CARCERI: “LI ABBATTIAMO COME VITELLI”
Santa Maria Capua Vetere: penso che i cattivi non siano solo le guardie ma
una buona parte della società che vuole che la pena faccia male. È ovvio che
sono garantista, e non bisogna mai generalizzare, ma il linguaggio usato sulle
chat degli agenti è certamente un dato certo. Il magistrato riporta: “Li
abbattiamo come vitelli… domate il bestiame… Alcuni denudati in ginocchio,
colpiti alle spalle”, per non parlare delle immagini del video che sta
girando dove si vede un invalido in carrozzella bastonato da un agente.
Cerchiamo di fare un ragionamento: i protagonisti di quelle frasi e di
quelle immagini sono cattivi? Non penso, sono vittime anche loro della cultura e
della mentalità carceraria. Piuttosto sono molto più cattivi e colpevoli alcuni
politici e funzionari ministeriali che li mettono nelle condizioni di compiere
violenze. Penso che questo sia il vero problema, difficile da risolvere. In
fondo, buona parte della società vuole che chi commette un reato o fa del male
ne riceva altrettanto e il carcere li accontenta. Per questo, poca cosa possono
fare i magistrati di sorveglianza, i direttori e le guardie carcerarie
illuminate che si ribellano a quello che la politica e il popolo vuole. Vi
ricordate che reazioni ci sono state per quei pochi detenuti vecchi e malati,
pieni di tumori, condannati per mafia, che sono usciti dal carcere? Non serve a
nulla fare delle buone leggi, migliorare le condizioni carcerarie se non si
educa, ancora prima dei detenuti, alla legalità la società e chi lavora in
carcere. Chi fa un reato e chi fa del male non deve ricevere altro male, ma
deve ricevere tanto, ma tanto, bene da convincerlo a tornare sui suoi passi.
L’arresto di alcune guardie? Alcuni politici e molte persone penseranno che
le guardie arrestate stanno subendo un’ingiustizia, perché in fondo hanno fatto
il loro dovere e vengono pagati anche male. Molti credono che per sconfiggere la
mafia e la criminalità ci voglia il pugno di ferro, tanto carcere duro e magari
ergastolo ostativo, ma dopo 30 anni mi sembra che i risultati non si vedano.
Forse, dico forse, non converrebbe cambiare strategie e combattere questi
fenomeni con legalità, intelligenza, speranza e umanità? Ma per fare questo
bisognerebbe prima educare e convincere la società che almeno in carcere, più
che fuori, la Costituzione e la Legge debbano essere rispettate da tutti e che è
utile per tutti che la pena diventi la medicina e non più la malattia. È
difficile che nelle nostre “Patrie Galere” un mafioso o un delinquente smetta di
essere mafioso o delinquente, ed è facile che chi lavora dentro perda la sua
umanità. È storicamente provato che ripagare il male con altro male non è un
deterrente, anche quando è previsto dalla legge.
Una mia lettrice, che ha letto quasi tutti i miei libri, dopo aver visto il
video mi ha scritto: “Ma allora è tutto vero!”. Le ho risposto che del carcere
si sanno poche cose perché è il luogo più illegale di qualsiasi altro posto e
non è cancerogeno solo per i detenuti, ma a volte anche per chi ci lavora. In un
famoso esperimento, Philip Zimbardo attribuì a un gruppo di studenti, a caso, i
ruoli di “guardia” e di “detenuto”, in un ambiente carcerario simulato. Dopo una
settimana lo studio fu interrotto perché quei normalissimi studenti si erano
trasformati in guardie brutali e in detenuti emotivamente distrutti. In seguito
descrive pur come certe dinamiche di gruppo possano trasformare in mostri uomini
e donne perbene, come ad esempio è successo che soldati americani, prima degni
di stima, siano poi giunti a perpetrare torture sui detenuti iracheni ad Abu
Ghraib.
Potrei portare qualche mia personale testimonianza, ma sarei troppo di
parte, preferisco riportare quella di un mio compagno, Matteo Greco, che ho
inserito anche nella mia prima tesi di laurea “Vivere l’ergastolo”:
Ormai da parecchie ore mi sono addormentato, ad un tratto mi sveglio di
soprassalto, alcuni secondini hanno aperto la porta blindata ed il cancello,
entrano in cella, circondando la branda e mi dicono: “Alzati, devi partire”.
