27 aprile 2022

ALCUNI EPISODI DEI CONFLITTI FRA LE GENTI IROCHESI E GLI ESERCITI INGLESI E POI CONFEDERALI DOPO IL TRATTATO DI PARIGI DEL 1763 E LE GUERRIGLIE DEL CAPO INDIANO PONTIAC a cura di Enrico Pinotti


ALCUNI EPISODI DEI CONFLITTI FRA LE GENTI IROCHESI E GLI ESERCITI INGLESI E POI CONFEDERALI DOPO IL TRATTATO DI PARIGI DEL 1763 E LE GUERRIGLIE DEL CAPO INDIANO PONTIAC


Gli almeno quattro anni che seguirono il Trattato di Parigi del 1763 furono cruciali per le sorti delle genti che popolavano i Grandi Laghi fra gli odierni Stati Uniti ed il Canada. La Lega delle sei Nazioni irochesi stava perdendo il consenso delle sue popolazioni perché troppo indulgente verso l’occupazione inglese. Restavano le numerose tribù dissenzienti schierate o non a fianco del capo Pontiac e non è che fossero solo i popoli Cree e Nipissing, come certa storia afferma: le genti indiane che appoggiavano l’opposizione di Pontiac ai poteri inglesi erano tante ma non erano su territori contigui, erano sparse ai confini del Canada sud-occidentale, fino ad arrivare all’Illinois e la valle dell’Ohio e fu proprio in questi territori che si sono svolte le battaglie decisive fra gli irochesi di Pontiac e le truppe dell’ormai Confederazione statunitense.

A nulla valsero in seguito gli sforzi di Capo Giuseppe al comando dei Nasi Forati per riacquistare territori e dignità di un popolo ormai sconfitto

Di seguito vogliamo raccontare alcuni episodi di questi anni cruciali, fino all’uccisione per mano indiana, pagata dai comandi confederali del condottiero indiano avvenuta nel 1769.

La Francia, scrivono gli storici, è stata radiata dall’immenso bacino del Mississippi, ma i francesi, sia per la loro alleanza con gli indiani sia per le guarnigioni avanzate, avevano mantenuto l’ordine in quelle regioni. A chi spettava ora questo compito? Senza dubbio all’esercito britannico. Il generale Amherst inviò una missione ad occupare i porti francesi. Essa incontrò l’opposizione delle genti indigene. Un capo tribù ottawa, Pontiac, diventò il capo della resistenza.

Ricordiamo Pontiac mentre svolgeva l’ultimo intervento al Grande consiglio nel villaggio indiano sul fiume Ecorse, quando i capi convenuti in rappresentanza di tutte le tribù di pellerossa dalle più lontane regioni, sembravano galvanizzati dallo sguardo fiero, dall’espressione dura, dall’eloquio fiammeggiante, ma soprattutto dalla chiarezza organizzativa di questo guerriero dalla pelle scura, che gestiva e si comportava con la sicurezza di un uomo abituato al comando.

Dopo aver enunciato ai suoi fratelli i soprusi patiti s’era deciso a chiarire la ragione di quella convocazione che non era e non poteva essere un festival delle lamentazioni. Era di fronte a uomini valorosi che al rimpianto concedevano poco tempo.

Pontiac aveva riunito i capi delle tribù non per riempire le loro orecchie di parole vane ma per tratteggiare le linee essenziali di un piano che egli aveva maturato nel tempo e sul quale aveva riflettuto per due anni. In parole chiare e semplici, Pontiac proponeva un attacco simultaneo di tutte le tribù contro i forti inglesi nella regione dell’Ohio e dei Grandi laghi. L’intenzione era di distruggerli completamente e in modo definitivo. Espresso in questi termini, il progetto di Pontiac poteva avere i contorni vaghi e inconsistenti dell’utopia, la colorazione di un sogno in cui si sarebbe placato il desiderio di vendetta di un intero popolo, ma il guerriero metteva nell’esposizione del piano i complessi stratagemmi con cui dovevano essere aggredite le difese nemiche basando ogni attacco sulla sorpresa, suggerì tattiche per travolgere con il fuoco gli insediamenti inglesi con il favore delle fasi lunari in cui sarebbe cominciata la guerra di liberazione del territorio indiano.

