28 agosto 2022

DISFORIA DI GENERE Riassegnazione di genere in età evolutiva: il ruolo dei social nell’aumento delle richieste a cura di Roberto Pozzetti


DISFORIA DI GENERE 
Riassegnazione di genere in età evolutiva: il ruolo dei social nell’aumento delle richieste

Abbondano video su YouTube e Tik Tok, pagine Instagram e gruppi Facebook in cui vengono riportate testimonianze di giovani che stanno compiendo o hanno compiuto il percorso di transizione di sesso. E l’età di chi fa domanda di riassegnazione di genere è sempre più bassa. Un fenomeno su cui sarebbe bene porsi delle domande

Psicoanalista, Professore a contratto LUDeS Campus Lugano, Professore a contratto Università dell'Insubria, autore del libro 'Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali', già referente per la provincia di Como dell'Ordine degli Psicologi della Lombardia

In tutto il mondo, negli ultimi anni, si riscontra un sensibile aumento delle domande di riassegnazione di genere fra i bambini e gli adolescenti. Ci troviamo in un’epoca di inflazione generale, esponenziale e talvolta grottesca delle diagnosi cliniche che patologizzano tutti; per un altro verso, ci troviamo di fronte di una depatologizzazione delle svariate forme di sessualità umana.

L’incremento della valutazione diagnostica di disforia di genere

In questa dinamica apparentemente contraddittoria, a seconda delle nazioni, l’incremento della valutazione diagnostica di disforia di genere varia dal 1000% al 4000%. I casi diagnosticati in questi termini si sono dunque moltiplicati in una quantità che va da 10 a 40. In Francia, secondo Jean Chambry, responsabile del CIAPA (Centro Intersettoriale di Accoglienza Per Adolescenti di Parigi), le domande di riassegnazione di genere sono divenute 10 al mese nel 2020 mentre erano 10 all’anno nel 2010. Negli Stati Uniti d’America, a Boston, è stata aperta nel 2007 la prima clinica per giovani transgender; nel decennio successivo ne sono state aperte ben 40 e questa escalation continua tuttora.

Si parla sempre più spesso, soprattutto fra i giovani, di una posizione soggettiva non-binaria e del concetto di gender fluid: essere uomo o essere donna nulla avrebbe a che fare con l’anatomia in quanto si tratterebbe soltanto di costrutti relativi al contesto ambientale nel quale si nasce e si viene cresciuti.

Chi si permette di dire una parola, di scrivere una frase volta anche minimamente a problematizzare questa situazione epocale non tarda a venire accusato di transfobia o persino di omofobia.

La psicoanalisi, già con qualche accenno di Freud nei suoi ultimi scritti e molto più ampiamente con l’insegnamento del Lacan degli anni Settanta, precede questi studi e tali teorie sottolineando la differenza fra la soggettività e l’anatomia. Tuttavia, la pratica della psicoanalisi implica anche il diritto di parola e lo spazio per l’interpretazione volta ad andare oltre la caratteristica di suggestione indotta su preadolescenti e adolescenti da alcuni siti web e soprattutto da alcuni gruppi nei social network.

Il diritto di parola

Nell’aprile 2022, si sarebbe dovuta svolgere una conferenza delle colleghe francesi Caroline Eliacheff e Céline Masson all’Università di Ginevra, in Svizzera. L’irruzione di un collettivo queer nei locali della suddetta università elvetica ha impedito alle colleghe di parlare imponendo di fatto la cancellazione di questa conferenza. Le colleghe sono autrici del libro “La fabbrica del bambino transgender“. Questo breve testo, che raggiunge appena il centinaio di pagine, riporta diversi dati e molteplici ricerche a proposito delle domande di transizione di sesso nei bambini; cita anche dei dati relativi ai primi studi, compiuti soprattutto in Svezia e in Canada, sulla detransizione cioè sui percorsi di soggetti che hanno compiuto la riassegnazione di genere per tornare al genere originario.

Le domande di transizione erano tradizionalmente prevalentemente sul versante M to F (da maschio a femmina) ma oggigiorno si registra un incremento significativamente sensibile delle richieste di transizione F to M (da femmina a maschio).