“Per dove?” Un secondino, con la mano destra, mi prende per i capelli tirandomi
fuori del letto, un altro mi dà un pugno dall'alto verso il basso sul collo.
Cerco di difendermi. Mi si buttano addosso in sei: pugni e calci,
riesco a dare qualche pugno, cado per terra, mi rialzo, cado per terra, mi
rialzo di nuovo finché ricado per terra per non avere più la forza di rialzarmi.
In faccia sono una maschera di sangue, non ho detto una parola, né un lamento,
si sono sentite solo le grida dei secondini. Mi portano all‘ufficio matricola,
ancora tutto stordito mi vengono messi i tre pizzi (manette) salgo su un furgone
blindato. Vengo fatto scendere all‘aeroporto militare. Non chiedo dove mi stanno
portando e dove sono i miei vestiti. Infatti, l'unico vestiario che ho è il
pigiama che indosso ed un paio di ciabatte di plastica ai piedi. Mi fanno salire
su un elicottero militare, un rumore assordante, non mi è stata data la cuffia.
Dopo molte ore arrivo all'isola di Pianosa e lì mi attendono una trentina tra
secondini, carabinieri e finanza. È il 22 luglio 1992, ore 19 e 20, un caldo
insopportabile. Finalmente è spento l'elicottero, una liberazione per le mie
orecchie, ancora tutto stordito mi fanno scendere. Appena metto i piedi a terra
alcuni secondini mi danno pugni e calci, vengo preso di peso come un fiammifero
e vengo lanciato dentro una Jeep, sbatto la testa sulla sbarretta del bracciolo
del seggiolino, le manette mi vengono messe ancora più strette, bloccando il
passaggio del sangue dei polsi. Mi danno un pugno sulla testa gridando: “Abbassa
la testa, bastardo”. Dopo cinque minuti di strada mi fanno scendere con uno
spintone, cado per terra, per istinto mi porto l'avambraccio al viso
riparandomi, vengo sollevato di peso con schiaffi e calci, fatto entrare in un
fabbricato e messo in una cella d‘isolamento, tre metri per due, una branda di
ferro massiccio saldata per terra, un lavandino d'acciaio saldato al muro, sopra
un rubinetto con acqua salata non potabile. L'isola di Pianosa è sprovvista
d'acqua dolce, è portata sull'isola da una nave cisterna, che la preleva da
Piombino. Per bere si consuma acqua minerale imbottigliata. La direzione passa
solamente un litro al giorno, l‘altra la dobbiamo comprare da noi se
non vogliamo patire la sete. A fianco del lavandino c'è il gabinetto alla turca,
a destra una mensola di ferro saldata al muro, a terra, nel mezzo, un
seggiolino. I muri sono umidi, si sono formati alcuni canaletti che conducono
fino al pavimento, l'acqua scorre come nei campi di riso. Mi viene ordinato di
spogliarmi, rimango nudo, fatto abbassare a quattro zampe, mi vengono allargate
le chiappe per guardare meglio nel buco, mi fanno aprire la bocca, alzare la
lingua per ispezionarmi meglio, mi guardano persino dentro le orecchie e i fori
del naso. Ad un tratto si scagliano di nuovo come belve assetate sul mio povero
corpo, il pestaggio dura alcuni minuti lunghi come un’eternità! Svengo. Riprendo
i sensi con una puntura fattami da una dottoressa, la quale vedendomi esclama:
“Ma come è ridotta questa persona?”. Il suo lavoro (perché obbligata) è di far
finta di nulla, infatti, nel certificato per la medicazione scrive: “Trattasi di
una piccola escoriazione sulla fronte scivolando in cella”. Mi è imposto di
firmare che sono caduto da solo. Spesso entrano in cella con una sbarra per
battere le sbarre, mi ordinano di stare dritto e di abbassare la testa, di
guardare per terra, con le mani dietro la schiena e sono costretto a salutare
senza ricevere risposta, sia all'entrata dei secondini, sia all'uscita, per
quattro volte al giorno. (…)
Carmelo Musumeci
Luglio 2021
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