26 febbraio 2022

IL PNRR E IL RUOLO DELLA POLITICA Di Antonio Laurenzano

 


IL PNRR E IL RUOLO DELLA POLITICA

Di Antonio Laurenzano

Corsa ad ostacoli per il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza elaborato dall’Italia per superare l’impatto del Covid-19 con i suoi devastanti effetti. La pandemia ha colpito l’economia italiana più di altri Paesi europei. Nel 2020, il prodotto interno lordo si è ridotto dell’8,9 per cento, a fronte di un calo nell’Unione Europea del 6,2. La crisi si è abbattuta su un Paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il Pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e del 43,6 per cento. Parte da questi dati macroeconomici il quadro strategico di riforme strutturali da realizzarsi entro il 2026 per accedere alle risorse del Next Generation EU. Un volano per stimolare in modo significativo gli investimenti pubblici a sostegno della domanda aggregata, premessa della ripresa economica. Sul tappetto una ricca dotazione: per l’Italia risorse quantificabili in circa 209 miliardi di euro, di cui 81,4 in sussidi.

Il pagamento dei fondi comunitari è sottoposto al conseguimento di risultati nel rispetto degli impegni che il governo ha preso a livello europeo lo scorso dicembre. Impegni per le “riforme verticali” (nei singoli settori, come la giustizia, la scuola, la pubblica amministrazione) e per le “riforme orizzontali” (che interessano più settori, come la riforma fiscale e del mercato del lavoro). Superata entro l’anno la fase iniziale con i vari passaggi di natura principalmente legislativa e regolatoria, lo step successivo, quello che verosimilmente inizierà nel 2023, riguarderà l’operatività del piano (implementazione delle riforme e realizzazione degli investimenti necessari per raggiungere gli obiettivi). Ma con le elezioni politiche della primavera 2023 cosa succederà al Piano italiano? Quale maggioranza parlamentare uscirà dalle urne? Continuità o discontinuità d’azione?

Certamente, l’attuale Pnrr con l’imprimatur della Commissione Ue rappresenta il programma del governo Draghi, il faticoso risultato di compromessi raggiunto all’interno della composita squadra di Palazzo Chigi. Sacrifici elettorali che ogni partito della coalizione ha accettato di fare per salvaguardare la convergenza nazionale intorno al premier. Una linea politica unitaria sollecitata dal Presidente Mattarella nel suo discorso al Parlamento in occasione del giuramento. E’ ipotizzabile, però, che già nella campagna elettorale dei prossimi mesi, possano registrarsi le prime schermaglie: ogni forza politica, per calcoli elettorali, potrà disconoscere le scelte operate in ambito governativo. Facile immaginare le conseguenze politiche all’indomani del voto del 2023. Il Pnrr, nel pieno della sua operatività, correrebbe il rischio di impantanarsi nelle stucchevoli diatribe fra partiti arrestando il flusso finanziario di Bruxelles. Addio ripresa economica, addio sogni di gloria legati alla innovazione e alla modernizzazione del Sistema Paese. Una ipoteca pericolosa, piena di incognite.

Futuro incerto. In questo contesto emergenziale la politica è chiamata a fare presto e bene per superare la discordanza tra ciclo elettorale e ciclo del Pnrr. E la situazione non volge al meglio, sia per i venti guerra che soffiano impetuosi ai confini dell’Ue, sia per il rimbalzo dell’inflazione e del caro energia. Entro il 30 aprile il governo deve presentare il Def, Documento di economia e finanza, e deve scriverci i numeri programmatici per il prossimo triennio, quindi le quantità e la qualità delle stesse riforme. Serve chiarezza per riforme credibili su fisco, giustizia, concorrenza e P.A., con tempi di attuazione certi. Il rispetto delle scadenze è uno degli indicatori cui le istituzioni europee valutano l’operato degli Stati membri. Con queste riforme la crescita italiana si attesterebbe tra il 3 e il 4%, dando sostenibilità al debito pubblico che in rapporto al Pil scenderebbe di circa il 5% all’anno. In caso contrario, la crescita italiana tornerebbe all’1% dal 2024 in poi.

Occorre una notevole e coesa volontà politica per dare credibilità all’azione di governo, accantonando ogni tentazione di caccia al voto per privilegiare gli interessi superiori di un Paese in forte affanno socio-economico. La crescita non scaturisce solo da variabili economiche. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Fattori che determinano il progresso di un Paese a patto di una “unità intesa non come una opzione ma come un dovere.”


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Miriam Ballerini a Fagnano Olona (VA)