03 maggio 2023

ADDIO AL “ PATTO DI STUPIDITA’ ” di Antonio Laurenzano


ADDIO AL “ PATTO DI STUPIDITA’ ”

di Antonio Laurenzano

Addio al “Patto di stupidità”. A distanza di oltre vent’anni da quando nel 2002 Romano Prodi, allora Presidente della Commissione europea, definì “stupido” il Patto di stabilità varato nel 1997, Bruxelles propone una riforma delle regole di bilancio dell’Ue. Di fronte a sfide e priorità economiche diverse rispetto al passato, regole più credibili e più efficaci, associando al necessario risanamento delle finanze pubbliche un altrettanto necessario sostegno agli investimenti. Un mix di flessibilità e rigore per poter puntare su una crescita economica fondata sulla stabilità finanziaria.

Obiettivo del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), secondo i principi fissati con il Trattato di Maastricht del 1992, era quello di garantire la disciplina di bilancio degli Stati dell’Ue per evitare disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi e contribuire così alla stabilità monetaria. Il Patto divenne …di ferro nel 2012 con la firma del “Fiscal compact”, che prevede il pareggio di bilancio di ciascuno Stato, con l’obbligo per i Paesi con debito superiore al 60% del Pil di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno per non mettere a rischio la tenuta monetaria dell’Ue. Nel marzo 2020 la Commissione Von der Leyen, per limitare l’impatto socio-economico della pandemia, aveva attivato la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, autorizzando i singoli Paesi membri a elargire contributi senza il rischio di sanzioni in caso di sforamento del deficit e del debito pubblico. Maggiore flessibilità della finanza pubblica fino al 2023 per sostenere l’economia durante la crisi. Espansività della spesa secondo i canoni Keynesiani.

Per scongiurare nel 2024 il rischio autolesionistico di un ritorno al passato con le ferree misure dell’ortodossia rigorista, e quindi con un Patto realisticamente inapplicabile, la proposta di riforma della Commissione europea prevede una riduzione concordata del debito per i Paesi più indebitati e la possibilità di percorsi di recupero più graduali in caso di riforme. La riforma del Patto punta ad attribuire una forte titolarità nazionale nell’impegno alla riduzione del debito pubblico. Ogni Stato membro sarà chiamato a preparare piani di aggiustamento credibili e conformi a un nuovo quadro comune europeo basati sulla spesa pubblica netta, nei quali dovranno definirsi gli obiettivi di bilancio, le misure per affrontare gli squilibri macroeconomici, le riforme e gli investimenti prioritari. Questi Piani, da negoziare con la Commissione Ue, della durata di quattro anni estendibile a sette anni, dovranno garantire un aggiustamento annuo di bilancio dello 0,5% del Pil, fino a che il deficit non andrà sotto il 3%, oltre ad assicurare un percorso in discesa del debito in modo stabile per almeno dieci anni. Niente regimi di favore per investimenti, inclusi quelli tipici del Pnrr su digitali e green deal, come aveva invece richiesto il Ministro dell’Economia Giorgetti. Le nuove norme mirano a ridurre gli elevati indici di debito pubblico in modo realistico, graduale e sostenuto. “La riforma, ha dichiarato il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, intende semplificare la governance economica, sviluppare la responsabilità nazionale, mettendo maggiore enfasi sul medio termine e rafforzando l’applicazione delle norme, all’interno di un quadro comune trasparente.”

Attraverso nuove regole, adattabili alle esigenze dei singoli Paesi, si vuole quindi evitare che la riduzione forzata del debito, priva di flessibilità, porti a una contrazione degli investimenti e della crescita. Progetto ambizioso nel solco della rivoluzione del Nex Generation Eu, il mega fondo comunitario per modernizzare e rendere più competitiva l’economia europea finanziato per la prima volta con l’emissione di debito comune. L’approvazione entro la fine dell’anno (il dibattito entrerà nel vivo nell’Eurogruppo e nell’Ecofin di giugno) non sarà semplice, sarà un negoziato in salita: le proposte della Commissione non soddisfano i falchi del Nord che “non accettano misure al ribasso che indeboliscano il Patto di stabilità”, a favore delle cicale del Sud.

Cosa cambia per l’Italia? In base alle nuove regole del Patto proposte a Bruxelles, secondo una proiezione elaborata dai tecnici della Commissione Ue, l’Italia dovrebbe ridurre il debito di 14-15 miliardi di euro all’anno (pari allo 0,85% del Pil). Questo nel caso il nostro Paese concordasse un piano di bilancio con impegni di riduzione dell’indebitamento (oggi pari a circa il 145% del Pil) in 4 anni. L’aggiustamento scenderebbe allo 0,45% del Pil (8 miliardi di euro all’anno) se spalmato in 7 anni. Per l’Italia significherà dover trovare non meno di 8 miliardi di euro, che evidentemente verranno depennati dai finanziamenti per ora destinati alle riforme del governo Meloni (riforma fiscale, pensioni, denatalità, ecc.). Quali sono i progetti di riforma che rischiano di restare nel libro delle promesse? Presto per dirlo.

In attesa, resta l’interrogativo di fondo. Sapranno falchi e cicale mettere da parte contrasti e pregiudizi per imboccare finalmente la strada della reale integrazione economica e politica dell’Europa? E’ auspicabile un consenso generale sulla riforma del Patto di stabilità in grado di rafforzare la politica di bilancio e legittimare, attraverso una politica fiscale comune, la governance economica dell’Ue, il suo ruolo nell’economia globale per uno sviluppo sostenibile. L’Unione europea è chiamata a scelte coraggiose e innovative per un’Europa del futuro più coesa e più unita.

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