Il documentario Petite fille

Apre il libro un commento del documentario Petite fille (Bambina) che è andato in onda nel 2020 sulla televisione franco-tedesca Arte, una sorta di Netflix franco-tedesca. Questo documentario a cura del regista Sébastien Lifshitz, il quale aveva già dedicato un’opera al transessuale Bambi nato maschio negli anni Trenta, ha acceso un infervorato dibattito in Francia. Presenta la storia di Sasha, che ha otto anni. Sasha è anatomicamente maschio ma si sente femmina molto precocemente, peraltro in accordo con il desiderio della madre che voleva una bambina. Ha già avuto la diagnosi di disforia di genere ed è indirizzato verso la transizione. Sasha adotta tutti gli stereotipi che caratterizzano una bambina nelle società tradizionali e non pronuncia più di qualche breve parola, rivolgendosi peraltro quasi sempre allo sguardo compiaciuto della madre. Verrebbe da interrogarsi sull’eventualità che, anziché trattarsi di un effettivo desiderio soggettivo relativo a una certa qual autodeterminazione, la posizione di Sasha sia quella di assoggettamento al desiderio materno. Né gli operatori scolastici né tantomeno i clinici delle istituzioni pubbliche francesi si autorizzano tuttavia a porre questo interrogativo. Nessuno osa interpretare, forse anche per il timore di conseguenze spiacevoli che potrebbero subire, forse per quieto vivere.

La seconda parte di questo libro, la più corposa, si occupa dell’impatto dei social network sui progetti e sulle domande di transizione.

I gruppi sui social nella prospettiva della transizione

Abbondano video su YouTube o su Tik Tok, pagine Instagram e gruppi Facebook, sia in italiano che in inglese che in francese, nei quali vengono riportate foto e testimonianze di giovani che stanno compiendo o hanno compiuto il percorso di transizione. Alcune criticano i luoghi comuni su questi argomenti, altre hanno una prospettiva più rigorosamente clinica, altre ancora si centrano proprio sul racconto del percorso che il soggetto sta compiendo.

Tendono a rispondere a interrogativi fra cui quelli relativi al come fare per sapere se si è veramente trans, al modo per fare coming out in famiglia, al come ottenere una terapia a base di testosterone, alle paure nell’attraversare questa esperienza e così via. Alcuni commenti dimostrano la dimensione di identificazione, peraltro tipica della fascia d’età preadolescenziale: “Sono proprio trans; il tuo video mi ha confermato quello che pensavo”. Molti soggetti giovanissimi si appiccicano all’identità che credono di aver trovato grazie a questi video cui giungono spesso attraverso la ricerca di specifici hashtag.

I genitori assistono impotenti al radicale cambiamento delle fattezze corporee dei propri figli. Alcuni adolescenti apprendono dal mondo online come aderire a un’immagine corporea

Il ruolo degli influencer

Un ruolo eminente lo assumono anche in questo ambito gli influencer che riescono a reclutare followers e a includerli nelle comunità virtuali di orientamento trans. La funzione delle influencer sui social network risulta cruciale nel mondo pro-ana che incita al dimagrimento per andare verso l’anoressia e nel settore della prevenzione dei disturbi alimentari da parte di ragazze che hanno attraversato tale problematica e testimoniano ora del proprio percorso di guarigione; analogamente chi si pone nella posizione di compiere un influenzamento rispetto all’identità di genere incita a compiere la transizione e supporta calorosamente questi minorenni ad agire sovente contro il parere dei genitori.

Anche i clinici vengono sottoposti a valutazione in queste comunità virtuali e vengono selezionati psicologi e psichiatri transfriendly; questa, per esempio, la recensione di uno psichiatra francese: “Psy figo, ha rilasciato l’attestazione a un F to M dopo un unico appuntamento!”. Poche domande, nessuna interpretazione, nessuna dialettica, sottomissione alle richieste dei soggetti transgender: ecco le caratteristiche di un bravo clinico secondo questi influencer. Chi prova a ipotizzare, per esempio, un collegamento fra il rifiuto della femminilità e quello del corpo materno in un soggetto F to M viene subito bollato di transfobia e messo alla gogna sui social network.

Uno studio statunitense condotto su un centinaio di soggetti che avevano iniziato la transizione salvo poi interromperla riporta come la quasi totalità di essi avesse intrapreso tale percorso dopo essere stata orientata in questi termini dalla frequentazione di piattaforme online o dall’aver seguito video su YouTube che andavano in tal senso.