I capi tribù presenti furono persuasi che il programma fosse ambizioso, ma erano altresì convinti che soltanto un uomo come Pontiac, con la sua intraprendenza avrebbe potuto trasformare questo mosaico di popoli e di tradizioni, queste tribù tanto diverse e spesso ostili fra loro, in una forza unitaria. La personalità di un capo carismatico assopì gli odi violenti, dissipò vecchi rancori e il suo piano venne accettato per acclamazione, senza discussioni, all’unanimità. Quel giorno gli indiani sciolsero il cerchio di guerra con la ferma intenzione di annientare i bianchi ad ovest dei Monti Allegani e trasformare questa catena e il corso del fiume Ohio nelle nuove frontiere del territorio indiano.





Nel finale della sua oratoria Pontiac aveva espresso tutta la sua passione e i convenuti tornarono ai loro villaggi spinti dal desiderio di tradurre in realtà il progetto di guerra del nuovo capo dei pellerossa.

Quello che accadde in seguito gli inglesi non l’avrebbero dimenticato mai più. La determinazione, la ferocia e la contemporaneità della reazione indiana furono tali che gli inglesi non riuscirono in un primo tempo neppure a rendersi conto di quanto stava accadendo.

Come sotto in un unico colpo caddero i forti di Michilimackinac, Sault Sante Marie, Green Bay, St. Joseph, Ouitenon, Miami, Sandusky, Presque Isle, Le Boeuf e Venango. Alcuni come Presque Isle furono conquistati d’assalto, altri come Michilimackinac con l’inganno.

A Michilimackinac, i Chippewa e i Sauk invitarono i soldati della guarnigione ad assistere ad una partita di lacrosse che consiste nel lanciare una palla servendosi di racchette dal lungo manico, uno sport in qualche modo precursore del tennis. Senza sospettare di nulla i soldati assistettero alla partita che si svolgeva fuori delle fortificazioni incoraggiando i contendenti. A un tratto, ad un segnale stabilito, la palla superò le mura del forte, gli indiani chiesero di riprenderla e i soldati trovarono del tutto naturale aprir loro le porte. Gli indigeni avevano usato la palla come un grimaldello, come un cavallo di Troia per entrare nel forte, furono centinaia di guerrieri a farlo e massacrarono quasi tutti i soldati della guarnigione. Sopravvissero all’assalto improvviso soltanto pochi militari e il comandante maggiore Etherington che furono fatti prigionieri.

Quasi tutte le guarnigioni del territorio subirono la stessa sorte: i soldati che non morivano in battaglia venivano poi torturati a morte. Il piccolo gruppo che presidiava il forte di Green Bay fu salvato da una circostanza curiosa che vale la pena raccontare. Abbiamo detto che il progetto di Pontiac fu approvato per acclamazione, ma al grande convegno non erano presenti i rappresentanti dei Sioux, un grande e ardimentoso popolo confinante con i territori degli irochesi. I Sioux avrebbero potuto mettere in campo fino a trentamila guerrieri. Gli inviati di Pontiac, il quale non avrebbe voluto perdere questo prezioso alleato, si recarono ripetutamente presso i maggiorenti di quella tribù per poter stringere un’alleanza. I Sioux furono irremovibili, per la semplice ragione che della coalizione facevano parte gli indiani Chippewa che erano loro irriducibili nemici. Non solo non si unirono all’alleanza ma inviarono un loro capo alla tribù degli indiani Menominee che vivevano presso il Green Bay, con un ordine perentorio: “proteggere la guarnigione inglese o i miei compagni sioux verranno sterminati”. Questo atto comportava essere al fianco degli inglesi ed era estremamente divisivo anche per future alleanze fra i nativi americani.

