19 luglio 2021

IL RECOVERY FUND E I MALI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE di Antonio Laurenzano

 


IL RECOVERY FUND E I MALI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

di Antonio Laurenzano

Esame superato. Ok dell’Ue al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin) dei 27 Stati membri ha dato il via libera ai primi 12 piani, fra cui quello presentato dal Governo Draghi. In arrivo nelle casse del Tesoro un prefinanziamento di 25 miliardi di euro in un unico versamento, pari al 13% dell’importo di 191,5 mld. dei fondi assegnati (sovvenzioni e prestiti).

Per Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Slovacchia e Spagna si volta pagina. Di rilevante interesse le aree di intervento definite nel regolamento che istituisce Next Generation EU, il pacchetto per la ripresa volto a rilanciare l’economia dell’Ue dopo la pandemia di Covid-19. In particolare, la transizione climatica e la trasformazione digitale rappresentano le sfide principali per disegnare un futuro diverso nel segno della solidarietà europea.

Il percorso di Next Generation EU durerà fino al 2026 e ogni anno ci sarà un esame della Commissione: i bonifici di Bruxelles arriveranno solo se si raggiungono gli obiettivi nei tempi previsti dal calendario. Per l’Italia l’apporto dei fondi europei, in misura così cospicua, è un’occasione per cambiare la nostra economia, per tornare a crescere e guardare con ottimismo ai nostri conti pubblici, in perenne apnea finanziaria. “Il Recovery Fund, ha commentato il premier Draghi, sarà la grande assicurazione sulla vita, sulla crescita e sulla prosperità del nostro Paese, per attrarre sempre più capitali esteri per investire, fare impresa e creare ricchezza.” Occorre impegno, spirito di coesione e forte collaborazione tra tutte le istituzioni per superare divisioni e miopia politica.

Il primo scoglio sono le riforme, da quella della giustizia (che tati problemi sta già creando in Parlamento) a quella fiscale, e soprattutto a quella della Pubblica Amministrazione. Una P.A. debole e impreparata rappresenta un problema molto serio per l’attuazione degli investimenti previsti a livello comunitario. Una legislazione debordante, frammentata e contraddittoria, una burocrazia amministrativa snervante, sorda alle esigenze di cittadini e imprese, con livelli di efficienza imbarazzanti, rischiano di compromettere il trasferimento delle risorse economiche previste dal Recovery Fund. Delle 48 riforme che saremo chiamati a realizzare entro il 2023, 8 riguardano la “sburocratizzazione” della nostra P.A. “Non ci sono più alibi e non c’è più tempo, ha dichiarato il Ministro Brunetta, l’efficienza della Pubblica Amministrazione è una priorità essenziale per la ripresa, i paladini dell’immobilismo se ne facciano una ragione.”

Sono allarmanti le risultanze che emergono dal rapporto della Cgia di Mestre riferito a un’indagine della Commissione europea sui servizi pubblici dei 27 Stati membri: solo il 22% degli italiani li considera soddisfacenti, contro la media europea del 46% (92% in Lussemburgo, 86% nei Paesi Bassi,81% in Finlandia, 55% in Germania, 50% in Francia, 38% in Spagna). Chiaro il commento finale degli analisti della Cgia: ”la P.A. va rifondata, non riformata, e per migliorarne l’efficienza serve innanzitutto sfoltire il nostro ordinamento, incentivare il meccanismo del silenzio-assenso, scoraggiare il ricorso alla burocrazia difensiva con la fuga dalla firma dei funzionari pubblici, oltre a una legislazione più chiara e trasparente, alla semplificazione delle procedure. Dulcis in fundo, la trasformazione digitale per offrire servizi a cittadini e imprese in modo semplice e diretto, superando ogni disparità regionale, intergenerazionale e di genere che frenano lo sviluppo dell’economia.

Notoriamente la bassa produttività del settore pubblico italiano ha rappresentato la palla di piombo dell’intero sistema produttivo, un ostacolo al miglioramento dei servizi offerti e agli investimenti pubblici. Si vuole ora invertire rotta. Come è ben evidenziato nel testo del Piano Draghi, “uno dei lasciti più preziosi del PNRR deve essere l’aumento permanente dell’efficienza della P.A. e della sua capacità di decidere e mettere a punto progetti innovativi, per accompagnarli dalla selezione e progettazione fino alla realizzazione finale.” Un’operazione che richiede la competenza dei suoi dirigenti per rendere i processi di gestione e utilizzo delle risorse veloci, efficaci ed efficienti. Ribaltare dunque il negativo posizionamento in Europa: per il grado di efficienza dei servizi prestati, siamo al 23° posto su 27. Un posizionamento che evidenzia un grave problema per il nostro Paese se si considera che la P.A. italiana rappresenta più del 16% del Pil pari a circa 253 miliardi di euro. Inoltre, la P.A. è il “primo datore di lavoro” italiano con circa 3,12 milioni di addetti e i dipendenti pubblici rappresentano il 5,3% della popolazione e il 13,6% degli occupati totali.

Per effetto del blocco delle assunzioni, collegato a 132 mila pensionamenti registrati negli ultimi dieci anni, l’età media all’interno della P.A. sfiora i 55 anni, con punte fino ai 58-60 anni, con ripercussioni sui costi indiretti per l’intero Sistema Paese in termini di potenziale crescita, in particolare della produttività. Necessita una inversione di tendenza alla quale il PNRR potrà dare una svolta sostanziale per trasformare la Pubblica Amministrazione da “peso aggiunto” a “fattore di sviluppo” per i cittadini e per l’economia italiana.


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