è bastato e mi è pure avanzato»». Quale esempio straordinario di fedeltà coniugale, che oggi possiamo solo sognarcelo! «Mio padre Aronne Angelo, ex-partigiano, minatore, genitore premuroso e marito devoto, è morto all’età di sessant’anni il 26 gennaio 1974 all’ospedale di Casoli, in provincia di Chieti».

La Resistenza cos’è? La Resistenza è fatta di uomini e donne, di mani e di piedi, di croci, di altari, di tombe. Le idee hanno mani e piedi – diceva Gramsci. Grazie a questi eroi noi siamo salvi dalla schiavitù. Oggi l’Europa sarebbe stata tutta fascista! Come è stata l’America Latina per tanto, tanto tempo! Laddove i nazifascisti si sono trapiantati, portandosi dietro l’inesorabile morbo. Urlano i Desaparecidos con silenzio assordante, come il “silenzio di mio padre” di Sergio Melchiorre. Euripide: -Urli chi ha voce più forte del silenzio! E conclude Sergio: «Confesso, sono sempre stato affascinato dal passato. Questa mia passione innata per tutti i vissuti trascorsi è motivata dal fatto che essi sono realmente accaduti e non possono essere più modificati». La storia è come Cassandra: dice la verità ma nessuno le crede. Pasolini diceva che è una maestra bastarda. Historia magistra vitae. Io credo, come Aldo Pellicciotta, che: «Sergio Melchiorre con questa opera, preceduta da «Il silenzio di mio padre» e da «La sentinella dell'infinito» realizza un trittico che non dovrebbe mancare in alcuna biblioteca moderna».

Vincenzo Capodiferro

1 commento:

  1. Vorrei esprimere la mia più sincera gratitudine allo scrittore e filosofo Vincenzo Capodiferro per il prezioso contributo letterario che ha scritto sul mio ultimo libro che sta per vedere la luce. Lo ringrazio infinitamente, per come ha saputo cogliere e interpretare le parti salienti dei miei racconti, scritti soprattutto per omaggiare il ricordo della mia famiglia e di coloro che hanno combattuto durante la Resistenza per liberarci dal giogo fascista e per fare vivere le nuove generazioni in una società più giusta, libera e democratica.

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