04 luglio 2023

MES, UNA STORIA INFINITA di Antonio Laurenzano


MES, UNA STORIA INFINITA

di Antonio Laurenzano

La telenovela continua. Presentata dalla maggioranza parlamentare la sospensiva di quattro mesi per l’esame del disegno di legge di ratifica del Mes, per “maggiori approfondimenti”. “Tanto rumore per nulla”, a distanza di oltre quattro secoli rivive in Parlamento la brillante commedia di William Shakespeare. Una vicenda tragicomica come quella del travagliato iter di approvazione da parte dell’Italia della riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Certo, il Mes rievoca i fantasmi del passato, quelli della Grecia e della Troika, e getta ombre sul presente legate alla ristrutturazione del debito per i Paesi con finanza pubblica in sofferenza. Se l’Italia, unico Paese a non averlo ancora fatto, non ratifica il nuovo Trattato del Mes la riforma non potrà entrare in vigore il primo gennaio 2024. Rischiano di azzerarsi i suoi punti principali: l’attribuzione al Mes della funzione di garanzia nelle crisi bancarie, una sorta di paracadute finale (“backstop”) del fondo salva-banche Srf, e soprattutto la cancellazione delle “linee di credito precauzionali” per accedere alle risorse finanziarie del Mes, meno rigide e vessatorie rispetto alle contestatissime “condizionalità rafforzate”, del passato. Restano sul tappeto le forti criticità del meccanismo: la semplificazione delle “clausole di azione collettiva” da parte dei creditori di uno Stato per chiederne la ristrutturazione ordinata del debito, nonché il carattere intergovernativo del Mes, un organismo autonomo che non risponde al Parlamento europeo, fuori dalle istituzioni comunitarie. Un fondo privatistico, privo di controlli, esposto ai veti dei Parlamenti nazionali.

Il Mes, una storia infinita. Una diatriba fra Italia e Bruxelles che da anni anima il dibattito politico e le interlocuzioni comunitarie. E’ stato il primo governo Conte (M5S e Lega) a respingere inizialmente l’approvazione. Il Conte II (M5S e PD), nel giugno 2019, raggiunse un accordo politico preliminare sulle proposte di modifica al Trattato che, grazie anche alla generosità del Recovery fund, si concretizzò nel voto a favore nell’Eurogruppo del gennaio 2021. Con Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi la strada per la ratifica parlamentare sembrava ormai in discesa, ma nella sua variegata compagine governativa non fu mai trovata una comune linea d’azione. E così la patata bollente della ratifica del Mes è finita nelle mani del nuovo inquilino di Palazzo Chigi: Giorgia Meloni. Alla vigilia del Consiglio europeo, la premier ha ribadito in Parlamento la linea politica del suo Governo: ”L’interesse dell’Italia è affrontare il negoziato sulla governance europea, prima ancora di una questione di merito, c’è una questione di metodo.” Chiaro il riferimento ai dossier aperti a livello comunitario: il Patto di stabilità, l’Unione bancaria, il Pnrr, l’escalation dei tassi d’interesse. In particolare, per il nuovo Patto di stabilità e i relativi parametri deficit-debito/Pil ci sono forti contrasti sulle future regole europee di bilancio per la riduzione del debito rapportata al taglio della spesa pubblica. Un tema delicato per la nostra finanza pubblica legato al capitolo dello spread: per rispondere alle spinte inflazionistiche, la BCE ha intrapreso un percorso di rialzo dei tassi d’interesse che sta mettendo sotto pressione il debito pubblico italiano, con ricadute sulla nostra economia.

Ecco perché intorno alla riforma dell’ex fondo salva Stati, al quale l’Italia ha contribuito con un capitale sottoscritto di 125 mld di euro, c’è un reticolo complicato di questioni aperte. La premier Meloni vorrebbe usare il Mes come “strumento negoziale” per ottenere passi avanti sul Patto di stabilità (esclusione dai vincoli di bilancio delle spese per investimenti relativi a Pnrr, transizione energetica e digitale). L’Italia richiede maggiore flessibilità per trasformare il Mes da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e bancarie a un volano per gli investimenti e il sostegno contro le recessioni economiche. Un’impresa non facile fare accettare ai partner europei (Germania e Olanda) il tentativo di scambio (“spericolato”, secondo alcuni osservatori) tra la ratifica del Mes e l’alleggerimento delle future regole comunitarie di bilancio del Patto di stabilità e crescita, riducendo dimensioni e tempi di rientro del debito pubblico.

Il nodo politico da sciogliere è piegarsi alla regola della solidarietà europea (mutualizzazione del rischio) o isolarsi in una forma di (insostenibile) autarchia, tanto più rischiosa con il debito pubblico italiano esposto ai “capricci” del mercato. Uno scenario non certamente semplice. Di fatto, qualora l’Italia a novembre dovesse ratificare il Mes si ritroverebbe ad accettare le modifiche proposte in sede europea e dovrebbe sottostarvi qualora avesse necessità di usufruire di tale strumento, con l’alea della ristrutturazione come condizione obbligatoria in caso di debito ritenuto non sostenibile, con conseguente drastica impennata dei tassi dei titoli di Stato. Ma bloccare una riforma europea da soli è uno scenario che l’Italia non può permettersi se vuole avere spazi di bilancio. Il danno reputazionale, in termini di credibilità, rischia di indebolire la posizione italiana su altri tavoli del negoziato sulla riforma della governance economica europea, Pnrr compreso. Uscire presto dall’ambiguità e da un imbarazzante temporeggiamento ritrovando risposte adeguate per rafforzare la coesione europea e l’immagine di affidabilità del nostro Paese. Difficile, se non impossibile, emendare il Trattato di riforma del Mes, ma auspicabile per novembre la presentazione a Bruxelles di un progetto italiano per il rilancio dell’integrazione politico-economica dell’Unione europea, delle sue istituzioni, dei suoi meccanismi decisionali, dei suoi assetti funzionali. E’ questa la vera sfida dell’Ue del futuro.


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