19 novembre 2022

LA GOVERNANCE UE E IL NUOVO PATTO DI STABILITA’ di Antonio Laurenzano

 

LA GOVERNANCE UE E IL NUOVO PATTO DI STABILITA’

di Antonio Laurenzano

Patto di stabilità e crescita, ovvero il “patto della discordia”, tema di grande rilevanza nella politica di bilancio dei Paesi europei. Un accordo tra i Paesi membri dell’Ue che richiede il rispetto di alcuni parametri di bilancio e ruota attorno a due cardini: il deficit (differenza tra entrate e uscite, comprese le spese per interessi) che non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico che non deve superare il 60% del Pil. Parametri molto rigorosi, più volte terreno di scontro fra i falchi del Nord e i Paesi cicala del Sud Europa.

Le norme del Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact), secondo i principi fissati con il Trattato di Maastricht del 1992, “mirano a evitare che le politiche di bilancio vadano in direzioni potenzialmente problematiche e a correggere disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi.” Il Patto divenne …di ferro nel 2012 con la firma del “Fiscal compact”, che prevede il pareggio di bilancio di ciascun Stato, con l’obbligo per i Paesi con debito superiore al 60% del Pil di ridurre il rapporto di almeno un ventesimo all’anno. Di fatto si vuole evitare che gli squilibri interni e la mancanza di rigore di un singolo Stato per… allegra finanza possano mettere a rischio la sua stessa tenuta e quella dell’Ue. Per i Paesi “trasgressori” la Commissione Ue può promuovere una procedura d’infrazione che attraverso un avvertimento preventivo e una serie di raccomandazioni si conclude con una sanzione. Nel marzo 2020 la Commissione Von der Leyen, per limitare l’impatto socio-economico della pandemia, aveva proposto l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, autorizzando i singoli Paesi membri a elargire contributi senza il rischio di sanzioni in caso di sforamento del deficit e del debito pubblico. Maggiore flessibilità della finanza pubblica fino al 2023 per sostenere l’economia durante la crisi. Espansività della spesa secondo la teoria Keynesiana.

Un principio economico confermato di recente. Al termine di un lungo e complicato travaglio durato quasi tre anni, la Commissione ha presentato una proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita nel segno della sostenibilità del debito e della crescita. Non più l’irrealistica “regola del ventesimo” ma una “riduzione del debito pubblico in modo graduale e sostenuto”. La proposta della Commissione, che si basa su un meccanismo di vigilanza europea Paese per Paese (Commissariamento?), si fonda su regole più chiare per una crescita equa e sostenibile nel quadro di un credibile percorso di riduzione del debito. Tre sono i pilastri del nuovo Patto. Il primo riguarda la distinzione dei Paesi Ue in tre gruppi a seconda del loro livello di indebitamento per specifici percorsi di riduzione del debito con riferimento alla spesa netta primaria, ovvero la spesa pubblica annuale al netto di tasse e di interessi pagati sul debito. In particolare, per i Paesi ad alto debito (Italia compresa) la rimodulazione della spesa netta primaria, nel rispetto del 3% del Pil, andrà fatta entro 4 anni tale da consentire la riduzione del debito pubblico in un arco temporale di 10 anni. Il secondo pilastro della riforma riguarda riforme e investimenti che ogni singolo Stato “negozierà” con la Commissione: in primis la transizione verde e digitale e le infrastrutture. Il terzo pilastro è quello sanzionatorio per chi non rispetta il nuovo Patto. Le procedure per deficit e debito eccessivo comportano sanzioni pari allo 0,2% del Pil del Paese, fino ad arrivare -nei casi più gravi- alla sospensione dei fondi comunitari ai Paesi inadempienti.

L’obiettivo dichiarato di Bruxelles è quello di uscire dalla situazione attuale nella quale le regole sono uguali per tutti, ma si dimostrano spesso difficili da far rispettare. Una maggiore flessibilità associata a una credibilità nell’uso delle procedure sanzionatorie. Un ridisegno della governance economica dell’Ue che mira a rendere compatibile la sostenibilità dei debiti pubblici nazionali e la crescita di ciascun Paese dell’area, attraverso la semplificazione dell’attuale groviglio di vincoli spesso inapplicabili, e raramente sanzionati.

Quale futuro attende la finanza pubblica italiana a livello europeo? Nel processo negoziale dei prossimi mesi (il nuovo Patto dovrà essere approvato dal Consiglio europeo, per entrare in vigore nel 2024) l’Italia dovrebbe assumere una posizione di “accomodamento” verso il nuovo Patto, tenendo ben conto delle onerose alternative nel caso in cui non venisse approvato, coagulando attorno alla propria posizione quella di altri membri Ue. Sarà un percorso ad ostacoli: critiche e osservazioni stanno già arrivando da alcuni Paesi frugali sugli eccessivi margini di flessibilità e sull’accresciuto potere che ricadrebbe sulla Commissione.

Sapranno falchi e cicale mettere da parte contrasti e pregiudizi per imboccare finalmente la strada della reale integrazione economica e politica dell’Europa? E’ auspicabile il consenso generale sulla riforma del Patto di stabilità in grado di legittimare, attraverso una politica fiscale comune, la governance economica dell’Ue, rafforzarne il suo ruolo nell’economia globale per uno sviluppo sostenibile. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile, l’inerzia consegnerebbe al futuro un’economia devastata. Oggi l’Unione europea è chiamata a scelte coraggiose e innovative per un’Europa più coesa e più unita.  


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