26 aprile 2023

LUCANITÀ SARACENA Grande accoglienza nelle infime convalli della nostra terra




 
LUCANITÀ SARACENA

Grande accoglienza nelle infime convalli della nostra terra


Lucanità Saracena”, libro di versi e foto in vernacolo ed italiano dei cugini: Prospero e Valerio Cascini, il primo preside in pensione ed il secondo avvocato, sta girando di paese in paese. Da Biandronno, patria di emigrati, approda a San Chirico Raparo, il 21 aprile, ove sono intervenuti il sindaco, Vincenzo Cirigliano, il parroco, don Nicola Modarelli, il letterato Angelo Iacovino, nipote del pittore Giovanni Iacovino e la scrittrice Teresa Armenti. Si è parlato di identità culturale e religiosa. Teresa ha ricordato le figure di De Sarlo e dei Magaldi. San Chirico è stato un centro floridissimo nell’antichità, legato, in particolare alla Badia di Sant’Angelo al monte di Raparo dei Monaci Basiliani. La badia di Sant’Angelo è stata ristrutturata ed è un gioiello di arte bizantina. Proclamata, fin dal 1927, Monumento Nazionale, è uno dei luoghi di interesse del Parco del Lagonegrese-Val d’Agri. Di grande attrattiva è la fonte Trigella, citata dal Pontano nel “De Meteoris” al capo XLVII (Poemi astrologici, 1975) e conosciuta fin dai tempi antichi.


Ipse autem fruitumque diis atque imperat anteo

Unde fluit gelidus salebroso fonte Trigella

Orescitque hieme in media atque aestate liquescit.


La leggenda vuole che Ripenia, la ninfa, essendo Capripede innamorato di lei, si andasse a rifugiare nelle acque freddissime della fonte (“tri-gelida”), e il fauno la fece prosciugare. Ecco perché mentre d’inverno l’acqua non scorre, d’estate è una fonte molto ricca.

Una sorgente simile è la fonte Orca, nei pressi di Ghirla, in Valganna: quando è sereno emerge, mentre quando è maltempo si perde nei meandri della terra.

Il nostro territorio era costellato da tre grandi badie, di origine basiliana: quella di S. Angelo al monte Raparo, quella di S. Elia a Carbone e quella di Orsoleo a Sant’Arcangelo. La toponomastica ricorda questa poderosa opera di colonizzazione monastica ad opera dei Greci, dopo la presa di Costantinopoli nel 1453. Ci fu anche un’ondata di emigrazione ad opera degli Albanesi, dopo le imprese di Scanderberg. Ne sono testimonianza diversi centri, dove ancora si parla la lingua arbereshe, tra cui Ginestra, San Paolo Albanese, San Costantino Albanese e altri.

La badia di S. Angelo era famosa nell’antichità: il monte Raparo, come ci descrive il “Dizionario del Regno di Napoli” del 1816 «è rinomato per il monastero dei Basiliani, che vi fece Ugone Sanseverino, dato poi in commenda con le sue vaste rendite, che aveva in diversi paesi di quel circondario. Ce ne rimangono poche fabbriche, e la chiesa ad archi puntuti, dedicata all’Arcangelo san Michele, ove il 29 settembre vi si porta il clero di Castelsaraceno. Di questa badia, detta di S. Angelo a Raparo e talvolta denominata per sbaglio de Caprino, dell’ordine benedettino, situata alle radici di esso monte, ne parlano l’Ughelli in Italia Sacra, Agostino Lubin, in Abbatiarum Italiae brevi notitia, Romae 1693, ed altri. Avvisa Paolo Emilio Santoro che il celebre monastero di S. Elia di Carbone, possedé benanche aedem Sancti Protomartiri Stefani de Azupa, cedente Luca Rapari Abbate. Senza dubbio doversi intendere essere stato il detto Luca uno degli Abati di S. Angelo al Raparo. A poca distanza dalla detta chiesa di S. Angelo evvi S. Maria delle acque, e da sotto della chiesa vedesi un gran masso con apertura, dalla quale esce gran quantità di acqua, capace di dar moto a diversi mulini, ma non è sempre perenne, ma è mirabile, perché dissecca nell’inverno e fluisce nell’estate; sebbene non sia l’unico fonte di tal natura, che abbiamo in Regno, e se ne sa la cagione. Un tal fonte è detto di Trigella e il Pontano ci fece un’elegante composizione, che leggiamo tra le sue poesie…». Tra l’altro si cita che «nelle sue falde è coltivato, non così al di sopra. Vi si menano gli armenti, che producono buoni formaggi, essendo benanche abbondante di erbe medicinali. Nel suo giro vi sono diversi paesi come Castelsaraceno, Sanquirico, Sammartino, Spinoso, Taranto…».





Per Teresa le poesie di Prospero sono come mappe di un linguaggio capace di raccontare se stesso nei cambiamenti cogliendo le sfumature di ogni realtà.

Iacovino ha messo in evidenza come la Lucanità è stata la prima fonte di ispirazione oltre alle tanti comuni esperienze. E Prospero ha concluso che oggi più che mai la poesia abbisogna di essere a tu per tu con il lettore e nel più totale silenzio.

Vincenzo Capodiferro

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