I Menominee rispettavano Pontiac ma sapevano di cos’erano capaci i Sioux, presero alla lettera l’imposizione ultimativa: promisero al tenente Gorel e ai suoi diciassette uomini di lasciare pacificamente il forte e assicurarono loro una scorta di novanta guerrieri che seguirono in canoa gli inglesi imbarcati su un battello più grande: in questo modo il gruppo di Gorel attraversò la baia.

Sulla riva venne avvistato un gruppo di Chippewa e i Menominee si prepararono alla battaglia decisi a combattere a favore degli inglesi, piuttosto che affrontare i Sioux. Per uno di quei casi che spesso non hanno spiegazioni, i Chippewa non attaccarono. Dopo aver attraversato il lago Michigan, inglesi e indiani sostarono in un villaggio ottawa, dove si trovavano il maggiore Etherington e otto dei suoi uomini sopravissuti al massacro del forte Michilimackinac. Si svolsero lunghe trattative tra il tenente Gorel e gli Ottawa e i prigionieri furono liberati dagli indiani. In seguito, inglesi ed indiani attraversarono il lago Huron, la Georgian Bay, si spinsero lungo il fiume French, raggiunsero il lago Nipissim, valicarono numerosi portages –tratti di terreno fra un corso d’acqua e l’altro che obbligavano al trasferimento a spalla delle canoe- e s’immisero nel fiume Ottawa che discesero fino a Montreal.

A parte questo episodio che pure ha un significato profondo nella logica e nella psicologia indiana, il quadro generale per la lotta di liberazione dei territori dei pellerossa, era tutto sommato confortante, sebbene Pontiac avesse conseguito vittorie strepitose soltanto nei confronti di obbiettivi relativamente modesti.

Un passo avanti significativo e forse decisivo sarebbe stato fatto soltanto mettendo fuori gioco i due punti strategici degli inglesi: Fort Detroit, che consentiva il controllo del traffico nel sistema dei Grandi Laghi e Fort Pitt, sorto sulle rovine di Fort Duquesne, che proteggeva la frontiera.

Pontiac preparò l’attacco a Fort Detroit, credeva di agire in gran segreto ma all’ultimo momento s’accorse di essere stato tradito e lo tradì proprio una ragazza chippewa appartenente ad una tribù nemica dei Sioux. Il piano era stato studiato minuziosamente ed il colpo di mano era stato fissato per il 7 maggio. La fanciulla era innamorata del maggiore Henry Gladwyn e dopo essersi chiesta se era più importante la sopravvivenza del suo popolo o quella del suo amante, decise per la seconda ipotesi e svelò il piano di Pontiac all’ufficiale: ad un’ora stabilita, il capo guerriero sarebbe entrato nel forte con sessanta uomini con il pretesto di barattare mercanzie, ma ognuno di essi avrebbe portato un fucile carico sotto le coperte.

Il maggiore Gladwyn che poteva guidare il gioco, si guardò bene dal chiudere le porte del forte, lasciò che i guerrieri entrassero e si assicurò che fossero sotto il tiro dei fucili inglesi. A Pontiac bastò un semplice sguardo per rendersi conto che il suo piano era fallito, fece un cenno e i suoi uomini si ritirarono mentr’egli restò a parlare e a fumare con il maggiore prima di seguirli.

Quando uscì, i guerrieri indiani aprirono un fuoco d’inferno contro il forte, che si prolungò incessantemente per sei ore e mentre tutti gli inglesi che vivevano nel piccolo villaggio attorno al forte venivano barbaramente massacrati, i franco-canadesi non subirono alcune molestie.

Il maggiore Campbell ed il tenente McDougal furono inviati dal comandante a parlamentare con Pontiac, che contro ogni regola li fece prigionieri e lasciò che in seguito Campbell fosse torturato a morte. Intanto una spedizione di soccorso era partita da Niagara; era guidata dal tenente Cuyler ed era composta da novantasei uomini che portavano viveri e munizioni alle barche. I soccoritori vennero intercettati presso la foce del Detroit dai Wyandots e solo due barche riuscirono a sfuggire all’agguato. Su una di esse si trovava il tenente Cuyler, che nonostante fosse ferito riuscì a raggiungere Fort Niagara.

