24 agosto 2022

MEMO4345 a cura di Marco Salvario

 MEMO4345 a cura di Marco Salvario

Chiesa di Sant'Anna – Borgo San Dalmazzo (Cn)



Tra i posti dove volevo andare nei giorni che ho trascorso in Valle Gesso, il MEMO4345 non era nel mio elenco; ugualmente visitarlo è stato un'esperienza intensa e coinvolgente.

La sede è nella chiesa di Sant'Anna, la cui costruzione è antica di quasi quattro secoli e venne eretta sulle rovine di una precedente cappella. Durante le due guerre mondiali la chiesa fu utilizzata come deposito per la sua vicinanza alla stazione ferroviaria, ma in tempo di pace è stata sempre assegnata al culto cattolico, fino al 1990, anno in cui venne sconsacrata. Molti degli abitanti di Borgo San Dalmazzo, se ben ricordo si chiamano “borgarini”, quando entrano nell'edificio si continuano a fare per abitudine il segno della croce, anche perché la costruzione conserva una solenne e religiosa bellezza.

Dal 5 settembre 2021 la chiesa di Sant'Anna ospita il MEMO4345.

Per i quattro euro richiesti per l'ingresso con visita accompagnata, ho avuto la fortuna di potere seguire una guida intelligente, preparata, disponibile a condividere pensieri e ragionamenti, per nulla contrariata dall'avere in me l'unico visitatore.


Memoria 1943-1945. Che cos'è il MEMO4345?

Dare una definizione non è facile; si potrebbe procedere per esclusione: non è un museo, non è un laboratorio, non è un'associazione. Aiutandomi con le definizioni che vengono proposte nel sito www.memo4345.it, azzarderei che è uno spazio da percorrere lentamente per conoscere e ricordare il passato, meditare e interrogarsi su quello che è successo, su quello che succede ora, sulla società e su noi stessi. Non si tratta di giudicare solo le colpe terribili di quel tragico periodo, pur salvando chi, anche in quei momenti bui, seppe essere uomo giusto e degno, ma di affrontare il presente. Siamo noi uomini migliori? Se molti nel passato si giustificarono dicendo di non avere saputo, di non avere capito, di avere fatto solo quello che era stato loro comandato, noi, oggi, che alibi abbiamo per il nostro vile tacere davanti all'ingiustizia che è radicata nel mondo?

Al centro della chiesa, nella posizione dove una volta era l'altare, è posta l'opera “Ombre nella memoria” di Enrico Tealdi, artista cuneese maestro delle atmosfere rarefatte, che con poesia ed eleganza ci descrive come sia fragile e quasi invisibile il filo che permette di riportare al presente l'esperienza del passato. Il disegno tenue e nascosto, richiama quasi il corpo impresso nel sacro lenzuolo della Sindone.

Tutto il percorso è presentato con chiari pannelli esplicativi, che riportano le informazioni raccolte con pazienza nel tempo e organizzate in database. È possibile navigare e ripercorrere, per come si è riusciti a ricostruirle, le ricerche continuano ancora, le vicende delle 357 persone di religione ebraica deportate ad Auschwitz dopo essere state rinchiuse nel campo di concentramento di San Dalmazzo; per quasi tutte, un viaggio di sofferenza e dolore verso la morte.



Il primo momento dei sette in cui si articola la visita, si sofferma su quando tutto è cominciato. L'atmosfera che si respirava a inizio '900 con la nascita di forti sentimenti nazionalisti, che si rafforzavano nella diffidenza e nell'odio verso le minoranze. La serenità ottimista della Belle Époque, che non si preoccupava di come il colonialismo riducesse intere popolazioni in schiavitù e la xenofobia stesse trascinando le potenze europee le une contro le altre.

L'inutile strage della prima guerra mondiale non risolve i problemi, anzi esaspera le contrapposizioni. La Germania sconfitta e umiliata, prepara la propria rivalsa. Per molti ebrei che vivono nell'est dell'Europa, comincia un percorso di fuga verso la Francia, soprattutto Parigi, e il Belgio. I più fortunati raggiungono gli Stati Uniti.

