17 marzo 2021

VALERIA FRANCO IN “COCCI DI VETRO" a cura di Vincenzo Capodiferro

 


VALERIA FRANCO IN “COCCI DI VETRO”

Narrativa giovanile ardita e sublime


Cocci di vetro. Brevi racconti a caccia frammenti di luce” è un libro di Valeria Franco, edito da Bookabook, Vignate, nel gennaio del 2021. Valeria Franco è nata a Varese nel 1999 ed è laureanda in Comunicazione alla IULM. Nel 2017 ha pubblicato un’altra raccolta di racconti: “La landa delle strane idee”. Fin dai tempi del liceo Valeria nutriva la passione dell’espressività artistica e narrativa. I suoi racconti si fondono in un unicum che si muove tra sperimentazioni ipo-realistiche scaturenti da flussi coscienziali continui e slanci vitali interconnessi con aneliti personali, scene di reality, frammenti psichici taglienti, come quei “cocci di vetro”. Questi cocci, purtroppo, il più delle volte affiorano alla coscienza e la graffiano, la feriscono. Come scrive Valeria: «Siamo il vaso di vetro che è andato in frantumi nella stanza della porta semichiusa… L’animo umano: talvolta si rivela un luogo di tenebre e irrisolti che celiamo a noi stessi dietro una maschera di integrità…». Inutile è ribadire il concetto pirandelliano di vita: «Nella vita troverai molte maschere e pochi volti». Tutta la realtà, da dopo Kant, si risolve nella fenomenologia, cioè nell’apparire, non nell’essere. Eppure questo essere c’è: sono i cocci di cui parla Valeria, i cocci di quello strano Es di Groddeck, ripreso poi da Freud. «Ma perché parliamo di cocci e non di vasi di vetro? Perché dobbiamo narrare di ciò che è rotto, di ciò che è rifiuto, di ciò che può ferire? Perché l’animo umano è proprio questo: un artistico e maestoso vaso di vetro che è stato scagliato contro il pavimento. È andato in frantumi. Uomo e umanità assieme». Ricorda “L’uomo di vetro” di Vittorino Andreoli. Siamo esseri fragili, frantumati. I cocci nell’antichità avevano varie valenze: ma in questo caso significano l’ostracismo psichico. Sono cocci che tagliano, frammenti insostenibili, che creano patologie, problemi. Bisogna smussare questi frammenti, renderli inoffensivi. Come avverrebbe in uno specchio ogni frammento riflette l’intero. Questi cocci, se bene intesi, possono servire a ricostruire la personalità. Ciò che Valeria ci getta in faccia, senza mezzi termini, con uno stile a volte aggressivo, a volte mite, uno stile variegato, molto vivo, è il tema fondamentale del naufragio esistenzialistico dell’esistenza umana oggi. Sono racconti brevi, talora lunghi, ma tutti scrigni, da cui certamente si deve dipanare la riflessione. Sono parole immediate, domante reiterate, come i “Perché?”, molte volte senza risposte, come in “Sotto l’albero dei limoni”. «Non lo so. Non lo so. Non lo so». Ci ricorda “I limoni” di Montale. «Non mi avete mai parlato. non vi siete mai chiesti il perché» grida Ettore nelle piazze, in “La magia secondo Hume”, accusato ingiustamente di aver fatto cadere una donna, uccidendola. Pare il modello greco del Diogene, il “Socrate pazzo”, o il nietzschiano Zarathustra che urla: Dio è morto! Il perché? Il cos’è di Socrate: Tì estìn? La domanda che assillava Leibniz: cur potius sit quam non sit. Perché qualcosa esiste anziché non? Perché qualcuno esiste anziché non? Perché esisto io? Domanda fondamentale dell’umanità, che faceva esclamare al Petrarca: Donde veniamo, dove andiamo, perché esistiamo? I racconti di Valeria seguono la logica del paradosso. La vita può essere dimostrata solo col credo quia absurdum di Tertulliano. La si accetta per fede. Non c’è una ragione, almeno visibile. C’è una ragione incomprensibile. «La tenebra non ha corpo. L’ombra non ha cuore. Il buio ha solo occhi. Un unico paio di occhi…». Ricomponendo questi cocci taglienti, che ti feriscono forse, ma che sono utili per la riflessione sul senso della vita, come un puzzle, questo libro ci propone un percorso narrativo non facile, di ultra-comprensione del reale psichico, ma bello. Si parte dal rotto, dal frammento e tramite un’induzione trascendentale possiamo ritrovare orme tangibili di ogni uomo, di noi stessi. Valeria è una giovane in gamba, sincera e seria, la quale ci ha lasciato queste perle luccicanti. La sua umiltà è veramente grande. Basta leggere cosa ha scritto: «Ma ci terrei a ringraziare anche coloro che non mi hanno aiutata, che volevano (o addirittura auspicavano) che fallissi».

Vincenzo Capodiferro

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