01 febbraio 2021

Massimo Bontempelli – La vita operosa - a cura di Marcello Sgarbi

 


Massimo Bontempelli –
La vita operosa - (Mondadori)


Collana: Metropolis

Pagine: 197

Formato: Brossura

ISBN: 9788840017037


Ingiustamente trascurato e sottovalutato, come altri scrittori italiani (penso per esempio a Guareschi), l’autore a cui è dedicata questa recensione è invece un esempio di invenzione stilistica, in qualche modo debitrice nei confronti delle suggestioni futuristiche e degli echi di Palazzeschi e Pirandello che qua e là si affacciano dalle pagine dei suoi racconti. Di fine cultura, dopo un esordio classico derivato anche dalla sua frequentazione della poesia, comincia a tratteggiare quadretti di vita dove lo sguardo sulla natura umana e sulle sue vicende è molto attento, spesso narrati quasi fossero una sceneggiatura teatrale. E in alcuni momenti sono una specie di diario, dove tutto può succedere e tutto può fermarsi ad un istante dall’accadere.                                                                                                                                         Anche in questo racconto, che fa parte di una raccolta pubblicata nel 1961, l’autore sembra giocare con il tempo in una sospensione tra astrazione e realtà. Non a caso Bontempelli ha aderito alla corrente artistica del Realismo magico. Senza abbandonare una prosa che resta comunque musicale e poetica, a volte divertito, a volte insidiato da quello che definisce “il suo dàimone” e che ne rappresenta la coscienza e il suo senso del destino, ci porta nella Milano “operosa” del primo ventennio del Novecento, dedita agli affari, al lavoro, agli scambi commerciali. E ci fa sorridere quando, attraverso l’esperienza dell’Io narratore, ci parla della prima pubblicità – la réclame, così come era definita – addirittura ingenua rispetto a quella di oggi.


È impossibile immaginare con qualche probabilità come si sarebbe svolta la serie

della nostra vita, se in un momento qualunque del passato avessimo compiuto

un atto diverso da quello che abbiamo compiuto.


Loro scrittori debbono essere o sentimentali o cinici, se no il pubblico si disorienta. Come quando si fa della politica ai contadini: bisogna parlare o da clerici

o da rivoluzionari.


Questo “ah” non fu un “ah” di quelli grassi, sdraiati, episcopali, che nei dialoghi

della vita indicano soddisfatta conclusione e lasciano l’animo pacato:

fu un “ah” arido, giallo di sarcasmi. I romanzieri non hanno ancora trovato

la maniera di distinguerli nella scrittura, e mettono “ah” senz’altro, in tutt’e due

i detti casi e anche nei loro infiniti intermedi e collaterali: la quale è una lacuna

non lieve dell’arte nostra.


Non è incredibile. I luoghi più lontani sono quelli da cui si ritorna più rapidamente. Ma non si ritrovano mai più.


(c) Marcello Sgarbi

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati e controllati quotidianamente.
Tutte le opinioni sono benvenute. E' gradita la pacatezza.

Il bosco in primavera