19 aprile 2023

OPERAZIONE VERITA’ PER IL PNRR di Antonio Laurenzano


OPERAZIONE VERITA’
 PER IL PNRR

di Antonio Laurenzano

Conto alla rovescia per l’ “Operazione verità”. Italia sotto esame per la terza tranche di 19 miliardi dei fondi del Pnrr, il pilastro del programma europeo Next Generation Eu, varato nel 2020 per un’Europa più unita e solidale. Entro la fine di aprile Palazzo Chigi dovrà inviare a Bruxelles la proposta di revisione degli investimenti in termini realizzativi. Pochi giorni per il Governo per fare un check up e decidere quali progetti vanno modificati o addirittura eliminati dal Piano di ripresa e resilienza. La trattativa con la Commissione europea riguarda la rimodulazione di alcune parti del Piano sollecitata dal Ministro Raffaele Fitto, dovuta al lievitare dei costi delle materie prime e alla consapevolezza che alcuni capitoli di spesa possono entrare in una fase critica e non essere attuati entro la scadenza, prevista a giugno del 2026. “La priorità è non perdere i fondi, ma c’è bisogno di realismo, ha osservato il Ministro, bisogna prendere atto di quello che è possibile fare e di quello che non si può fare”. Spostare cioè gli investimenti in ritardo su altri percorsi, non in scadenza nel 2026, per evitare il rischio di perdere le prossime sette rate di finanziamento europeo.

Sono in gioco i 209 miliardi, tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti ultra agevolati, concessi all’Italia dall’Ue dopo la tragedia della pandemia: un’occasione irripetibile per il rilancio di un Paese fermo da tempo, una straordinaria opportunità per affrontare i problemi strutturali attraverso riforme profonde e investimenti pubblici a sostegno della domanda aggregata. Il nodo da sciogliere è quello di sempre: burocrazia, deficit di infrastrutture, carenza di personale adeguato. Rilevante la distanza tra la capacità di spesa chiesta dal Pnrr e quella permessa dalla obsoleta struttura della pubblica amministrazione. L’abbondanza di risorse destinate al piano di ripresa si scontra con la povertà (cronica) di capacità realizzative dello Stato. Le disfunzioni del nostro apparato politico-amministrativo sono profondamente radicate e costituiscono un serio ostacolo per l’utilizzo dei fondi comunitari. Si rischia di azzerare un’opportunità storica, una sorta di “Piano Marshall bis”. Sprecarla sarebbe un clamoroso autogol economico-sociale, oltre che un duro colpo all’immagine del sistema Italia. Accelerare dunque ogni procedura, perché, ha commentato l’economista Francesco Giavazzi, “spostare in là delle scadenze del Pnrr è da evitare, non è nel nostro interesse”. La crescita del 2023 sarà infatti determinata in gran parte dagli investimenti del Pnrr che genereranno un impulso alla domanda pari a 2-3 punti di Pil in un solo anno, portando la crescita al 3%.

Il punto di non ritorno è la recente relazione presentata alla Camera dalla Corte dei Conti, con la rivelazione che del tesoretto del Pnrr, alla fine del 2022, l’Italia ha speso solo 21 miliardi, legati a 107 delle 285 misure elencate nel Piano. Ma in realtà, al netto dei crediti d’imposta automatici per le imprese e l’edilizia, sono soltanto 10 miliardi, con un tasso di realizzazione del 6%. Nella eloquenza dei numeri il quadro appare chiaro: la spesa effettiva ha viaggiato ai minimi termini con conseguente modesta accelerazione data finora al Piano. Trasparenza, responsabilità e serietà. La Commissione europea attende dalla rinnovata task force di Palazzo Chigi una proposta concreta per negoziare una tempistica del Piano meno rigida.

Restano sul tappeto polemiche e accuse politiche. L’emergere dei ritardi nell’attuazione del Piano ha dato il via al balletto del “tutti contro tutti”: la solita sagra dei rimpalli delle responsabilità, sullo sfondo di emergenze congiunturali e problemi strutturali. Sul banco degli imputati, in primis, l’ex premier Giuseppe Conte reo di “aver fatto man bassa” dell’intera quota europea spettante, fra sussidi e prestiti, senza una valutazione della oggettiva possibilità di utilizzo. Un approccio sbagliato perché, secondo alcuni osservatori “fin dall’inizio risultò chiaro che sarebbe stato impossibile spendere tutti questi soldi in modo corretto, veramente utile, su progetti seri e ben coordinati.” La risposta alle critiche arriverà dai fatti, ossia dall’auspicabile azione di rilancio del Pnrr da parte del governo per realizzarne le sei missioni: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, infrastrutture, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute. Il tutto supportato dalla riforma della Pubblica Amministrazione, della giustizia, della concorrenza e dalla semplificazione delle procedure amministrative. Un severo banco di prova per superare il quale rimane di grande attualità il messaggio di fine mandato di Mario Draghi: “la politica italiana sa ottenere grandi risultati quando collabora tra forze politiche di colori diversi ma anche tra Governo centrale ed enti territoriali, il Pnrr non è il Piano di un governo, ma di tutta l’Italia, e ha bisogno dell’impegno di tutti per garantire la riuscita nei tempi e con gli obiettivi previsti.” Per l’Italia una sfida epocale per attivare uno sviluppo sostenibile, superare cioè i rischi derivanti dalla incertezza politica, dalla crisi energetica e dall’aumento dei costi di finanziamento. Occorre una notevole e coesa volontà politica per dare concretezza all’azione di governo, accantonando ogni sterile protagonismo per privilegiare gli interessi superiori di un Paese in forte affanno socio-economico. La crescita non scaturisce solo da variabili economiche. Dipende dalla credibilità del sistema Italia sui mercati finanziari internazionali. Fattori che determinano il progresso di un Paese a patto di una “unità intesa non come una opzione ma come un dovere.”

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