29 gennaio 2024

L'esperienza fallimentare di un traduttore freelance improvvisato. A cura di Marco Salvario


L'esperienza fallimentare di un traduttore freelance improvvisato.

A cura di Marco Salvario



Da cinque anni, non essendo più attivo nel mondo lavorativo e non avendo ancora raggiunto i requisiti per ottenere una pensione, trovandomi quindi privo di introiti regolari, cerco su internet qualche opportunità che mi permetta una piccola rendita saltuaria e mi sia utile per non impigrirmi mentalmente.

Ho pubblicato qualche raccolta di racconti e sette romanzi, le cui vendite non mi pagano neppure i gelati estivi, e mi offro senza nessuna fortuna per traduzioni dal francese e dall'inglese in italiano. Non sono un traduttore professionista, però, avendo dovuto barcamenarmi con documenti in altre lingue per tutta la vita, possiedo una sufficiente competenza. La mia pronuncia è barbara, sono sgrammaticato scrivendo, ma se si tratta di tradurre in italiano, modestamente non ho problemi. Ovviamente la qualità dipende dalla tipologia di testo che mi trovo davanti: diverso è tradurre un libro del 1700, un manuale tecnico o un articolo di giornale.

Alcune settimane fa, in un forum che più che un forum è una chat lenta, trovo una società che ricerca un traduttore dall'inglese in italiano; offrono 1500 dollari per convertire 100 pagine in sei giorni. Spiegano che la cifra è così alta perché il tempo è poco. In realtà 15 dollari per cartella non sembrano un'offerta particolarmente generosa, e questo mi fa pensare che si accontentino di una traduzione non troppo accurata. Sono tentato di rispondere, danno un contatto Telegram, ma qualcuno ha commentato “Attenti, è un profilo fake! Questi chiedono soldi.”

Fanno tradurre e chiedono soldi? Come può essere?

Esito, cerco il nome della società su internet e non trovo nulla. Soprassiedo.

Dopo due giorni i tentatori ci sono ancora e sembrano davvero disperati: 2500 dollari per tradurre 100 pagine in quattro giorni. Devo dire che la cifra mi fa gola. Nei commenti si giudica che il tempo è troppo poco. Concordo, però sta piovendo e io non ho altro da fare nella settimana.

Chiedo informazioni sul contatto Telegram e mi rispondono immediatamente che hanno necessità di un madrelingua italiano per tradurre subito cento pagine. Cerco di capire qualcosa di più, almeno la tipologia del testo, e loro mi mandano in risposta sei pagine in inglese da firmare per un accordo tra loro e il freelance Marco Salvario. Mi piace essere un freelance!

Leggo il contratto con la massima attenzione; tutto è innocente e generico, non ci sono penali, solo la richiesta della massima riservatezza sui dati che dovrò elaborare e il divieto a riutilizzarli. Non si parla di un testo specifico, solo di un accordo di collaborazione saltuario, senza date e senza tariffe. Sono perplesso perché usano il termine riscrittura, retyping, non traduzione. Lo segnalo e mi dicono di non preoccuparmi.

Metto le mani avanti precisando che, non conoscendo il tipo di testo, mi riservo di rinunciare se la traduzione fosse superiore alle mie capacità. Rispondono che ce la farò di sicuro. Se lo dicono loro ...

Correggo il testo dell'accordo di collaborazione dove si parla di retyping, appongo una firma improbabile, lo scannerizzo e lo rimando indietro.

Mi arriva il testo da tradurre. Sono le pagine dalla 100 alla 200 di un tomo di cui non mi è fatto conoscere né il titolo né l'autore, che tratta il rapporto tra architettura e politica nella storia. Secondo me è già una traduzione e neanche tanto precisa, ma questa è una buona cosa per me, perché è un inglese dal vocabolario molto limitato.

Il brutto è che le pagine sono piene, senza figure e spazi bianchi; non cartelle, paginone. Quasi 44.000 parole totali, mentre me ne aspettavo meno di 20.000, e il testo cita centinaia di nomi di archeologi francesi, svedesi, russi, tedeschi, con tutto il campionario possibile di caratteri.

Altra ciliegina, il testo è in formato PDF.

Non perdo tempo, faccio una prova di test e per tradurre la prima pagina ci metto un ora. No, così non si può procedere. Cambio strategia: converto il file PDF in un documento editabile e lo traduco in automatico con un software. Il risultato non è una meraviglia, ma adesso procedo con i due testi affiancati, l'originale in inglese e la traduzione in italiano, e non devo riscrivere i nomi e i testi citati.

Animo! Produco una media di quattro pagine l'ora e a volte riesco a essere più veloce. C'è qualche punto su cui mi blocco, ma alla fine trovo la soluzione e mi sembra di fare un lavoro onesto. Dedico a tradurre dieci ore ogni giorno, prendendomi le pause che mi servono. Il lavoro è diventato una sfida contro me stesso e la sto vincendo.

Al terzo giorno ho finito e comincio la rilettura finale. Un messaggio di Telegram mi chiede come procedo e io faccio rapporto. Sembrano felici, amichevoli, stranamente non preoccupati.

La rilettura richiede sei ore e alla fine consegno il documento nei quattro giorni previsti. Sono soddisfatto, però inquieto e quasi mi aspetto che mi dicano che il lavoro è fatto male, che ho violato in contratto e che non mi pagano.

