13 giugno 2023

MES, RATIFICA STUPIDA O NECESSARIA? di Antonio Laurenzano


MES, RATIFICA STUPIDA O NECESSARIA?

di Antonio Laurenzano

“Ratifica stupida senza sapere cosa prevede il nuovo Patto di stabilità e crescita”. Giorgia Meloni, dal profondo Sud, ospite di Bruno Vespa a Manduria, al “Forum in masseria”, ha lanciato un messaggio chiaro a Bruxelles sul futuro del Mes, alzando ancor più l’asticella della tensione politica in vista di una ratifica che sembra ancora lontana. “Non ha senso, secondo la premier, ratificare la riforma in assenza di un quadro chiaro di ordinamento regolatorio europeo in materia di governance”. Alla base del messaggio, in particolare, c’è la riforma del Patto di stabilità con una richiesta ben precisa: scomputare gli investimenti legati a Pnrr, transizione energetica e digitale dal calcolo del rapporto debito-Pil, il macigno che pesa da sempre sulla nostra finanza pubblica. Il Mes rischierebbe di tenere bloccate delle risorse in un momento di crescente fabbisogno finanziario, in primis per il problema dei salari e il relativo taglio del cuneo fiscale. L’ex “fondo salva Stati”, al quale l’Italia ha contribuito con 14 mld di capitale versato e 125 mld di capitale sottoscritto (terzo maggiore socio dopo Germania e Francia), viene messo come elemento di negoziazione in vista del restyling della governance europea.

Il Meccanismo europeo di stabilità finanziaria (Mes) è la “cassaforte” dell’Eurozona, istituito nel 2012 per dare sostegno ai Paesi in caso di crisi finanziaria e di rischio default attraverso prestiti economici, acquisti di titoli di Stato, interventi per la ricapitalizzazione di banche in crisi. Hanno finora beneficiato del programma di aiuti Grecia, Spagna, Cipro, Portogallo e Irlanda. Con sede in Lussemburgo, il Mes è gestito dal Consiglio dei Governatori costituito dai ministri dell’economia dell’Eurozona e da un Consiglio di Amministrazione.

Dal 2017 si parla di riforma del Mes per rafforzare la coesione dell’Eurozona nell’affrontare le crisi e a tutelarne la stabilità finanziaria. La riforma ridisegna gli aiuti tradizionali del Mes con l’obiettivo di prevenire le crisi invece che intervenire drasticamente una volta scoppiate, con i programmi di salvataggio che sono costati la cattiva fama al Mes. L’intento della riforma è rafforzare l’uso degli strumenti a disposizione del Mes prima del ripescaggio di un Paese, cioè le linee di credito precauzionali, utilizzabili nel caso in cui un Paese venga colpito da uno shock economico e voglia evitare di finire sotto stress sui mercati. La riforma elimina il contestatissimo “memorandum” (le cosiddette “condizionalità”), quello passato alla storia per aver imposto alla Grecia condizioni rigidissime, sostituendolo con una lettera d’intenti che assicura il rispetto delle regole del Patto di stabilità. La ristrutturazione del debito pubblico interviene soltanto in condizioni estreme (“condizionalità rafforzate”), quando il Paese è sul baratro del fallimento, mentre non è una precondizione per aderire agli aiuti del Mes quando il Paese non ha perso ancora l’accesso ai mercati finanziari. Le proposte di modifica al Trattato, dopo un “accordo politico preliminare” nel giugno 2019, sono state approvate dall’Eurogruppo nel gennaio 2021.

La riforma intende inoltre attribuire al Mes una funzione di garanzia, un paracadute finanziario (“backstop”) al fondo salva-banche Srf, il fondo unico di risoluzione bancaria alimentato dalle banche stesse, qualora, in casi estremi, dovessero finire le risorse a disposizione per completare il recupero delle banche in difficoltà. Una misura per rendere il settore bancario più resistente alle crisi contro gli attacchi della speculazione, in grado di sostenere l’economia reale. Il Mes è uno dei tasselli mancanti dell’Unione bancaria. Rappresenta un momento importante nel processo d’integrazione economica e finanziaria dell’Eurozona. Una rete da usare sia in caso di crisi dei debiti sovrani, sia in caso di crisi del sistema bancario europeo, nell’ottica della “mutualizzazione” del rischio e di una maggiore trasparenza dell’ordinamento monetario.

Ma perché l’Italia, unico Paese dell’Eurozona, pur avendo firmato l’intesa, non ha ancora ratificato la riforma del Mes? Sono in discussione le forti criticità del meccanismo: la semplificazione delle “clausole di azione collettiva” da parte dei creditori di uno Stato per chiederne la ristrutturazione del debito, nonché il carattere intergovernativo del Mes che non risponde al Parlamento europeo, fuori quindi dalle istituzioni comunitarie. Con l’allargamento delle competenze, la riforma sposta il potere economico dell’Eurozona dalla Commissione al Mes. Nel merito, l’Italia richiede maggiore flessibilità sul nuovo Patto di stabilità per trasformare il Mes da strumento per la protezione dalle crisi del debito sovrano e bancarie a un volano per gli investimenti e il sostegno contro le recessioni economiche.

Il “giorno della verità”, sollecitato da un continuo pressing internazionale, è fissato per il 30 giugno: in calendario a Montecitorio il voto sulla ratifica. Dopo anni di stallo, con governi diversi a Palazzo Chigi, finalmente il dibatto su un tema di grande rilevanza comunitaria, perché senza l’ok italiano la riforma resterà nel libro dei sogni per tutti i Paesi dell’Eurogruppo, non entrerà mai in vigore. E’ auspicabile che l’Aula della Camera affronti questo tema in modo pragmatico e non in modo ideologico per trovare alla fine il giusto compromesso con Bruxelles e assicurare la credibilità dell’Italia in un ritrovato clima di generale fiducia, rafforzandone il ruolo nel complicato percorso sul nuovo Patto di stabilità. Un voto importante che richiede assunzione di responsabilità per realizzare un sostenibile sviluppo socio-economico del Paese.


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