28 febbraio 2022

VIVIAN MAIER INEDITA a cura di Marco Salvario

 VIVIAN MAIER

INEDITA

a cura di Marco Salvario

Musei Reali – Sale Chiablese – Piazzetta Reale, Torino

9 febbraio – 26 giugno 2022



Il giorno della morte, il 21 aprile del 2009, pochissimi la conoscevano, eppure si stava per aprire per lei la storia che doveva fare entrare il suo nome tra i dieci fotografi che meglio hanno documentato gli anni del sogno americano, densi di speranze e contraddizioni.

La sua biografia è scarna e non priva di lacune.

Vivian Maier nasce a New York nel 1926 e ha un fratello di sei anni più grande. Nel 1929 i suoi genitori si separano e la madre la porta con sé in Francia, nell'Alta Provenza. Nove anni dopo, madre e figlia si trasferiscono a Chicago; giovanissima Vivian lavora come commessa e come bambinaia. Nel 1951 è a New York, dove acquista la sua prima macchina fotografica Rolleiflex; a volte non ha i soldi neppure per fare sviluppare i rullini con le fotografie. Tornata a Chicago nel 1956, è assunta al servizio della famiglia Gensburg e si occupa dei tre figli; lavorerà con loro per più di dieci anni. Durante il 1959 compie un lungo viaggio che la porta anche in Italia e a Torino. Nel 1975 muore sua madre e due anni dopo suo fratello. Trova impiego presso alcune famiglie, ma le sue condizioni economiche peggiorano. Ha più di sessanta anni, quando i figli della famiglia Gensburg la rintracciano in miseria e la soccorrono; ricoverata in una casa di riposo dopo una brutta caduta, muore nel 2009. Vivian non lo sa e non può immaginarlo, ma il mondo sta per accorgersi della sua bravura.

Nel 2007 i beni contenuti in un box di cui non veniva pagato l'affitto da anni, sono messi in vendita all'asta; negli Stati Uniti, dove gli spostamenti tra stato a stato sono frequenti, è un fenomeno comune.

Interessato al materiale fotografico che spera possa servigli per illustrare un libro sulla storia locale, il venticinquenne John Maloof se lo aggiudica e comincia a riordinarlo; si tratta di catalogare decine di migliaia di negativi, foto, pellicole e nastri audio. Dopo un attento esame, il valore artistico e l'importanza storica di tali reperti diventa evidente. Maloof trova su una busta il nome della probabile autrice e cerca di rintracciarla: quello che trova è il necrologio di Vivian Maier, appena scomparsa. Maloof riesce a mettersi in contatto con gli autori del necrologio, i tre fratelli Gensburg, e con altre persone che hanno conosciuto Vivian. Organizza a Chicago nel 2011 una mostra di fotografie che ha successo e che sarà seguita da molte altre, arricchite ogni volta da nuove opere.

La mostra INEDITA di Torino è un omaggio che aggiunge molte novità alla produzione di Vivian Maier già conosciuta e amata dal pubblico.



I curatori della mostra torinese hanno ordinato il materiale in diverse categorie, la prima delle quali si intitola “Autoritratto e autorappresentazione”, e offre una ricerca di riflessi, di ombre e di contrasti, sempre di grande efficacia. Annoiato dai selfie con cui giovani amici vanitosi mi costringono a contemplare il loro volto deformato dalle lenti, da smorfie, con sorrisi esagerati e improbabili, mentre sullo sfondo si distingue a fatica qualche monumento, posti di vacanza, personaggi popolari di cui ignoro senza vergogna nome e mestiere, questa iniziale serie di immagini si è rivelata subito una gioia per i miei occhi e per la mia anima, ammesso che io ne abbia una, e mi è servita a conoscere meglio il personaggio Vivian Maier. Capelli corti, sempre un po' spettinati, occhi grandi, viso acqua e sapone, un'espressione malinconica e timida, quasi imbarazzata di essersi lasciata sorprendere da se stessa.

Grande la capacità creativa e, nelle immagini, il bianco e nero esprime al massimo la sua bellezza poetica.



L'archivio fotografico della Maier è un documento affascinante di un periodo importante della storia americana e non solo, una collezione di situazioni, di persone, di mode; testimonianza di vita vissuta, con i vestiti del tempo, i cappelli, le pettinature, gli occhiali, le automobili, gli atteggiamenti e i comportamenti della gente per strada.

Non ci sono personaggi importanti immortalati negli scatti, ma incontriamo uomini e donne, soprattutto residenti dei quartieri più operai, mentre vivono la loro vita di tutti i giorni, da soli o in gruppo, di corsa o in attesa. Ne scaturisce un racconto semplice e senza ipocrisie, senza enfasi e sempre obiettivo, che va oltre le persone per cercarne i gesti, la stanchezza, i momenti di abbandono o di complicità.



Se la visione è sempre calda e intensa su una realtà di cui l'artista si sente partecipe, non si può non emozionarsi davanti alle immagini dedicate all'infanzia.

Vivian Maier ha contribuito all'educazione di molti bambini e li ha amati, pur non avendone mai avuti di propri, e ricordiamo che è grazie alla riconoscenza dei tre figli della famiglia Gensburg, che ha avuto soccorso nei momenti più tristi della sua esistenza; la sua stessa infanzia è stata segnata dal divorzio dei genitori ed è finita presto, dovendo cominciare a lavorare giovanissima.

Nelle immagini si percepisce uno sguardo allegro e triste al tempo stesso, quasi il rimpianto di chi assiste a spensieratezze e a dolori ingenui, sapendo che appartengono a un'età che a lei è stata negata.

Ho trascurato in questo articolo molti momenti importanti della mostra per ragioni di tempo e di spazio; volutamente non ho recensito le foto a colori, nelle quali l'artista mi è sembrata meno a suo agio, e hanno valore solo di curiosità le foto scattate in Italia nel 1959.

Ugualmente, questa di Vivian Maier è una di quelle mostre particolari da cui si esce soddisfatti, ricchi di spunti su cui riflettere, affascinati dalle immagini e, devo ammetterlo, persino un po' innamorati dell'artista.


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Miriam Ballerini a Fagnano Olona (VA)