Il documentario svedese The trans train

Di assoluto interesse in questi termini si dimostra il documentario svedese The trans train, trasmesso sulla televisione pubblica di quella nazione il 3 aprile 2019, sottotitolato in inglese. Le autrici Karin Matisson e Carolina Jemsby si occupano di giovani profondamente a disagio con il proprio corpo e che hanno la convinzione di essere nati nel corpo sbagliato. Si sottolinea come in Svezia, sin dagli anni Settanta, vengano compiuti interventi chirurgici per la riassegnazione di genere e quanto questo abbia arricchito l’esperienza clinica dei colleghi scandinavi a tal proposito.

Dei genitori riportano la loro sorpresa nel constatare che la propria figlia, dopo un’infanzia vissuta con sofferenza a causa di importanti problemi psichici tali da rendere problematiche le proprie relazioni sociali, abbia trovato la soluzione nel progetto di cambiamento di sesso. Altri genitori constatano con delusione come i clinici che hanno incontrato la loro figlia non abbiano minimamente problematizzato la domanda di transizione e si siano piuttosto congratulati con la ragazza per la sicurezza della sua decisione. Viene, da un altro versante, riportata un’intervista alla collega Anna Waehre dell’ospedale universitario di Oslo in Norvegia: ella sostiene che il 60% delle ragazze ricevute con richiesta di transizione di genere F to M

presentano complessi disturbi psichici come un Disturbo Post-Traumatico da Stress, un disturbo dello spettro autistico oppure una psicosi.

Se non vi fosse il rischio di venire etichettati come omofobi, ci si autorizzerebbe a scrivere che già Freud aveva colto nella trasformazione nel genere opposto un frequente tentativo di guarigione all’apice della psicosi il cui esempio più celebre è quello della femminilizzazione di Daniel Paul Schreber dopo la nomina a Presidente della Corte d’Appello di Dresda. Schreber testimonia del suo martirio nelle celebri “Memorie di un malato di nervi”.

A quale età risulta ragionevole cambiare sesso

Diversi psicoanalisti si trovano d’accordo quanto al considerare troppo precoce l’infanzia come momento nel quale operare la riassegnazione di genere, in una fase della vita nella quale si sta ancora costruendo la propria organizzazione psichica e si sta ancora strutturando la propria posizione soggettiva. Del resto, la maggioranza dei bambini che si interrogano sulla loro identità sessuale non persistono nella domanda di transizione dopo la pubertà; secondo una ricerca di D. Sing, S. J. Bradley e K. J. Zuckler, pubblicata su Frontiers in Psychiatry nel 2021, soltanto il 12% dei maschietti persiste in questa domanda nell’adolescenza. Nei dettagli di questa ricerca svolta nel servizio rivolto all’identità di genere in un’istituzione pubblica per l’età evolutiva di Toronto, in Canada, troviamo dati significativi. Si tratta dello studio sull’argomento che ha coinvolto il maggior numero di soggetti al mondo: ben 139; l’età media dei bambini all’inizio del percorso era di 7 anni e sono stati seguiti fino a quando erano divenuti ventenni. La maggior parte dei soggetti dichiarava poi un orientamento sessuale gay mentre, come scritto poc’anzi, soltanto una percentuale esigua persisteva nel considerarsi femmina.

La preadolescenza stessa in quanto momento che precede di poco i cambiamenti corporei ma anche psichici specifici della pubertà pare una fase poco indicata per interventi di questo tipo che possono invece venire considerati in termini maggiormente favorevoli nell’adolescenza.

Conclusioni

In Italia nessuna normativa di legge stabilisce un’età per il cambio di sesso ma lo Studio Legale Piemonte, specializzato in assistenza legale per la rettificazione di sesso fra i minorenni, specifica come sia estremamente raro tale cambiamento prima dei 14 anni se non in casi di malformazioni alla nascita. A volte avviene in età adolescenziale previo l’accordo dei genitori; in assenza di tale consenso, la transizione può essere compiuta una volta raggiunta la maggiore età. Alcune nazioni del nostro continente hanno fissato intorno ai 15-16 anni l’età minima per effettuare interventi chirurgici in questa direzione; la maggior parte degli psicoanalisti che si sono occupati di tematiche relative al sesso e al genere trovano ragionevole questa normativa di legge. Sarebbe auspicabile estenderla all’intera Unione Europea.

fonte: https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/riassegnazione-di-genere-in-eta-evolutiva-il-ruolo-dei-social-nellaumento-delle-richieste/


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