20 luglio 2023

PACE FISCALE E CACCIA AI VOTI di Antonio Laurenzano


PACE FISCALE E CACCIA AI VOTI

di Antonio Laurenzano

Ci risiamo. Un mini condono, una “pace fiscale” per contribuenti con debiti fino a 30mila euro, che preveda il pagamento solo di una parte del dovuto. E’ la proposta formulata dal vicepremier Salvini, arrivata mentre il Parlamento è impegnato nell’approvazione della Legge delega di Riforma fiscale. Del tutto inattesa e inopportuna perché mette a serio rischio il successo finale della “rottamazione quater”: quasi quattro milioni di richieste di adesione arrivate all’Agenzia delle Entrate per la cancellazione di sanzioni e interessi (circa 20 miliardi di euro), per un gettito previsto di oltre 15 miliardi di euro. Resta da vedere, però, chi pagherà le rate della definizione agevolata di cui le prime due pari al 10% dell’importo liquidato scadono a ottobre e novembre. L’annuncio di un condono che, oltre all’abbuono di sanzioni e interessi, azzera anche una parte rilevante delle imposte condiziona ogni più ottimistica previsione legata alla rottamazione delle cartelle.

Sono circa quindici milioni gli italiani con un debito fiscale fino a 30mila euro. Una grande massa, circa il 97% dei contribuenti che hanno pendenze con l’erario, anche se la maggior parte dell’evasione accertata viene da quel 3% con i debiti più elevati. Più di 7 milioni sono gli italiani che ogni anno, e da anni, ricevono almeno una cartella esattoriale per debiti pregressi non pagati. Ed è mostruoso il debito erariale accumulato nel tempo: alla fine dell’anno scorso ammontava a ben 1.153 miliardi di euro. Il 90% di questa somma viene considerata di recupero difficile, se non impossibile dalla stessa Agenzia delle Entrate Riscossione. Si tratta di debiti che fanno capo a società e ditte individuali fallite, contribuenti nullatenenti, debitori irreperibili o deceduti. Alla fine, solo il 10%, circa 114 miliardi di euro.

Il tormentone in pieno luglio sulla pace fiscale ha scatenato ovviamente reazioni diverse nei palazzi romani della politica. Se per Matteo Salvini “l’obiettivo è liberare milioni di italiani in ostaggio del Fisco mostrando un volto dello Stato diverso da quello aggressivo e punitivo”, per il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, “il contrasto all’evasione non è volontà di perseguitare qualcuno, è un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che le tasse anno dopo anno le pagano”. Sulla stessa lunghezza d’onda il viceministro dell’Economia Maurizio Leo: “le tasse vanno pagate”. Sul fronte della opposizione politica, molteplici sono le voci contrarie alla tregua fiscale proposta dal leader leghista. Qualcuno parla di “caccia ai voti” in vista delle elezioni europee di primavera. Il problema di fondo legato ai condoni, come più volte ha avvertito la Corte dei Conti, è “il minore introito di risorse finanziarie nelle casse dello Stato con il conseguente aumento dell’evasione stimolata dalle continue misure agevolative”. Un sistema perverso che si autoalimenta: più i contribuenti sono consapevoli di una sostanziale impunità, più si allarga la platea degli evasori, più il sistema dei condoni priva di risorse indispensabili e costringe a tagli di spese e servizi Stato, Regioni, Province e Comuni. Un costo insostenibile per l’intera comunità.

E’ chiaro che sulla riscossione il sistema è andato in tilt, lo Stato ha permesso l’accumulo di milioni e milioni di cartelle per lunghi anni senza successo. La via d’uscita? La pax fiscale. L’inefficienza dello Stato al servizio dei furbetti. Vecchia storia in un Paese che ha praticato una lunga serie di condoni, concordati, scudi, rottamazioni, voluntary disclosure. Nulla di nuovo sotto il cielo del Belpaese, un copione più volte recitato. Una creatività normativa altrove sconosciuta. Se le discriminazioni sociali sono sempre detestabili, ancora di più lo è quella che divide i cittadini fra chi paga le tasse e chi le tasse le evade, o non le paga. Non è solo un problema di giustizia sociale e di rispetto delle regole democratiche. Al di là delle bandierine di partito sventolate al vento per catturare facili consensi elettorali con il supporto di prediche pelose, il deficit pubblico non sparisce se si prendono comode scorciatoie per sottrarsi a un preciso dovere civico richiesto per contribuire a finanziare l’istruzione, la sicurezza, la sanità, il welfare e tanto altro. E questa incapacità dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di incassare i propri crediti, nei tempi e nei termini giusti, è stata più volte oggetto di rilievi da parte del Fondo monetario e dell’Ocse.

Il fisco italiano è una giungla inestricabile in cui è difficile avventurarsi, irta di norme a volte contraddittorie, di difficile applicazione, nell’ambito di una frantumazione della legislazione tributaria e di una ipertrofia legislativa. Il nostro Paese ha il non invidiabile record della onerosità degli adempimenti fiscali con un basso rapporto costo-beneficio in termini di lotta all’evasione. L’assenza di una pur minima visione strategica e della reale capacità di governare la complessa macchina fiscale genera grande confusione sul piano operativo. Il contrasto all’evasione va condotto con una normativa chiara, estremamente semplice. Più complicato è un sistema fiscale, più facile sarà nascondere reddito nelle sue pieghe oscure e sottrarsi a ogni pagamento.

Da tempo si parla di semplificazione, di taglio netto di balzelli e inutili adempimenti per puntare su un’equa distribuzione del carico impositivo attraverso adempimenti semplici, con meno burocrazia e più qualità. Dalla Riforma fiscale si attende un salto di qualità che superi populismi e strategie elettoralistiche e privilegi nell’azione di governo l’autentico senso dello Stato.



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Immagini immaginarie al MIIT di Torino