La presa del potere di Hitler rende la fuga sempre più disperata e la sconfitta dei francesi nel giugno del 1940, costringe a un nuovo esodo, a volte abbandonando i figli più piccoli a amici che li nascondano. Coloro che non riescono a lasciare la Francia occupata, si dirigono nella zona di Nizza, sotto il controllo degli italiani.

La guerra divampa sempre più feroce. Dopo le disfatte dei nazifascisti in Africa e in Russia, lo sbarco degli Alleati in Sicilia; la sconfitta di Hitler e Mussolini sembra prossima. In Italia a luglio del 1943 cade il fascismo e il Re fa arrestare il Duce; l'8 settembre Badoglio proclama l'armistizio con gli Alleati ed è il caos. Il nostro esercito si sfascia, l'Italia resta spaccata in due: gli americani al sud, i tedeschi al nord.

Molte famiglie ebraiche da Nizza, ormai non più sicura, cercano di passare in Italia, salvando il poco che possono, oggetti più d'affetto che di valore, ma la traversata senza scarpe adatte, senza coperte, con bambini e vecchi, è un'impresa disperata e per molti impossibile; a loro si mischiano spesso le truppe italiane di stanza in Francia, che hanno abbandonato caserme, armi e divise e ora vogliono raggiungere le proprie case.

Gli ebrei non hanno una casa dove andare, pochi hanno in Italia parenti o amici che possano aiutarli. Quando varcate le Alpi, raggiungono i paesi della Valle Gesso, dopo un'iniziale disorientamento dei residenti vengono rifocillati, accolti nei cascinali e ricevono coperte, ma anche il consiglio di andarsene via in fretta, perché i tedeschi sono ovunque.

Tra spostamenti, arresti e nuove fughe, uno dei gruppi arriva a Borgo San Dalmazzo.

Il 18 settembre, sono passati dieci giorni dall'armistizio di Badoglio, il comandante Müller delle S.S. ordina a tutti gli ebrei, la parola usata è “stranieri”, di consegnarsi al Comando Germanico di Borgo San Dalmazzo, pena la fucilazione. Chi si consegna per stanchezza, perché si illude che la guerra stia per finire, perché non sa più dove fuggire, perché crede a false promesse, finirà caricato sui carri bestiame con direzione Auschwitz.

Sulla traversata delle Alpi e sulle storie di otto famiglie sono stati realizzati e possono essere visualizzati filmati interpretati da attori non professionisti, che emozionano senza mai cadere nell'ovvio o nel compatimento.



A questo il percorso non è finito, ma diventa più personale.

Com'è potuto accadere? Era inevitabile che succedesse? Succederà ancora?

La storia recente riporta molti genocidi contro minoranze oppresse o popoli sconfitti. In Namibia per mano dei tedeschi, in Congo dai belgi, in Armenia dai turchi, in Ucraina dai russi di Stalin, a Sebrenica contro i mussulmani, nel Myanmar contro i rohingya, contro gli uiguri in Cina.

Ogni tanto questi eventi hanno momenti di risalto sui giornali e dopo cala nuovamente il silenzio.

In cosa siamo diversi dai tedeschi che hanno assistito senza opporsi alla tragedia dei campi di sterminio? Anche noi ci giriamo dall'altra parte, ci giustifichiamo dicendo che tanto non possiamo fare nulla, che non sappiamo, che non tocca a noi agire e ripetiamo falsi stereotipi.

Quante volte il nostro disprezzo ha colpito zingari, persone di colore, migranti? Dimenticando il male che ci ha fatto e ci fa, essere marchiati come italiani mafiosi, pelandroni, capaci solo di mangiare pastasciutta e suonare il mandolino.

I genocidi continueranno finché noi li continueremo a permettere. Si può essere colpevoli per le parole, le opere e le omissioni.

L'ultima riflessione è dedicata ai Giusti, a coloro che non hanno chiuso gli occhi, che non hanno taciuto, che hanno aiutato chi era perseguitato, che hanno osato ribellarsi ai potenti, che hanno rischiato la propria vita per chi non conoscevano neppure, che si sono rifiutati di seguire leggi e comandi quando la coscienza ha urlato loro che erano ingiusti. Non sono tanti e non sono pochi, spesso sono persone che non hanno ottenuto né fama né riconoscimenti. Sono esempi rincuoranti che fanno sì che, uscendo da MEMO4345, ci si vergogni un po' meno di essere uomini.


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