I soccorsi veri e propri giunsero soltanto in luglio a bordo di una flottiglia di ventidue imbarcazioni cariche di cannoni, viveri e munizioni per duecentottanta uomini, fra i quali il famoso Robert Rogers e venti dei suoi rangers. Comandava la spedizione il capitano James Danzell che riuscì a risalire il Detroit grazie ad una fitta nebbia. Gli indiani erano in agguato e quando il vento ripristinò la visibilità aprirono il fuoco, ma ormai l’obbiettivo era vicino e i danni furono per gli inglesi ridotti al minimo, vi furono quindici fra morti e feriti.

All’arrivo dei rinforzi la guarnigione esultò e Danzell, dal canto suo, era ansioso di attaccare il campo di Pontiac, che il capo ottawa, con ostentata determinazione, aveva organizzato a sole tre miglia a nord del forte e sulla stessa riva del fiume. Si opponeva allo scontro diretto e immediato il maggiore Gladwin, comandante del forte, ma alla fine autorizzò il capitano ad agire.

Alle due del mattino del 31 luglio 1763, James Danzell si mosse con duecentocinquanta uomini. Quando a metà strada fra il campo indiano e il forte i soldati iniziarono l’attraversamento di un ponte sul torrente Parent, che a causa di quello che accadde avrebbe preso il nome di “Corsa Sanguinosa”, dal buio echeggiò il grido di guerra degli ottawa e una scarica di fucileria abbatté metà dell’avanguardia confederale. Terrorizzati per l’aggressione che non avevano saputo prevedere, i soldati superstiti corsero indietro inciampando sui morti e sui feriti ma trovarono Danzell con la spada in pugno e più che mai intenzionato a non retrocedere, raccolse le sue truppe, guidò una carica lungo il ponte ma gli ottawa, pur scomparendo dietro gli alberi e i cespugli continuavano a sparare con i fucili che gli avevano venduto a caro prezzo i coloni, i trafficanti d’armi ed anche le autorità della Confederazione.

Il giovane capitano comprese in quel momento la riluttanza del comandante del forte a concedergli l’autorizzazione a muoversi, ora capiva ma era troppo tardi.

Tentò di ritirarsi ordinatamente per non aggravare la situazione, si mise alla retroguardia, proteggendo il ritorno dei suoi uomini. Dalle fucilerie che provenivano dalle due parti del sentiero fu colpito due volte, poi mentre cercava di soccorrere un compagno ferito, un colpo lo uccise.

Questi alcuni episodi di quelle guerre per le conquiste di terre e territori. Logico chiedersi da quale parte stia la ragione. Da sempre le popolazioni si muovono nel mondo per trovare luoghi adatti alla sopravvivenza, da sempre si scontrano con chi quelle terre le abita: i conflitti sono enormi e sanguinosi. A fomentare questi conflitti, a trarne profitti e convenienze in genere erano le compagnie commerciali come tutt’ora, anche se è cambiato il nome delle industrie che producono materiale bellico e non bellico. Restano le atrocità e le disumanità perpetrate da una parte e dall’altra: è così quando vi sono le guerre, tutte le guerre, ed è per questo che dovrebbero essere evitate, visto che l’Uomo è provvisto di ragione: gli eventi succedutesi dopo gli anni di cui abbiamo parlato (il riferimento alle guerre del 21° secolo non vorrebbe essere casuale in questi giorni dell’aprile 2022) stanno a dimostrare che purtroppo, così non è ma noi continuiamo a sperare il contrario. Il Capo Pontiac fu poi ucciso in circostanze mai chiarite dopo i suoi tentativi di riavere almeno in parte le terre e le dignità sottratte ai suoi popoli da parte di invasori.

Il prossimo intervento vorremmo dedicarlo agli indiani Cheyenne, i quali con le genti irochesi ebbero a che fare perché da loro combattuti e sospinti ad emigrare dal nord verso il sud-est degli attuali Stati Uniti.

A cura di Enrico Pinotti

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