12 aprile 2021

PER TORNARE IN PRESENZA BISOGNA RIDURRE LE CLASSI-POLLAIO! Riflessioni sulla scuola nell’età del Covid a cura di Vincenzo Capodiferro

 


PER TORNARE IN PRESENZA BISOGNA RIDURRE LE CLASSI-POLLAIO!

Riflessioni sulla scuola nell’età del Covid


Risuona oggi più che mai il fatidico verso de’ “L’ultima ora di Venezia”: «Il morbo infuria, il pan ci manca…»! Ma le classi pollaio non si toccano! Non si rivedono i criteri di assegnazione delle classi. La Scuola durante l’età del Covid ha pagato duramente lo scotto della crisi. La Dad ha cercato di rimediare all’immane flagello che ci ricorda i tempi della Spagnola e della peste. Però la Dad, a lungo andare, è come il dado star, il brodino. Non può assicurare una formazione proficua. Eppure oggi più che mai, oltre ai banchi mobili, tanto promessi, in ogni istituzione scolastica, si ripropone il forte, atavico problema delle classi pollaio, proprio per evitare quell’assembramento tanto deleterio, il quale negli anni a venire costituirà sempre più fonte di insicurezza, per l’incuria dei morbi che si intensificheranno, anche a seguito dei turbolenti cambiamenti climatici in atto. Si insiste tanto sul rientro in presenza, ma se non si rivedono i criteri di assegnazione delle classi, la sicurezza, la salute si va a far benedire, a meno che non bisogna continuare ad andare avanti con le mezze classi, i mezzi uomini. Si fanno tante battaglie contro gli allevamenti industriali dove gli animali vengono ammassati come dannati tra le turbe dell’inferno, e non si affronta in maniera esauriente e duratura questa angheria delle classi pollaio. Il peso fiscale grava sempre su quelle stesse popolazioni flagellate, che oggi più che mai richiedono quei servizi pubblici che spesso vengono decurtati, benché questo onere sia grave senza dubbio, soprattutto nei periodi di crisi, allorquando vediamo la disoccupazione e la miseria dilagare, in conseguenza degli effetti di questa nefanda pandemia, e ben superiormente nelle circostanze attuali, in cui il Governo, animato dalla benefica mira di veder sollevati i suoi amatissimi concittadini, si degna di ordinare che si operino per tutti i rami e sotto tutti i sensi i maggiori sostegni economici possibili. Certo non dobbiamo in questa occasione far ignorare che per effetto di superiori determinazioni ledendo alla pubblica Scuola, il Seminarium Rei Publicae, è a rischio la stessa Repubblica: si fanno tante battaglie per ridurre la densità degli allevamenti industriali degli animali, e per le classi-pollaio? A proposito rammentiamo quanto ebbe ad avvertire un eccellentissimo Ministro, l’onorevole Pietro Calamandrei, in occasione del discorso pronunciato al terzo congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, l’11 febbraio 1950, di come in particolare la rovina della scuola pubblica è l’inizio di un pericolo per lo Stato stesso: Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il resto lo facciano gli altri. Ed ancora risuonano solenni quelle parole. Nella pubblica scuola ognora: C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci) … Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Questa è la strada: rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni! Questa è la strada che ci riconduce ai totalitarismi. Ed ora più che mai che si dovrebbe, non si mette mano a quelle misere disposizioni, le quali da sempre penalizzano i nostri allievi, quelle per cui si aumenta la densità scolastica per aula, si mettono a disagio gli esseri umani, non si valorizzano le loro capacità naturali. Si costringono i nostri presidi a dover dirottare gli alunni da un corso all’altro, senza alcun rispetto delle loro scelte, delle loro propensioni, si accumulano i giovani come bestiame a dimorare in aule ancora inadeguate, strette, con banchi da scuola elementare e sedie scomode, al freddo, al gelo. Tutto questo debbono sopportare coloro che saranno formati per il domani e costituiranno il futuro della nostra nazione e dell’Europa intera. E come non ricordare i cari articoli costituzionali? 33 e 34? E come si possono garantire questi diritti fondamentali dell’uomo, se non si assicurano i mezzi necessari agli adempimenti che il diritto allo studio propone e dispone? Dalle cime dell’Olimpo non si scorgono i dettagli di tutto il lavoro che quotidianamente i docenti, i dirigenti e tutti gli agenti della scuola svolgono nelle classi. Di lassù si vede solo il mare sconfinato della giovinezza ed hanno in ufficio il modello di un ragazzo astratto, fatto di materiali inconsistenti: idee, carta stampata, sogni utopistici. Quando poi gli Dei dell’Olimpo vengono a visitare le scuole nostre, la loro vista non migliora ed il vivo collettivo dei ragazzi non pare loro essere una nuova circostanza che desta innanzitutto preoccupazioni di carattere tecnico. Gli insegnanti, invece, mentre li accompagnano in giro per l’istituzione, già spossati dalle loro disquisizioni teoriche, non riescono a perdere di vista la minima piccolezza tecnica. Ed uno di questi problemi, che non è una piccolezza, è proprio la densità, la sovrappopolazione scolastica, che crea ansia e disagio tra gli allievi. Si vorrebbe che girassero questi Dei nei loro istituti a vedere la reale situazione in cui incorrono gli innumerevoli studenti che frequentano la scuola pubblica. Quali problemi di gestione procurano queste classi numerose! E ricordiamo ancora ciò che rispose ad Anton Makarenko nel settembre del 1920 il direttore dell’Ufficio provinciale per l’istruzione popolare: Già… per te, come dire, andrebbe bene solo se si costruisse un edificio nuovo, ci si mettessero banchi nuovi, allora saresti pronto a lavorare. Ma il problema non sta negli edifici, fratello, qui si tratta di formare l’uomo nuovo, e voi pedagoghi, invece, sapete solo sabotare ogni cosa: l’edificio non va bene, i tavoli non sono adatti- quello che vi manca è, come dire, proprio quel fuoco… capisci? Quell’ardore rivoluzionario. Ve ne fregate proprio!... al che più in là, il pedagogo russo, in quel meraviglioso Poema Pedagogico, che Voi di certo conoscete, ebbe a rispondere che bisogna formare l’uomo nuovo con metodi nuovi. Questa è la santa causa. I problemi della scuola sono sempre gli stessi. E cosa direbbero gli alunni? Noi abbiamo edifici, che sono stati elargiti dalla prodiga mano dei padri nostri, eppure non bastano! E allora? La legge ci impone di ammassare gli allievi in mega-classi, all’unico scopo del risparmio, perché non ci sono i fondi e lo Stato è in crisi. Ma di questa crisi di sicuro non sono colpevoli le nuove generazioni e per uscire da essa non si fa tagliando a queste nuove linfe il necessario sostegno. Per risolvere il problema dell’assembramento bisogna risolvere quello delle classi-pollaio, un atavico problema, mai voluto affrontare da nessuno.


Vincenzo Capodiferro

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