04 dicembre 2020

L'invettiva di Umberto Lucarelli a cura di Vincenzo Capodiferro

 


L’INVETTIVA

Un romanzo pungente, satirico e provocatorio, di Umberto Lucarelli


L’invettiva” è un romanzo di Umberto Lucarelli, edito da Bietti, Milano 2020. Umberto Lucarelli ha pubblicato vari scritti, che abbiamo anche recensito su Insubria Critica, tra cui da ultimo Vicolo Calusca (Bietti 2018). «Quella di Lucarelli» - scrive di lui Davide Steccanella - «è invece un’amara, più che rabbiosa, invettiva contro il mondo delle cooperative sociali, che non è immune dall’attuale sfascio del lavoro subordinato e salariato, un tempo neppure troppo lontano, baluardo di lotte e conquiste sociali. il libro è dedicato appunto ai salariati, che l’autore incita a “ribellarsi con fermezza”, a costo, come accade al protagonista, di perdere anche quelle poche risorse che a mala pena consentono oggi di sopravvivere in un tempo sempre più spietato, e che l’autore, cha l’ha direttamente sperimentato sulla propria pelle, ci descrive in tutta la sua crudezza. Un racconto avvilente di furbizie, sopraffazioni e ipocrisie che inizia e si conclude senza virgole e senza pause secondo uno schema narrativo già adottato nei precedenti lavori…». Davide coglie in pieno il senso profondo che anima questa “invettiva” appunto che si rivolge contro i padroni di sempre, i galantuomini che opprimono i cafoni. Come diceva Rousseau: L’uomo per nascita libero è ovunque in catene. E Fa da eco Marx: Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta (la storia non cambia, mai)! Oggi più che mai dopo anni di lotte e di passioni ci troviamo di fronte a forme di super-capitalismo. Il capitalismo ha raggiunto vertici inauditi, globali. I padroni del mondo sono pochi miliardari che vivono nell’anonimato perplesso dei paraventi delle multinazionali. Di fronte a questo scenario apocalittico il lavoratore è perso, laddove la sinistra si è diluita nella “società liquida”, da radicalizzata che era si è “radical-sciccata”. L’urlo munchiano di Umberto, segnato da questo discorso veloce, quasi futuristico, con scarna punteggiatura, - un periodo quasi unico, ma comunque unitario che segue tutto il discorso - esprime questo profondo disagio di un intellettuale di sinistra che si vede oggi a dover fronteggiare logiche di lavoro assurde, alienanti, disumanizzanti, assunte proprio dal mondo cooperativo, che si proponeva come alterativa al sistema di sfruttamento borghese. Marx rivoltantesi nella tomba - è accaduto proprio il contrario: non è la borghesia che si è proletarizzata, ma il proletariato si è imborghesito, alla faccia di Gramsci, di Trockij e di tutti i martiri sacrificati sull’altare del profitto e di Mammona imperatore. Solo così possiamo capire oggi come le estreme sinistre e destre scendono nelle piazze affratellate contro un dominio sempre imperante di un centrismo di pasoliniana memoria, contro un potere plutocratico, centralistico, finanziario di sistemi superstatali. Il cosmopolitismo della borghesia è diverso da quello propugnato dall’antico proletariato. Ciò che si formerà qui sarà una massa di nullatenenti, neppure di proletari. L’operaio è già sparito dall’Occidente. Il centrismo risucchia tutto. Il nuovo centrismo non è quello democristiano: magari fosse quello! Ma è un centrismo onni-nubilante: «Dopo ventun anni, tre settenni, hai finito, presi a dirmi, ti sei finalmente liberato da quegli ipocriti, dai tuoi capi, i cosiddetti superiori…, quelli che hanno fatto della società consortile un abominevole luogo della paura e dello sfruttamento, mi dissi, te ne sei andato, mi dissi…» e continua con questo tono unico, con intercalari ripetitive per accentuare il senso delle proposizioni. Quello di Umberto è un monologo che si scaglia contro i caporali del mondo contemporaneo, contro Iosif, contro Testarossa e contro Meschinetto. È inutile rammentare l’allusione a Stalin il traditore del comunismo, colui che fece massacrare tutti i rivoluzionari, con a capo Leone Trockij, preso a picconate. Lo stakanovismo è il fratello gemello del taylorismo: il comunismo si è trasformato in capitalismo di stato nelle mani abiette di quattro dirigenti partitici, meri esecutori - gli Yes Man che volevano un tempo - né più né meno come Eichmann. Stalin ha nazificato il comunismo, lo ha trasformato in nazional comunismo. il nazionalsocialismo è diventato nazionalcomunismo e così Grecia capta ferum victorem coepit: il nazismo vinto conquistò il fiero vincitore. Oggi tutti i regimi comunisti sono nazionalcomunisti. Hanno seguito la deviante corruzione staliniana, perché fa comodo. Umberto parte da un detto di Steiner: Chi, invece, vuole dire la verità, non sempre può esporre ciò che agli altri è gradito. Noi diciamo altrimenti: Chi dice la verità vuol essere ucciso! Questa è la sorte dei No Man. Oggi c’è bisogno più che mai di No Man. Qualcuno deve farsi carico di questo astruso complesso di Cassandra. Il grido di Umberto è il grido dei lavoratori abbandonati a loro stessi, non più difesi da nessuno, né dai pingui sindacalisti, oramai crassi come Crasso, né dai partiti dei borghesucci di sinistra che oramai difendono a spada tratta i super-capitalisti, gli ultras degli industriosi industriali globalizzanti, sfruttatori dei terzomondisti, in terra loro e nelle grandi odissee delle migrazioni cosmiche pilotate da loro e ri-sfruttati nelle loro patrie novelle, né più né meno come i “negri” per secoli schiavizzati dai negrieri. Umberto invita i salariati: Ribellatevi, con fermezza! Cioè vuol tornare a dire a chiare lettere: Operai di tutto il mondo, unitevi! Qua non vi difende nessuno più, neppure la sinistra! Oggi la questione sociale risorge più che mai in un contesto globale. I lavoratori stanno perdendo tutti i diritti, conquistati a colpi di lotte, di guerre, strappati col sangue alle insaziabili lupe dantesche dei padroni. La storia si ripete, torna: «… il delirio paranoico di potenza, d controllo e di egocentrismo di Iosif attraverso i suoi lacchè, il Testarossa, il Meschinetto e molti altri insieme». Gli Iosif sono gli Adolf di sinistra e gli Adolf sono gli Iosif di destra. Anche il centrismo, purtroppo, si radicalizza nel ritorno latente, sotterraneo, inculcato attraverso le imposizioni, gli esperimenti delle ingegnerie sociali, biologiche, epidemiologiche, di una società ancestrale, piramidale, feudale. Torna l’Ancient Règime, con i suoi Stati Generali. Il Primo Stato non è più la nobiltà, ma la nuova borghesia plutocratica, multinazionalistica. Il Secondo Stato non è più la Chiesa, ma tutta la corte dei lacchè, come li definisce Umberto ed il Terzo Stato sarà una massa indecifrabile, miserabile, mista di genti rinnovate dalle ciclopiche migrazioni, in pratica una massa di nuovi schiavi dinanzi ad un potere centrale sempre più subdolo e sempre più forte. La lettura di Umberto è veramente allarmante e ci invita ad una seria riflessione sul mondo del lavoro oggi.

Vincenzo Capodiferro

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