12 aprile 2021

Niccolò Ammaniti – Fango –a cura di Marcello Sgarbi

 


Niccolò Ammaniti – Fango –
(Edizioni Einaudi)


Collana: Einaudi Stile libero big

Pagine: 357

Formato: Brossura

EAN: 97888069222826


Già appartenente negli anni Novanta al movimento letterario “gioventù cannibale” insieme ad Aldo Nove, Enrico Brizzi, Tiziano Scarpa, Isabella Santacroce e altri autori allora esordienti rivelatisi poi scrittori di tutto rispetto, Niccolò Ammaniti riflette in questa raccolta di racconti i tratti caratteristici della corrente pulp: ambientazioni metropolitane e storie fra il grottesco, l’horror, il giallo e la science fiction, spesso caratterizzate da toni violenti e feroce ironia e narrate con un linguaggio crudo ed essenziale. Ammaniti è particolarmente abile a “far vedere” ciò che racconta con l’uso frequente di un taglio cinematografico. Non a caso dai suoi libri sono stati tratti film quali “Branchie”, “Come Dio comanda”, o “Io non ho paura”. Anche “Fango”, molto variegato per temi e soggetti, ha ispirato con “Il capodanno dell’umanità” - uno dei migliori testi del volume – L’ultimo capodanno”, diretto nel 1998 da Marco Risi. Grevi, amari o finemente crudeli sono “Rispetto”, “Carta” e “Ferro”, secondo me tra i più riusciti.

Il racconto che dà il titolo alla raccolta, poi – la vicenda tragicomica di Albertino, assoldato da un boss di periferia - è una chicca che stuzzicherebbe la fantasia di Quentin Tarantino.

Thierry Marchand teneva gli occhi chiusi. Aspettava che la sbornia passasse per rimettersi in piedi. Il Sony Black Trinitron 58 canali lo colpì in pieno. Gli sfondò il cranio uccidendolo sul colpo. Non soffrì. Immediatamente dopo, sopra quel miscuglio senza senso di carne francese e tecnologia giapponese, atterrò il corpo senza vita di Gaetano Cozzamara.

Gli sembrò che le gambe gli si frantumassero come pezzi di gesso presi a martellate. Il cuore gli si annodò nel torace e dovette reggersi alla porta per non cadere a terra.

L’adrenalina le ingolfò le arterie, le eccitò il cuore, le gelò le braccia, le morse le gambe e le rilassò la vescica. L’urina le colò calda lungo la coscia.

Le case basse e grigie, senza intonaco, con i tondini corti e arrugginiti che spuntavano dai tetti come dita rattrappite di vecchi. I balconi di ferro. Gli infissi di plastica.

Le strade storte, sconnesse, alluvionate. I fossi. Gli orti tra le case. I cani magri e bastardi. Le 127. I recinti di frasche e filo spinato. Poi solo campi sporchi. Cicoria. Pecore. E immondizia.

La penombra, il caldo assurdo, le lame di sole sparate come da un proiettore dalle persiane chiuse su quella apocalisse felina e il fetore che nonostante la maschera era allucinante mi riempivano, è strano, di una pace diversa. Una pace ammalata. Quel silenzio innaturale mi incatenava.

© Marcello Sgarbi

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