Invece no, dieci minuti e mi cinguettano che ho svolto un lavoro meraviglioso, altamente professionale, che risponde perfettamente alle loro esigenze. Hanno verificato cento pagine in dieci minuti? Troppi complimenti, davvero eccessivi. Il mio pensiero è che quei complimenti saranno tutta la mia ricompensa.

Invece mi passano il contatto Telegram di un commerciale a cui rivolgermi per il pagamento. Vogliono pagarmi davvero? Evviva!

Il commerciale sa già tutto, mi ripete gli stessi complimenti che ho già ricevuto e, stranamente, usa le stesse parole che mi sono state dette in precedenza. Chissà, forse è normale che lavorando insieme abbiano gli stessi intercalari, però il sospetto che mi viene, è quello di continuare a parlare alla medesima persona.

Intanto parliamo del vile denaro. Domando se faranno un bonifico alla mia banca e qui sembra non ci capiamo o, almeno, non capisco io. Alla fine, quasi facendosi strappare le parole di bocca, il commerciale mi rende edotto che utilizzano una banca on-line. Loro mettono i soldi lì e io li sposterò dove voglio.

Una vocina mi ripete di stare attento, specialmente quando mi spiegano che devo registrarmi presso la banca. La cerco su internet e questa banca sembra non esistere come non esistono i miei committenti. Esito, tentenno, faccio altre ricerche.

Il commerciale intanto per due volte s'informa impaziente se mi sono registrato. Calma, che furia! Quando si tratta di soldi, prima riflettere dieci volte e dopo riflettere ancora.

Cautamente comincio la registrazione alla banca on-line. Richiede un'e-mail e devo crearmi una password. Tutto lì? Sì. Entro nel sito. Account di Marco Salvario creato con capitale di 0,00 euro.

Lo comunico al commerciale e, visione meravigliosa, il conto diventa 2.500,20 euro. Euro? Ma non si era parlato di dollari? Troppa grazia! E i 20 centesimi?

Il commerciale si informa se il pagamento è arrivato e se l'ho già ritirato. Mi consiglia di ritirare subito tutto e sono d'accordo.

Confesso che l'adrenalina mi sale a mille e, se prima ero pessimista, adesso ci spero.

Il sito della banca è semplice. Seleziono la voce per prelevare e ci sono diverse possibilità: Bank Transfer, Google Pay, PayPal, Crypto Transfer e altre. Scelgo la prima soluzione, comunico IBAN, nome e indirizzo della mia banca, richiedo un prelievo di 2.500 euro, confermo e …

Si apre una finestra che mi domanda l'Input Bank Key di sei caratteri. Diavolo, che cos'è questo? Asciugo la saliva, che già mi colava dalla bocca.

Mi collego al sito della mia banca, cerco ovunque un Bank Key e non trovo nulla di utile.

La banca on-line ha una chat per l'assistenza. Scrivo lì i miei dubbi, in italiano e in inglese, ma non ottengo risposta. Un messaggio mi informa che nessun operatore si collega da 14 ore e che, se voglio, nell'attesa posso lanciare un giochino per rilassarmi.

Scrivo al commerciale su Telegram, ma non risponde. Sono ormai le dieci di sera e sembra siano andati tutti a casa. Questo mi fa concludere, almeno, che sono in Europa e non in America.

Chiamo l'assistenza telefonica della mia banca, che è attiva fino a mezzanotte. L'operatrice non sa rispondermi, va a consultare un collega e, quando torna, mi consiglia di richiamare l'indomani, così ci sarà un funzionario di secondo livello a rispondermi.

Provo a usare PayPal dalla banca on-line, ma anche lì chiede il Bank Key e questa è una coltellata.

Vado a dormire scoraggiato.

L'indomani la chat della banca on-line mi risponde. Strano, anche loro scrivono con gli stessi intercalari dei miei amici su Telegram. Mi spiegano, che essendo il mio primo prelievo, il Bank Code lo devo comprare. E chi lo vende, di grazia? Lo vende chi mi ha versato il denaro e mi inviano da contattare l'indirizzo Telegram dell'ormai noto commerciale. Come accidenti si conoscono? Sono tutti una famiglia, se non la stessa persona? Corro da Erode a Pilato.

Il commerciale sembra annoiato; sì, ovvio, il codice lo vende lui. Perché non me l'ha detto subito? Perché io non gliel'ho chiesto. Sacripante! Quanto costa il Bank Key? 150 euro.

Ecco, siamo arrivati. Butto la spugna; rispondo che io non pago per avere denaro e che, per quanto mi riguarda, il nostro rapporto finisce qui. Commenta asciutto che farà sapere ai colleghi.

Tre ore dopo mi riscrive il primo contatto Telegram per chiedermi se ho ritirato i 2.500 euro. Gli rispondo di no e che lui lo sa. Si scusa dicendomi che quella è la procedura e di non preoccuparmi, perché i 150 euro mi saranno restituiti subito dopo il pagamento. Ripeto che non pago per avere denaro e che spero che la mia traduzione gli sia utile. Chissà, forse sì?

Due giorni dopo mi scrivono che possono pagarmi usando un sistema di cripto valute per trasferirmi i soldi senza costi. Per un secondo sono tentato, ma rispondo di no. Non mi fido.

Intanto sulla banca on-line il capitale è salito a 2.500,80 euro, poi il link alla banca scompare.

In fondo, è stato divertente. Molto in fondo.



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