09 gennaio 2023

Scritti d’inverno di Marina Minet a cura di Teresa Armenti


 
Scritti d’inverno di Marina Minet

Chi giunge in Basilicata è subito attratto non solo dalla varietà del paesaggio che va dalla montagna alla collina, dalle valli ai calanchi al mare, ma anche dai volti rugosi e ostili della gente, dai lunghi silenzi che pervadono la terra; ne respira l’aria, annaspando nel vuoto.

È il caso della poetessa di origini sarde, Marina Minet, che rimane affascinata dalle fresche acque gorgoglianti e dai panni stesi tra gli stretti vicoli, protesi in una danza ritmica; si lascia condurre dal crepitio del vento; trafigge con lo sguardo i calanchi che diventano mammelle accovacciate senza figli; si incunea tra gli anfratti popolati da corvi neri; posa lo sguardo sui rosari annodati lungo i polsi delle vecchiette e sul Sinni, disteso nella valle come il seno di una vecchia.

Le sue sensazioni prendono forma nella raccolta “Scritti d’inverno” che nel 2015 è risultata vincitrice del Premio Letterario Nazionale “Città di Taranto”, organizzato dall’Associazione Culturale “Le Muse Project”.

La silloge, di 64 pagine, si avvale dell’articolata prefazione di Anita Nuzzi e comprende tre sezioni: Dialogo alla Terra, Il vero o il nulla, Sui treni di Auschwitz. Al primo sguardo sembrano tematiche distaccate tra loro, ma c’è un filo conduttore che li unisce. Ci troviamo di fronte ad una spiritualità profonda, indagatrice, che dai graffiti nella natura passa alle ferite dell’anima e alle macerie dell’umanità calpestata.

Potrei definire Marina Minet“ l’archeologa dell’anima”: archeologa dell’anima della Terra che la ospita; archeologa della sua coscienza, che si dibatte tra il vero e il nulla; archeologa dell’anima del mondo, che ha distrutto con ferocia la sua umanità, mai sazia di sepolcri.

Ogni verso porta il lettore a sostare in silenzio, meditando in cuor suo soprattutto al sopraggiungere della sera di foscoliana memoria quando, accomiatandosi dal mondo, fa i conti con sé stesso. Ogni pagina può essere considerata terapeutica per chi sappia comprenderne il messaggio con l’intelligenza del cuore.

La Lucania è una Terra di avara confusione, che fa male, come un lutto, per l’abbandono dei suoi figli e l’apatia di chi resta, ma è anche un luogo di imponenza solitaria, di cui ci si innamora solcando i sentieri e meditando sul valore della vita.

L’anima si infiamma e significati reconditi si dischiudono alla mente, dimenandosi tra il vero e il nulla. Con la verità l’uomo viene allo scoperto con tutte le sue contraddizioni tra luci ed ombre, piegandolo lentamente fino alle buone membra della Terra. La verità e la finzione sono inseparabili compagni di viaggio e la crisi esistenziale si manifesta con le sue ombre più o meno dolorose, con le sue agostiniane inquietudini, con le sue incandescenze emozionali.

La sofferenza permette di cogliere le penombre della vita e riempie il cuore di una nuova sensibilità; nello stesso tempo è la chiave di accesso alla conoscenza dell’Altro da sé, capace di dare luce al lato d’ombra, tra preghiere e richieste di perdono. È il dolore dell’anima, che ha bisogno di essere ascoltato, per coglierne le radici di senso. Le ombre della vita sono cartine di tornasole, che aprono al dialogo con la realtà psicologica e umana.

La sua casa è la coscienza: il bagliore sotterraneo e si inalbera così, come una piuma in gabbia, come la sabbia in frana, come i lampioni che spazzano l’oscuro e al chiaro si conducono domani.

Dall’immersione nei recessi dell’anima emerge volgendo lo sguardo al cielo in cerca di risposte, ma gli astri ostentano solo splendore e non sanno dire niente sulle utopie che diventano sculture sbriciolate. Si trova immobile nel deserto della speranza e nella dissolvenza dell’attesa.

Due fari: Isabella Morra, la poetessa del Cinquecento, vittima di femminicidio, e Edith Stein, la prima martire cattolica di origine ebraica, vittima della Shoah, segnalano la via per riconciliarsi con Dio, rendendo luminosa la notte oscura dell’anima nella consapevolezza che per ogni Cristo un Giuda muore e per ogni Giuda un Cristo piange.

Teresa Armenti


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