19 ottobre 2020

Roberto Vecchioni – Il mercante di luce – a cura di Marcello Sgarbi

 


Roberto Vecchioni –
Il mercante di luce (Edizioni Einaudi)


Collana: I coralli

Pagine: 124

ISBN 9788806223885


La mia passione per la musica mi ha fatto scoprire

molto presto il Vecchioni cantautore.

Non mi erano invece assolutamente note le sue qualità di scrittore, nonostante la sua bibliografia sia ormai nutrita. In questo romanzo introspettivo emergono comunque temi che possiamo ritrovare anche nelle sue canzoni:

l’infanzia e la vecchiaia (il senex-puer nel personaggio del figlio, affetto da progerìa) o il senso del tempo, presenti in brani come Mi manchiL’uomo che si gioca il cielo a dadi (dedicata al padre), NinniCanzone per Sergio (dedicata al fratello, notaio a Lipari), Figlio figlio figlio (dedicata alla figlia omosessuale avuta dalla prima moglie).

Ma più ancora sono insistiti i ragionamenti sul caso (per i greci) o sul destino (per i cristiani).

E di “grecità” è denso il romanzo, a partire dagli espliciti rimandi alla tragedia ellenica attraverso i nomi di alcuni dei principali personaggi.

Una lettura sorprendente, con squarci illuminanti sulla natura umana.

C’era stato, per Quondam e Miranda, sua moglie, il momento dello strazio e quello della pur lieve, sbiadita speranza; poi, come sempre capita, il cuore si abitua ad ogni cosa, perché non esiste la felicità assoluta e se ne possiamo avere un quarto, una metà soltanto, quella metà, quel quarto sono tutto”.

Io, io Edipo, io Antigone, io Aiace decido della mia vita anche contro la memoria. Possiamo? Siamo solo ombre o forte vento?”

Doveva lasciargli un dono, il più grande possibile, oltre la felicità o l’infelicità, l’amore e il disamore, il destino o Dio, la casualità inspiegabile di nascere e morire, oltre, oltre tutto questo che è un frullar d’ali in una melodia alta, più alta, immensa, che ci portiamo dentro al di là dei margini del tempo dato. E il dono è l’orgoglio di essere uomini e di vivere in questa rivelazione; perché non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro, senza rimpiangere e senza piangere”.

Perché gli uccelli cantano quando passa la tempesta, e gli uomini non sanno nemmeno esser felici del sole che gli resta”.

(citazione di anonimo del III secolo a.C.)

(c) Marcello Sgarbi




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