14 febbraio 2022

I VENTI ANNI DELLA MONETA UNICA, FRA LUCI E OMBRE Di Antonio Laurenzano

 


I VENTI ANNI DELLA MONETA UNICA, FRA LUCI E OMBRE

Di Antonio Laurenzano

Passato inosservato il compleanno dell’euro. Per le tante incertezze operative legate alla pandemia, nessuna celebrazione per i venti anni di vita della moneta unica. Nel 2002 l’euro era stato salutato come il simbolo della integrazione monetaria del Vecchio Continente, garanzia di stabilità e prosperità, preludio alla costruzione politica della comune casa europea. Da Lisbona a Helsinki ad Atene un festoso changeover per il passaggio da dodici monete nazionali all’euro. Oggi è la moneta ufficiale di 340 milioni di cittadini europei in 19 Stati membri dell’eurozona ed è la seconda valuta più utilizzata a livello internazionale. Sulla scia dell’espansione del mercato unico, l’euro è diventato uno dei risultati più tangibili dell’integrazione europea insieme alla libera circolazione delle persone e al progetto Erasmus per gli studenti universitari.

Sono stati venti anni non sempre facili, una corsa ad ostacoli iniziata all’insegna della diffidenza dei mercati e dello scetticismo di alcuni economisti, superata nei primi anni grazie al concorso di due fattori: la Cina che, producendo merci a basso costo, ha impedito l’inflazione a livello mondiale e la Fed (la banca centrale americana) che, immettendo enormi liquidità nell’economia globale, ha tenuto bassi i tassi d’interesse. Un mix finanziario di grande effetto interamente assorbito dalla crisi dei subprime 2007-2008 con lo scoppio negli Stati Uniti della “bolla” immobiliare, punto di partenza della recessione mondiale. Senza la liquidità degli anni precedenti i mercati hanno richiesto rendimenti sempre più alti per comprare i titoli del debito dei Paesi più deboli per finanziarne i bilanci in rosso. La crisi finanziaria si è poi estesa con gravi ripercussioni nel 2010-2012 sul debito sovrano europeo, mettendo a nudo il problema dell’euro: essere una moneta senza un governo, senza uno Stato, senza una banca capace di garantire un intervento illimitato in caso di difficoltà. E’ l’anomalia di un’Europa unita sotto il segno della moneta, con la Banca centrale europea, unica istituzione federale, priva del sostegno di una politica economica comune e un coordinamento delle politiche fiscali e previdenziali. Fuori da un comune ombrello protettivo, ogni Paese risponde da solo dei debiti del suo Governo, delle sue banche, delle sue imprese con la conseguenza che l’assenza di aiuti da parte di Bruxelles e Francoforte provoca l’aumento dei tassi d’interesse, la rarefazione del credito, l’arresto della crescita. Senza una reale unione economica Paesi forti sempre più forti, Paesi deboli sempre più deboli, con economie nazionali troppo diverse fra loro, cicli economici asimmetrici e fattore di mobilità molto basso.

Dalla disastrosa tempesta finanziaria, ne sono conseguiti la riforma del quadro di governance dell’area dell’euro, l’istituzione del meccanismo comune di sostegno per i Paesi in difficoltà finanziaria e un sistema di vigilanza comune per le banche europee: si è riconosciuta cioè la necessità di rafforzare il ruolo di una cabina di regia a livello comunitario. Tutto questo ha portato l’euro a fortificarsi, a dotarsi di una buona forza d’urto contro le manovre speculative dei mercati e a renderlo una moneta di elevato standing internazionale, caratterizzata da una solida stabilità del cambio e, fino al pre-Covid, da una discreta stabilità dei prezzi.

In questa rinnovata dimensione comunitaria, azzerato ogni rigurgito nazionalistico, è stata significativa la risposta collettiva per fronteggiare i rovinosi effetti economici della pandemia: l’Ue ha adottato decisioni senza precedenti per proteggere vite e mezzi di sostentamento, integrando le politiche monetarie di sostegno della Bce. Particolarmente efficaci l’assistenza finanziaria SURE che ha contribuito a proteggere circa 31 milioni di posti di lavoro e l’innovativo piano per la ripresa dell’Europa, Next Generation EU, uno straordinario volano di crescita e sviluppo verso il futuro. Ma c’è ancora molto da fare.

Archiviata la stagione dell’austerità con le sue ricadute negative sul ciclo economico, è auspicabile una reale riforma del Patto di stabilità in grado di legittimare la governance economica dell’Ue, rafforzarne il suo ruolo nell’economia globale per uno sviluppo sostenibile. Per consolidare la ripresa dell’economia, serve una finanza pubblica espansiva con misure e sostegni concreti d’immediata attuazione a supporto della capacità del sistema produttivo dell’eurozona. Una finanza pubblica che non può più svilupparsi a debito con ricorrenti scostamenti di bilancio, ma che deve essere alimentata da una crescita economica stabile. Dalla revisione delle ferree regole del Patto di stabilità si attendono politiche economiche in grado di affrontare le sfide future dell’Ue. E quella più imminente è l’impennata dell’inflazione che peserà parecchio sulle tasche dei consumatori. La combinazione caro bollette-carrello della spesa sta già producendo un drammatico effetto povertà. Chiara la direzione di marcia dell’euro in prospettiva: puntare con unità di azione al mercato dei capitali unico, all’unione fiscale e al completamento di quella bancaria per assicurare sviluppo e coesione sociale. Per spazzare via i proclami folli di chi pensa di difendere l’interesse nazionale tornando alle vecchie monete, ignorandone le drammatiche conseguenze per investitori e risparmiatori, e per la stessa sovranità finanziaria dell’Europa.

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